Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 16 novembre 2017, n. 27206

Pubblico impiego - Condotta vessatoria - Ecslusa strategia persecutoria - Percezione soggettiva del dipendente - Irrilevante

Rilevato

che con sentenza in data 13 giugno 2011 la Corte di Appello di Torino ha respinto l'appello proposto da E.P. avverso la sentenza del locale Tribunale che aveva rigettato le domande volte ad ottenere la condanna della Azienda Sanitaria Locale (...) al risarcimento dei danni derivati dalla condotta vessatoria, protrattasi nel tempo in danno del ricorrente, nonché dalla mancata fruizione dei riposi settimanali e al pagamento delle ore, non compensate, di lavoro straordinario;

che la Corte territoriale ha escluso gli elementi costitutivi del mobbing, rilevando che le condotte non erano sorrette da una complessiva strategia persecutoria, e, quanto alle differenze retributive, ha evidenziato che era maturata la prescrizione dei crediti antecedenti al 15 gennaio 2003 e, per il resto, la domanda non era stata provata, non essendo sufficiente, a fronte della contestazione da parte dell'Azienda, la sola produzione documentale;

che avverso tale sentenza E.P. ha proposto ricorso affidato a otto motivi, ai quali ha opposto difese la Azienda Sanitaria Locale (...) con tempestivo controricorso;

che sono state depositate memorie da entrambe le parti.

 

Considerato

 

1.1 che il primo motivo di ricorso denuncia ex art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ. «violazione di legge in riferimento agli artt. 2103 cod. civ., 52 d.lgs. n. 165/2001, 4 e 5 Cost. » nonché insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio perché la Corte territoriale non poteva ritenere legittima la sospensione dell'attività lavorativa, protrattasi sino al pensionamento a far tempo dal 9 luglio 2003, atteso che il provvedimento, di natura ontologicamente disciplinare, era stato adottato senza garantire al dirigente medico il diritto di difesa e non poteva essere ritenuto «precauzionale», perché nessuna norma di legge o di contratto collettivo giustifica la sospensione unilaterale dell'attività lavorativa;

1.2. che la seconda censura lamenta l'insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio e rileva che la presunta acquiescenza al provvedimento era esclusa dal tenore della missiva inviata alla ASL il 10 luglio del 2004 e che la mancata impugnazione dell'atto, di per sé non sufficiente a far ritenere che lo stesso fosse stato accettato, era addebitabile anche allo stato di prostrazione del ricorrente il quale, proprio a causa della condotta tenuta dall'azienda, risultava all'epoca affetto da disturbi dell'umore a carattere depressivo;

1.3. che il terzo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., denuncia la violazione dell'art. 2087 cod. civ. e del d.lgs. 626/1994 nonché la omessa motivazione sugli ulteriori motivi di illegittimità della condotta della azienda che, allontanando il dirigente dal suo posto di lavoro, non ne aveva tutelato la salute ed aveva definitivamente compromesso la sua professionalità;

1.4. che la quarta critica lamenta, sempre ai sensi dei nn. 3 e 5 dell'art. 360 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 420 e 421 cod. proc. civ. nonché l'insufficienza e l'erroneità della motivazione con riferimento alla mancata ammissione delle prove testimoniali che, se ammesse, avrebbero consentito di escludere la asserita acquiescenza e di dimostrare il danno conseguente alla condotta illegittima della ASL;

1.5. che il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 2947, 2948 cod. civ. con riferimento alla ritenuta prescrizione del credito relativo al lavoro straordinario prestato e rileva che, in realtà, il diritto era sorto solo alla fine del rapporto, quando ormai era divenuto impossibile il recupero delle ore mediante riposo compensativo ;

1.6. che la medesima rubrica il ricorrente antepone alla sesta censura, con la quale si duole della ritenuta prescrizione anche dei crediti derivati dalla mancata concessione del riposo e dalla prestazione di turni di pronta reperibilità, perché, trattandosi di domande di carattere risarcitorio, fondate sull'inadempimento dell'amministrazione, doveva essere applicato il termine decennale previsto dall'art. 2947 cod. civ. e non quello quinquennale;

1.7. che il settimo motivo denuncia la violazione dell'art. 2943 cod. civ. perché, contrariamente a quanto asserito dalla Corte territoriale, la prescrizione era stata interrotta con plurime missive con le quali il ricorrente aveva manifestato la volontà di ottenere il pagamento delle ore di lavoro straordinario e dei turni di pronta disponibilità;

1.8 che l'ultima censura addebita alla sentenza impugnata la violazione degli artt. 420, 421 e 416 cod. proc. civ. nonché l'insufficiente motivazione per avere ritenuto non provata la prestazione del lavoro straordinario e dei turni di reperibilità quando, in realtà, l'azienda non aveva contestato i prospetti depositati degli orari mensili, sicché questi ultimi dovevano ritenersi pacifici e, comunque, andando di diverso avviso, i giudici di merito avrebbero dovuto ammettere i mezzi istruttori richiesti e non respingere la domanda perché non provata;

2. che i primi quattro motivi di ricorso devono essere esaminati unitariamente per la loro stretta connessione logico giuridica e presentano profili comuni di inammissibilità perché non censurano tutte le rationes decidendi sulle quali è fondata la sentenza impugnata;

2.1. che la Corte territoriale esaminati i fatti dedotti dal P., ha innanzitutto escluso di potere ravvisare nella fattispecie una condotta vessatoria ed ha evidenziato che i comportamenti addebitati alla ASL, oltre ad essere distanti tra loro e, quindi, non unificati da una finalità persecutoria, risultavano espressione del potere organizzativo e di controllo del superiore gerarchico, non potendo rilevare, ai fini della loro qualificazione, la percezione soggettiva che delle stesse avesse avuto il dipendente;

2.2. che detto capo della decisione non è stato oggetto di specifica censura da parte del ricorrente, il quale ha insistito solo sulla asserita illegittimità dell'allontanamento dal posto di lavoro, che la Corte territoriale ha escluso, sia perché allo stesso il P. aveva prestato acquiescenza, sia in quanto il provvedimento non aveva carattere disciplinare;

2.3. che il secondo ed il quarto motivo, volti a contestare la prima di dette rationes, contrappongono all'interpretazione data dal giudice di appello alla produzione documentale, una diversa valutazione e, quindi, sollecitano un'indagine di merito non consentita alla Corte di legittimità;

2.4. che la sentenza impugnata, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, non ha desunto la acquiescenza dalla sola inerzia del dirigente medico, ma ha anche valorizzato il carteggio intercorso fra le parti, evidenziando che lo stesso P., sebbene con la missiva del 10 luglio 2004 avesse manifestato la sua disponibilità a rientrare in servizio (peraltro solo a far tempo dal 6 settembre 2004), successivamente aveva chiesto di poter continuare a fruire del recupero sino al 20 ottobre 2004;

2.5. che, quanto alla prova testimoniale richiesta, la Corte territoriale ha fatto propria la motivazione della sentenza di primo grado che aveva escluso la rilevanza dei capitoli perché, anche a voler ritenere ammesse le circostanze sulle quali la prova stessa era stata richiesta, la qualificazione giuridica dei fatti, riservata al giudice, non sarebbe mutata;

2.6. che «il motivo di ricorso con cui, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c., come modificato dall'art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006, si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il "fatto" controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per "fatto" non una "questione" o un "punto" della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo»(Cass. 5.2.2011 n. 2805; Cass.8.9.2016 n. 17761);

2.7. che il ricorrente si limita a trascrivere le richieste istruttorie disattese dal giudice di appello senza indicare quale sia il fatto rispetto al quale la motivazione sarebbe carente e senza precisare le ragioni della sua assoluta decisività;

2.8. che, una volta esclusa la fondatezza dei motivi di ricorso volti a censurare una delle plurime rationes decidendi, opera il principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui «qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle "rationes decidendi" rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l'intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa» (Cass. 14.2.2012 n. 2108);

2.9. che, qualora nel corso del rapporto il dipendente non abbia fruito delle ferie e dei riposi compensativi nella misura contrattualmente prevista, il datore di lavoro è legittimato a imporre la fruizione degli stessi, anche per prevenire richieste di pagamento dell'indennità sostitutiva;

2.10. che è infondato il motivo formulato sul presupposto della natura ontologicamente disciplinare del provvedimento, in quanto la Corte territoriale ha rilevato che alla base dell'allontanamento dal posto di lavoro potevano esserci al più ragioni "precauzionali", sicché non ha spazio la doglianza sul mancato rispetto delle garanzie difensive, essendo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui la sospensione cautelare, priva di connotato sanzionatorio, è sottratta al rispetto delle formalità prescritte per i procedimenti disciplinari (cfr. fra le tante Cass. 15353/2012; Cass. 25136/2010);

2.11. che il vizio di omessa pronuncia deve essere denunciato facendo esplicito riferimento alla nullità della sentenza derivata dalla violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. (Cass. S.U. n. 17931 del 2013) e non è ravvisabile quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa, anche se manchi una specifica motivazione su tutti gli argomenti sviluppati dalla parte, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto di tutte le prospettazioni incompatibili con l'impostazione logico-giuridica della decisione (Cass. n. 20311 del 2011);

2.12. che una volta accertata la acquiescenza del dirigente al provvedimento adottato dall'azienda e, comunque, affermata la legittimità dello stesso, non possono essere invocati l'art. 2087 cod. civ. e le disposizioni del d.lgs n. 626 del 1994 perché la responsabilità del datore di lavoro non è oggettiva ma presuppone un inadempimento colpevole;

3. che anche il rigetto delle domande formulate in relazione al lavoro straordinario, ai turni di reperibilità ed alla mancata concessione del riposo compensativo è stato motivato sulla base di una pluralità di ragioni perché la Corte territoriale, oltre a ritenere prescritti i crediti maturati in epoca antecedente al quinquennio, decorrente a ritroso dalla richiesta di tentativo di conciliazione, ha evidenziato che l'azienda aveva contestato i prospetti prodotti dal ricorrente e che quest'ultimo non aveva chiesto l'escussione di testi a dimostrazione dell'orario di lavoro osservato;

3.1. che l'ottavo motivo, nella parte in cui sostiene che in realtà i fatti dovevano essere ritenuti pacifici perché non contestati, non è formulato nel rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione imposti dagli artt. 366 n.6 e 369 n. 4 cod. proc. civ. perché non trascrive, come sarebbe stato necessario, il contenuto degli atti introduttivi del giudizio di primo grado, dal quale non si può prescindere ove si invochi il principio di non contestazione;

3.2. che il motivo, inoltre, presenta i medesimi profili di inammissibilità indicati ai punti 2.6 e 2.7 perché trascrive le richieste istruttorie senza precisare quale decisiva circostanza di fatto la Corte territoriale avrebbe non adeguatamente valutato nel ritenere non rilevanti i mezzi di prova;

3.3. che «l'emanazione di ordine di esibizione è discrezionale e la valutazione di indispensabilità non deve essere neppure esplicitata nella motivazione; ne consegue che il relativo esercizio è svincolato da ogni onere di motivazione e il provvedimento di rigetto dell'istanza di ordine di esibizione non è sindacabile in sede di legittimità, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, trattandosi di strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova dei fatti non possa in alcun modo essere acquisita con altri mezzi e l'iniziativa della parte instante non abbia finalità esplorativa.» (Cass. n. 24188/2013);

3.4. che una volta escluso che il ricorrente abbia assolto all'onere della prova sullo stesso gravante, per le ragioni indicate al punto 2.8 viene meno ogni interesse alla pronuncia sugli ulteriori motivi formulati in relazione alla ritenuta prescrizione del diritto;

4. che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;

4.1. che non sussistono ratione temporis le condizioni di cui all'art. 13 c. 1 quater dPR 115 del 2002

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi e € 4.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% e accessori di legge.