Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 29 maggio 2017, n. 13468

Licenziamento collettivo - Rispetto della procedura ex Legge 223/1991 - Sussistenza del giustificato motivo oggettivo - Prova

 

Fatti di causa

 

Con sentenza 20 maggio 2014, la Corte d'appello di Brescia rigettava l’appello principale di G.I. s.r.l. e incidentale di B.L. s.r.l. unipersonale avverso la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato l'inefficacia del licenziamento intimato il 3 febbraio 2012 dall'allora G.I. (ora I.) s.r.l. a N.T. per difetto di prova del rispetto della procedura stabilita dalla legge 223/1991, con le conseguenti condanne reintegratoria e risarcitoria della società datrice, ai sensi dell'art. 18 I. 300/1970.

A motivo della decisione, la Corte territoriale escludeva la fondatezza dell'appello principale, nonostante il difetto di prova, a carico del lavoratore, dei presupposti di configurabilità di un licenziamento collettivo, per la mancata dimostrazione dalla società datrice della sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento e della impossibilità di reimpiego di T. in azienda. E ciò sul presupposto della rinuncia di G.I. s.r.l. alle difese e deduzioni svolte in primo grado, non reiterate in grado di appello a fronte della riproposizione dal lavoratore, a norma dell'art. 346 c.p.c., della domanda subordinata rimasta assorbita.

Essa reputava infondato anche l'appello incidentale di B.L. s.r.l., di censura della compensazione delle spese del giudizio di primo grado con il lavoratore, giustificata della plausibilità delle sue subordinate domande (rimaste assorbite) nei confronti della società affittuaria di locali e macchinari del soppresso R.L.M., cui egli era stato addetto.

Con atto notificato il 23 luglio 2014 G.I. s.r.l. ricorre per cassazione con tre motivi, cui resiste N.T. con controricorso, mentre B.L. s.r.l. unipersonale è rimasta intimata.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 346, 115, 116 c.p.c.e 111 Cost., ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea presunzione di rinuncia in appello alle difese e deduzioni svolte in primo grado, invece richiamate nella discussione finale per relationem agli scritti difensivi, in assenza di supposti diversi e maggiori oneri di controdeduzione alle domande riproposte dal lavoratore appellato vittorioso, in quanto rimaste assorbite in primo grado ed omessa valutazione di documenti ritualmente prodotti in esso, comprovanti una situazione aziendale integrante giustificato motivo oggettivo di licenziamento e l'impossibilità di ricollocazione del lavoratore.

2. Con il secondo, la ricorrente deduce omesso esame di fatto decisivo controverso tra le parti, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., in riferimento alla situazione di grave crisi produttiva e finanziaria fin dal 31 dicembre 2008, risultante dai documenti prodotti suindicati, nonché alla dismissione del ramo d'azienda relativo alla fonderia il 29 giugno 2011 e alla cessazione dell'attività di lavorazioni meccaniche dall'ottobre 2011.

3. Con il terzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 18 I. 300/1970, 1206, 1207, 1217 c.c., ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per omessa verifica, nella conversione della pronuncia di inefficacia del licenziamento in quella di illegittimità, dei presupposti della condanna risarcitoria e in particolare della contestata offerta di prestazione da parte del lavoratore, costitutiva della società datrice in mora.

4. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 346, 115, 116 c.p.c.e 111 Cost. per erronea presunzione di rinuncia in appello alle difese e deduzioni svolte in primo grado, è fondato.

4.1. Occorre preliminarmente chiarire come l'onere di riproposizione espressa stabilito dall'art. 346 c.p.c., applicabile anche alle controversie soggette al rito del lavoro, riguardi le sole domande ed eccezioni non accolte o rimaste assorbite in primo grado (Cass. 25 novembre 2010, n. 23925). In mancanza di una norma specifica sulla forma, l'appellante che voglia evitare la presunzione di rinuncia posta dall'art. 346 c.p.c. deve reiterare le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, sia pure in qualsiasi forma, purché idonea ad evidenziare la volontà di riaprire la discussione e sollecitarne la decisione: sicché, essa deve essere specifica, non essendo al riguardo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni davanti al primo giudice (Cass. 11 maggio 2009, n. 10796).

Ed è ciò che ha fatto, nel caso di specie, il lavoratore, che, integralmente vittorioso in primo grado per l'accoglimento, da parte del Tribunale, della propria domanda di inefficacia del licenziamento intimatogli il 3 febbraio 2012 dalla datrice (e delle conseguenti di condanne reintegratoria e risarcitoria, ai sensi dell'art. 18 I. 300/1970) per difetto di prova del rispetto della procedura stabilita dalla legge 223/1991, ha riproposto in appello, appunto a norma dell'art. 346 c.p.c., le domande rimaste assorbite in primo grado, e in particolare quella di illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

4.2. Sicché, il tema del giudizio di appello è stato delimitato dal perimetro devolutivo, oltre che dei motivi dell'appello principale, della domanda suindicata, ritualmente riproposta, in quanto assorbita, dal lavoratore appellato. Rispetto ad essa, la società datrice appellante aveva soltanto l'onere di richiamare le precedenti difese in merito, e pertanto le argomentazioni giuridiche, ovvero le questioni di fatto e di diritto addotte a sostegno delle medesime, per cui è sufficiente la semplice istanza di rigetto di essa (anche argomentando da: Cass. 21 gennaio 2005, n. 1277; Cass. 6 aprile 2000, n. 4322).

Ebbene, la società ricorrente ha in proposito documentato, con debita trascrizione del suo atto di appello per la parte di interesse (a pg. 8 del ricorso), di avere riportato le argomentazioni difensive (con richiamo anche della documentazione di supporto) svolte in primo grado in espresso riferimento alla sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, da aversi pure richiamate con le conclusioni di rigetto delle domande proposte dal lavoratore, cui si è riferita anche nella discussione davanti alla Corte d'appello, nel cui verbale (trascritto e specificamente indicato nella sede di produzione) si dà atto che "le parti ... discutono oralmente, riportandosi ai rispettivi scritti difensivi" (come fedelmente esposto al terzultimo capoverso di pg. 7 del ricorso).

4.3. La Corte territoriale ha invece ritenuto che la società datrice appellante "nonostante tali questioni siano state espressamente riproposte dal lavoratore appellato, nulla ha dedotto sulle medesime, né ha chiesto un termine per controdedurre e integrare le difese svolte nell'atto di appello": così concludendo che "tale comportamento processuale comporta che le difese svolte in primo grado dalla società in ordine agli altri motivi profili di illegittimità del licenziamento dedotti dal lavoratore, devono intendersi implicitamente rinunciate" (così agli ultimi due capoversi di pg. 6 della sentenza).

Appare evidente l'errore in cui essa è incorsa ritenendo implicitamente rinunciate, in violazione delle norme denunciate, quelle difese svolte in primo grado, che la società datrice ha invece richiamato e pertanto mantenuto, così adempiendo al proprio onere, in applicazione dei principi di diritto suenunciati.

4.4. Sicché esse dovevano (e dovranno) essere esaminate, insieme con i richiamati documenti prodotti, in ottemperanza al principio consolidato secondo cui il giudice di appello, pur in mancanza di specifiche deduzioni sul punto, debba valutare tutti gli elementi di prova acquisiti, quand'anche non presi in considerazione dal giudice di primo grado, poiché in materia di prova vige il principio di acquisizione processuale, secondo il quale le risultanze istruttorie comunque ottenute, e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale siano formate, concorrono tutte indistintamente alla formazione del convincimento del giudice (Cass. 30 dicembre 2012, n. 1303; Cass. 12 luglio 2011, n. 15300; Cass. 12 settembre 2003, n. 13430).

5. Dalle superiori argomentazioni discende, in accoglimento del motivo scrutinato, assorbente l'esame del secondo (omesso esame del fatto decisivo controverso tra le parti della situazione di grave crisi produttiva e finanziaria fin dal 31 dicembre 2008) e del terzo (violazione e falsa applicazione degli artt. 18 I. 300/1970, 1206, 1207, 1217 c.c. per omessa verifica del presupposto di offerta della prestazione da parte del lavoratore per la condanna risarcitoria), la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'appello di Brescia in diversa composizione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'appello di Brescia in diversa composizione.