Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 29 maggio 2017, n. 13482

Lavoro - Dipendente postale - Contratto a termine - Nullità - Rispetto della clausola di contingentamento - Onere probatorio

 

Rilevato

 

che, con sentenza n. 10051/2009, la Corte di Appello di Roma ha riformato la pronuncia, emessa in data 8.2.2006 dal Tribunale della stessa città, dichiarando la nullità del termine apposto al contratto, intercorso tra P.I. spa e R.V., dall'1.2.2001 al 31.5.2001, a norma dell'art. 8 del CCNL 26.11.1994, come novellato dall'art. 25 CCNL 11.1.2001, per "esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, nonché derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all'introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti e servizi", nonché la persistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dall'1.2.2001 ed il diritto al risarcimento del danno pari alle retribuzioni maturate e spettanti dal 10.7.2003, nei limiti di un triennio dalla cessazione dell'ultimo contratto di lavoro, oltre accessori; che avverso tale sentenza P.I. spa ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, chiedendo comunque la applicazione dell'art. 32 della legge n. 183/2010 medio tempore sopravvenuta;

che il V. ha resistito con controricorso proponendo ricorso incidentale;

che il P.G. non ha formulato richieste

che sono state depositate memorie da parte di R.V.

 

Considerato

 

che, con il ricorso principale, si censura: 1) la violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cc e dell'art. 3 legge n. 230/1962 (art. 360 n. 3 cpc) per avere i giudici di secondo grado attribuito alla società l'onere probatorio in ordine al rispetto della clausola di contingentamento; 2) l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 cpc) nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 cpc e art. 2697 cc (art. 360 n. 3 cpc) per avere ritenuto la Corte territoriale che era onere della società fornire la prova documentale del rispetto della contingentamento; 3) la violazione e falsa applicazione CCNL 2001, art. 23 legge n. 56/1987 (art. 360 n. 3 cpc) perché, a differenza di quanto precisato nella gravata pronuncia, la violazione del rispetto della clausola di contingentamento avrebbe potuto indurre conseguenze sanzionatone destinate ad operare sul comportamento e non sull'atto e che né l'art. 23 legge 56/87 né il CCNL del 2001 prevedevano espressamente alcuna sanzione; 4) la violazione ed erronea applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1218, 1219, 1223, 2094, 2099, 2697 cc, in relazione all'art. 360 n. 3 cpc, perché, a differenza di quanto ritenuto dai giudici di seconde cure, le retribuzioni avrebbero potuto decorrere solo dal momento dell'effettiva ripresa del servizio e perché sull'aliunde perceptum era onere del lavoratore di provare di non avere intrattenuto altri e successivi rapporti di lavoro né di avere percepito somme a titolo retributivo; la ricorrente chiede, poi, in caso di rigetto delle suindicate censure, l'applicazione della sopravvenuta disciplina in tema di risarcimento introdotta dall'art. 32 della legge n. 183/2010;

che, con il ricorso incidentale, articolato su nove censure, R.V. si duole del risarcimento del danno, quantificato come sopra indicato, perché adottato con motivazione contraddittoria e perché statuito in violazione degli artt. 1226, 2729, 1218, 1223, 1227, 2697 cc, 432 e 114 cpc;

che, con riguardo ai primi tre motivi, il ricorso principale è infondato: infatti, come è stato affermato da questa Corte (cfr. Cass. 1.8.2014 n. 17535; Cass. ord. 27.11.2012 n. 21100) l'onere della prova dell'osservanza del rapporto percentuale tra lavoratori stabili e a termine, in base alle regole di cui alla legge n. 230/1962 art. 3, incombe sul datore di lavoro che deve dimostrare l'obiettiva esistenza delle condizioni che giustificano l'apposizione di un termine al contratto di lavoro;

che la determinazione, da parte della contrattazione collettiva, in conformità di quanto previsto dalla legge n. 56 del 1987, art. 23, della percentuale massima di contratti a termine rispetto a quelli di lavoro a tempo indeterminato nella azienda, è stabilita per la validità della clausola appositiva del termine per le causali individuate dalla medesima contrattazione collettiva (cfr. Cass. 24.11.2011 n. 22009 implicitamente e Cass. 3.3.2006 n. 4677 nonché Cass. ord. 20.11.2012 n. 20398); l'illegittimità si evince chiaramente non solo dalla formulazione dell'art. 23 della legge n. 56 del 1987, che stabilisce appunto che i contratti collettivi stabiliscono il numero percentuale dei lavoratori che possono essere assunti con contratto di lavoro a termine rispetto al numero dei lavoratori impegnati a tempo indeterminato, ma anche dall'interpretazione sistematica di tale norma che fissa parametri rigidi per la individuazione delle fattispecie autorizzatone; in tal senso si è espressa, del resto, univocamente la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 19.1.2010 n. 839; Cass. 19.1.2013 n. 701; Cass. 6.2.2015 n. 2269) la quale ha costantemente confermato le sentenze di merito che avevano ritenuto illegittimo il contratto a termine stipulato in violazione della clausola di contingentamento con la conversione dello stesso in contratto di lavoro a tempo indeterminato; che, in materia di assunzione a termine dei lavoratori subordinati, anche nella vigenza della legge n. 56/87, è applicabile la disposizione di cui all'art. 3 della legge n. 230/1962, circa l'onere della prova a carico del datore di lavoro sulle condizioni che giustificano l'apposizione del termine al contratto (cfr. Cass. 28.6.2011 n. 14283); che la Corte territoriale, attraverso motivazione congrua ed immune da rilievi di carattere logico-giuridico, ha rilevato, da un lato, che il prospetto prodotto per la regione Abruzzo nel 2001 indicava una quota di assunzioni di lavoratori a termine superiore alla quota del 5% e, dall'altro, che non era stata dimostrata l'esistenza di accordi di secondo livello che prevedevano l'elevazione di una percentuale ulteriore del 3% fino ad arrivare alla dedotta percentuale dell'8%; che, quanto in particolare al terzo motivo, oltre ai profili di infondatezza sopra evidenziati, emergono anche aspetti di inammissibilità perché, nell'eccepire la violazione di una norma di legge e di una disposizione del CCNL, non sono state indicate specificamente le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che si pretendono errate; che è, invece, fondato l'ultimo motivo limitatamente alla richiesta di applicazione dello ius superveniens atteso che, come da ultimo chiarito da Cass. Sez. Un. 27.10.2016 n. 21691, la censura ex art. 360 n. 3 cpc può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive, e quindi applicabili al rapporto dedotto, in considerazione che non si richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l'operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all'ordinamento giuridico e che sul capo della sentenza, con il quale erano state regolate le conseguenze economiche, non si era formato alcun giudicato;

che, conseguentemente, l'esame di tutte le doglianze di cui al ricorso incidentale devono ritenersi assorbite;

che, pertanto, la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che dovrà limitarsi a quantificare l'indennità spettante all'odierna parte intimata ex art. 32 cit., per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr. per tutte Cass. n. 14461/2015), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato (cfr tra le altre Cass. n. 3062/2016).

 

P.Q.M.

 

Accoglie il motivo concernente l'applicazione dell'art. 32 legge n. 183/2010, respinti gli altri e assorbito il ricorso incidentale, cassa in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.