Demansionamento e risarcimento del danno, la prescrizione decorre dalla cessazione della condotta illecita

Il carattere permanente della condotta datoriale che si concretizzi nella protratta adibizione di un lavoratore a mansioni inferiori a quelle spettanti, implica che la prescrizione del diritto ad ottenere il risarcimento del danno professionale, purché il danneggiato ne sia consapevole e non sussistano impedimenti giuridici a far valere il diritto, decorra dalla data di cessazione della condotta illecita (Corte di Cassazione, sentenza 16 aprile 2018, n. 9318).

La Corte di appello territoriale, in parziale riforma della decisione di primo grado, a seguito della domanda di un ex dipendente, aveva condannato il datore di lavoro al risarcimento del danno da demansionamento, rideterminando però la somma attribuita, distinta per danno professionale e danno biologico. Il Giudice di appello aveva confermato il demansionamento sofferto dal lavoratore dalla data della reintegra nel posto di lavoro, conseguente alla declaratoria giudiziale di illegittimità del licenziamento, fino alla data in cui il lavoratore era stato assegnato ad un incarico effettivamente equivalente a quello svolto prima del licenziamento. Tuttavia, il Giudice aveva accolto, in relazione al denunziato danno professionale, l'eccezione di prescrizione decennale sollevata dalla società; nello specifico, considerato che il rapporto era assistito da stabilità reale, il dies a quo andava individuato con riferimento al momento in cui il danno si era manifestato, per cui doveva considerarsi prescritto il diritto al risarcimento del danno per il periodo antecedente il decennio.
Il lavoratore propone così ricorso in Cassazione, lamentando che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno, in presenza di stabilità reale, decorre nel corso del rapporto solo per i crediti retributivi.
Per la Suprema Corte, il motivo è fondato. Preliminarmente, si conferma l’applicabilità del termine decennale di prescrizione, conforme alla consolidata giurisprudenza di legittimità in tema di domanda di risarcimento del danno conseguente all'inadempimento degli obblighi, inerenti al rapporto di lavoro, di tutela delle condizioni di lavoro del dipendente. Al fine invece della individuazione del dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale, occorre distinguere tra illecito istantaneo con effetti permanenti, caratterizzato da un’azione che si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando peraltro permanere i suoi effetti nel tempo, ed illecito permanente, nel quale la condotta contra ius si protrae, così trascinando la verificazione dell'evento in ogni momento della durata del danno e della condotta che lo produce. In questa prospettiva, viene chiarito che nel primo caso la prescrizione decorre dalla data in cui si è verificato il danno, purché il danneggiato ne sia consapevole e non sussistano impedimenti giuridici a far valere il diritto al risarcimento, mentre nel secondo caso, nella ricorrenza degli stessi presupposti (conoscenza e difetto di impedimenti), la prescrizione della pretesa risarcitoria decorre dalla data di cessazione della condotta illecita. Orbene, la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei principi ora richiamati, posto che non è in dubbio il carattere permanente della condotta datoriale concretizzatasi nella protratta adibizione del lavoratore a mansioni inferiori a quelle spettanti.