Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 13 dicembre 2016, n. 25556

Rapporto di lavoro subordinato part time - Accertamento - Licenziamento verbale - Stato di gravidanza

Svolgimento del processo

 

Con sentenza pubblicata il 7.11.13 la Corte d'appello di Torino rigettava il gravame di R.G., titolare dell'omonima ditta, contro la sentenza del Tribunale subalpino che, accertato un rapporto di lavoro subordinato part time fra costei e M.B., l'aveva condannata a riammettere in servizio la dipendente e a risarcirle il danno derivante dal licenziamento intimatole oralmente.

Per la cassazione della sentenza ricorre R.G. affidandosi a cinque motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.

L'intimata non ha svolto attività difensiva.

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

 

Motivi della decisione

 

1.1. Preliminarmente va dichiarata l'inammissibilità della produzione documentale allegata alla memoria ex art. 378 c.p.c. depositata dalla ricorrente, ostandovi il disposto dell'art. 372 c.p.c., che in sede di legittimità consente soltanto il deposito di nuovi atti o documenti concernenti la nullità della sentenza impugnata e l'ammissibilità del ricorso o del controricorso.

Nel caso in esame, invece, la sentenza del Tribunale penale di Torino prodotta dalla ricorrente è finalizzata a sollecitare un (peraltro inammissibile) riesame nel merito delle risultanze testimoniali.

2.1. Il primo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24 e 111 commi 1° e 2° Cost. e 414 c.p.c., per non avere la sentenza impugnata dichiarato nullo il ricorso introduttivo di lite per genericità e indeterminatezza, assolutamente palesi sul punto del preteso licenziamento orale.

Il motivo è inammissibile.

Si premetta che, secondo il principio sancito da Cass. S.U. n. 8077/12, cui va data continuità, quando con il ricorso per cassazione venga dedotto un error in procedendo, il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l'invalidità denunciata, mediante l'accesso diretto agli atti sui quali si basa il ricorso medesimo, indipendentemente dall'eventuale sufficienza e logicità della motivazione adottata in proposito dal giudice di merito, atteso che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto processuale.

Nel caso di specie, dalla piana lettura del ricorso introduttivo di lite e degli stessi stralci che ne ha riportato il ricorso per cassazione emerge che le allegazioni della lavoratrice erano chiare e sufficienti a delineare le circostanze topico-temporali della sua avvenuta estromissione dall'azienda e tutti gli altri fatti rilevanti in causa.

2.2. Il secondo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 112, 115 e 116 c.p.c., 2094 e 2697 c.c., 61 co. 2° e 69 co. 1° d.lgs. n. 276/03, nella parte in cui la gravata pronuncia ha ignorato i presupposti necessari a qualificare come di lavoro subordinato il rapporto tra le parti, omettendo di valutare i decisivi elementi di prova desumibili dal libero interrogatorio e dalle testimonianze, tali da smentire uno stabile inserimento dell'intimata nell'organizzazione dell'esercizio di parrucchiera della ricorrente.

Il motivo è inammissibile perché, ad onta dei richiami normativi in esso contenuti, sostanzialmente sollecita una rivisitazione nel merito della vicenda e delle risultanze istruttorie affinché se ne fornisca un diverso apprezzamento.

Si tratta di operazione non consentita in sede di legittimità, ancor più ove si consideri che in tal modo il ricorso finisce con il riprodurre (peraltro in modo irrituale) sostanziali censure ex art. 360 co. 1° n. 5 c.p.c., a monte non consentite nel caso di specie dall'art. 348 ter co. 4° e 5° c.p.c., essendosi in presenza di doppia pronuncia conforme di merito basata sulle medesime ragioni di fatto.

2.3. Il terzo motivo prospetta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24 e 111 commi 1° e 2° Cost., 112, 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ravvisato la cessazione del rapporto per effetto di licenziamento orale anziché di dimissioni dell'intimata, nonostante le contrarie risultanze del libero interrogatorio di M.B. e delle deposizioni acquisite ad istanza della ricorrente (mentre falsi si erano rivelati i testi escussi ad iniziativa della lavoratrice) e il lasso temporale tra l'effettiva cessazione del rapporto (febbraio 2011) e la successiva offerta della prestazione da parte della lavoratrice (5.4.11), tale da far propendere per l'ipotesi delle dimissioni piuttosto che per quella d'un licenziamento verbale. Né - prosegue il ricorso - tali dimissioni (risalenti al 5-7.2.11) dovevano essere convalidate ex art. 55 d.lgs. n. 151/01, atteso che alla ricorrente non era stato comunicato lo stato di gravidanza della lavoratrice.

Anche tale motivo è inammissibile vuoi perché, in sostanza, sollecita un nuovo apprezzamento nel merito delle risultanze processuali, vuoi perché non censura specificamente la motivazione della sentenza nella parte in cui ha evidenziato che, insieme con l'offerta delle proprie prestazioni lavorative, il 5.4.11 l'odierna intimata comunicò e documentò alla datrice di lavoro il proprio stato di gravidanza.

Si obietta in ricorso che la lavoratrice si sarebbe dimessa già il 5-7.2.11, epoca in cui non aveva ancora comunicato il proprio stato di gravidanza (con asserita conseguente irrilevanza della convalida delle dimissioni ex art. 55 d.lgs. n. 151/01), ma si tratta di circostanza fattuale - e ciò è dirimente rispetto ad ogni altra considerazione - non corroborata dagli accertamenti effettuati dai giudici di merito.

D'altronde, ove il rapporto di lavoro sia cessato in assenza di atti formali di licenziamento o di dimissioni e in presenza di contrapposte tesi circa la causa di detta cessazione, il giudice di merito deve, ai fini dell'accertamento del fatto, prestare particolare attenzione (indagandone la rilevanza sostanziale e probatoria nel caso concreto) anche agli eventuali episodi consistenti nell'offerta delle prestazioni da parte del lavoratore e nel rifiuto o mancata accettazione delle stesse da parte del datore di lavoro (cfr., ex aliis, Cass. n. 10425/12; Cass. n. 18523/2011).

E ciò è, in sostanza, quel che hanno implicitamente fatto i giudici di merito nel caso in esame.

2.4. Il quarto motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 1227 c.c., 112, 115, 116, 345 e 416 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto tardiva e non provata l'eccezione di aliunde perceptum, in realtà - si obietta in ricorso - sollevata fin dalla memoria difensiva di primo grado e assistita dall'esito di varie testimonianze.

Il motivo inammissibile per l'assorbente rilievo che la sentenza impugnata ha comunque ritenuto non raggiunta la prova dell'aliunde perceptum. Le obiezioni a quest'ultimo riguardo mosse dalla ricorrente scivolano sul piano della valutazione nel merito, estranea alla presente sede.

2.5. Il quinto motivo deduce omesso esame del fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, consistente nell'avvenuta cessazione della prestazione della lavoratrice il 5-7.2.11.

Il motivo è inammissibile, essendo formulato in modo irrituale rispetto agli oneri prescritti dal nuovo testo dell'art. 360 co. 1° n. 5 c.p.c. come interpretato da Cass. S.U. n. 8053/14 (e dalle successive pronunce conformi).

È appena il caso di aggiungere, per di più, che in realtà il fatto è stato implicitamente esaminato dalla Corte, che è giunta alla conclusione (di merito, quindi non censurabile in questa sede) che non v'è prova che la cessazione di prestazione lavorativa sia imputabile alle pretese dimissioni della lavoratrice.

3.1. In conclusione, il ricorso è da dichiararsi inammissibile. Non è dovuta pronuncia sulle spese, non avendo l'intimata svolto attività difensiva.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per spese.

Ai sensi dell'art. 13 co. 1 quater d.P.R. n. 115/2002, come modificato dall'art. 1 co. 17 legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1 bis dello stesso articolo 13.