Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 17 ottobre 2017, n. 47823

Tributi - Reati fiscali - Evasione - Indicazione in dichiarazione di elementi passivi fittizi - Utilizzo di fatture per operazioni inesistenti - Estinzione dei reati per prescrizione

Ritenuto in fatto

1.- Con sentenza del 23.09.2016 la Corte di Appello di Bari ha confermato, per quanto qui rileva, la sentenza del 20.05.2013 del Tribunale di Trani, condannando D.B.G. alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione, all'interdizione perpetua dall'ufficio di componente delle Commissioni Tributarie, all'interdizione, per un anno, dagli uffici direttivi di persone giuridiche ed imprese e dalle funzioni di rappresentanza ed assistenza in materia tributaria, all'incapacità, per un anno, di contrattare con la Pubblica Amministrazione, per avere il medesimo, in violazione dell'art. 2, D. Lgs. 74/2000, al fine di evadere le imposte sui redditi delle persone fisiche e sul valore aggiunto, indicato nel Modello Unico, relativo alle imposte del 2007, elementi passivi fittizi, avvalendosi del sistema delle fatture per operazioni inesistenti, determinando così un'indebita deduzione ai fini della determinazione del reddito di impresa pari ad euro 1.267.921,00, un'indebita deduzione ai fini IRAP pari ad euro 163.293,00 e un'indebita detrazione IVA pari ad euro 84.395,00.

2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per Cassazione l'imputato, tramite il proprio difensore di fiducia, chiedendone l'annullamento.

2.1 Con il primo motivo di ricorso la difesa denuncia l'illegittimità del provvedimento impugnato, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., per inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 2, D.Lgs. n. 74/2000 in relazione all'art. 14, comma 4-bis, della Legge n. 537/1993, come modificato dall'art. 8 comma 1 del D.L. n. 16 del 2012.

Secondo la prospettazione difensiva, infatti, il reato, di cui al capo di imputazione, non potrebbe essere configurato nei casi in cui l'operazione posta in essere dal reo sia esclusivamente fittizia dal punto di vista soggettivo.

Infatti la norma in esame prevede che gli elementi passivi, dedotti in dichiarazione, siano totalmente fittizi. Nel caso di specie, invece, i costi relativi alle fatture illegittime sarebbero stati realmente sostenuti dall'impresa e dunque correttamente deducibili a prescindere dalla correttezza dell'emittente del documento, sicché non si potrebbe configurare alcuna violazione d'imposta. Secondo l'odierno ricorrente, infatti, in materia reddituale occorre conferire rilevanza alla materialità e alla realità del costo, onde escludere la sua penale responsabilità. Nella prospettazione difensiva, in altre parole, i costi derivanti da fatture false potrebbero essere dedotti, ai fini delle imposte dirette, a condizione che i beni oggetto della transazione siano stati regolarmente acquistati e pagati, che la fatturazione abbia un importo uguale a quello contabilizzato e che i costi siano effettivamente inerenti all'attività d'impresa della società acquirente, intendendosi, per inerenza che il costo sia riconducibile non già ad un preciso ricavo, ma ad una attività potenzialmente idonea a produrre utili.

Ancora osserva la difesa il costo non sarebbe deducibile solo nel caso in cui vi sia stato un diretto utilizzo dei beni o servizi acquistati per il compimento di attività delittuosa, cosa che nel caso di fatture soggettivamente inesistenti non è dato ravvisare. La Corte territoriale, pertanto, avrebbe erroneamente affermato la penale responsabilità dell'imputato, su un assunto interpretativo del concetto di inerenza non corretto e contrario a quello fornito dalle norme e dagli orientamenti giurisprudenziali, avendo, peraltro, dimenticato di valorizzare la circostanza per la quale il D.B., onde non commettere il delitto di cui all'art. 2, D.Lgs. 74/2000, in materia di imposta sul valore aggiunto, avesse provveduto a scorporare i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti dalle fatture ai fini IVA, ravvisandosi in tale gesto il totale ravvedimento e l'assenza dell'elemento soggettivo del reato.

2.2. Con il secondo motivo l'odierno ricorrente eccepisce la nullità della sentenza, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla errata qualificazione dei fatti. La Corte territoriale, infatti, avrebbe giudicato l'imputato traendo le proprie ragioni da un precedente analogo, la sentenza n. 42994/2015 di questa corte che tuttavia non sarebbe identico e sovrapponibile alla situazione di fatti sottesa al presente giudizio. Infatti, nel caso di specie, il D.B. - diversamente dall'imputato condannato nel caso analogo - aveva provveduto a scorporare dalla dichiarazione, ai fini IVA, quasi tutti i costi relativi alle operazioni soggettivamente inesistenti, dimenticando in assoluta buona fede e, pertanto, in assenza di dolo, di eleminare anche le somme residue 84.395,75 euro, di cui al capo di imputazione. Tale errore, peraltro, sarebbe stato frutto della confusione ingenerata dai due diversi accertamenti: il primo realizzato dalla Dogana di Bressone, la quale aveva provveduto al conteggio delle fatture, individuando una somma effettivamente inferiore, ovvero euro 325.700,38 - quella effettivamente scorporata dall'imputato dalla dichiarazione ai fini IVA - rispetto a quella poi conteggiata dalla GdF di euro 410.095,75. La circostanza evidenziata, nella prospettazione difensiva, dimostrerebbe la buona fede dell'imputato, il quale se fosse stato in possesso del corretto conteggio, avrebbe certamente espunto anche le residue 84.395,75 euro dalla dichiarazione ai fini Iva.

Avrebbe errato, il collegio giudicante, non prendendo in considerazione tale evenienza determinando, pertanto, una motivazione illogica e contraddittoria sulla base delle prove assunte nel dibattimento.

2.3. Con il terzo motivo di ricorso la difesa rileva l'illegittimità del provvedimento di secondo grado, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., per inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 2 D. Lgs. 74/2000.

Il ricorrente, attraverso il suo comportamento, appena subentrato come amministratore nell'anno 2008 aveva, scorporando la detrazione dell'IVA, posto in essere una condotta incompatibile con il reato contestato che, nell'ambito del cd. fenomeno delle frodi carosello, mira proprio alla evasione dell'IVA.

Il D.B. non potrebbe essere ritenuto responsabile del reato, posto che i costi e le operazioni dichiarate, seppur soggettivamente false, erano state effettivamente state realizzate, non potendosi neppure ipotizzare, per la fattispecie in esame, una responsabilità a titolo di concorso.

2.4. Con il quarto motivo l'odierno ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., per illogicità e contraddittorietà della motivazione con altro provvedimento che la stessa corte avrebbe adottato, revocando il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente. La Corte territoriale, infatti, nel corpo della propria sentenza ritiene che il ragionamento posto in essere dal giudice di prima istanza, il quale aveva provveduto ad ordinare la confisca dei beni dell'impresa dell'imputato, fosse corretto. Tuttavia, tale assunto apparirebbe, nella prospettazione difensiva, illogico ed irrazionale atteso che la stessa Corte di Appello di Bari, investita dell'istanza di revoca del sequestro preventivo, aveva disposto la revoca dello stesso e la restituzione dei beni, ritenendo il provvedimento carente dei presupposti essenziali per giustificarne la legittimità.

2.5. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce la prescrizione delle condotte contestate all'imputato, le quali risultano essere state consumate in data 27.12.2008 (data di presentazione di variazione sulla detrazione IVA).

2.6. Infine, l'imputato, ai sensi dell'art. 618 c.p.p., avanza istanza di remissione alle Sezioni Unite, della questione relativa l'esistenza di contrastanti interpretazioni in ordine l'esatta applicazione della novella, di cui all'art. 14, comma 4 bis, L. 537/1993, così come modificata dall'art. 8, D. L. 16/2012.

 

Considerato in diritto

 

3. - Deve essere dichiarata l'estinzione dei reati per intervenuta prescrizione.

3.1. - Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, il presupposto per l'applicazione dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen. è costituito dall'evidenza, emergente dagli atti di causa, che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato, o non è previsto dalla legge come reato. Solo in tali casi, infatti, la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla causa di estinzione del reato ed è fatto obbligo al giudice di pronunziare la relativa sentenza. I presupposti per l'immediato proscioglimento devono, però, risultare dagli atti in modo incontrovertibile tanto da non richiedere alcuna ulteriore dimostrazione in considerazione della chiarezza della situazione processuale. È necessario, quindi, che la prova dell'innocenza dell'imputato emerga positivamente dagli atti stessi, senza ulteriori accertamenti, dovendo il giudice procedere non ad un "apprezzamento", ma ad una mera "constatazione".

L'obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilità vale anche in sede di legittimità, tanto da escludere che il vizio di motivazione della sentenza impugnata, che dovrebbe ordinariamente condurre al suo annullamento con rinvio, possa essere rilevato dalla Corte di cassazione che, in questi casi, deve invece dichiarare l'estinzione del reato. In caso di annullamento, infatti, il giudice del rinvio si troverebbe nella medesima situazione, che gli impone l'obbligo dell'immediata declaratoria della causa di estinzione del reato. E ciò, anche in presenza di una nullità di ordine generale che, dunque, non può essere rilevata nel giudizio di legittimità, essendo l'inevitabile rinvio al giudice del merito incompatibile con il principio dell'immediata applicabilità della causa estintiva (ex plurimis, sez. 6, 1° dicembre 2011, n. 5438; sez. un., 28 maggio 2009, n. 35490, rv. 244275; sez. un., 27 febbraio 2002, n. 17179, rv. 221403; sez. un. 28 novembre 2001, n. 1021, rv. 220511).

3.2. - I presupposti per l'applicazione dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., come appena delineati, non sussistono certamente nel caso di specie, con riferimento agli atti di causa e al contenuto della sentenza impugnata. Il primo motivo di ricorso mediante il quale è stata prospettata la non configurabilità del reato di cui all'art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 in presenza di operazioni solo soggettivamente inesistenti, pur se non risulta inammissibile, perché non manifestamente infondato e formulato in modo sufficientemente specifico - è comunque infondato.

Va ricordato che ai sensi dell'art. 1, lett. a), d.lgs. n. 74 del 2000, nella nozione di fatture per operazioni inesistenti devono ricondursi le fatture emesse "a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte", ovvero indicanti "i corrispettivi o l'imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale", ovvero riferenti l'operazione "a soggetti diversi da quelli effettivi" (Sez. 3, n. 1996 del 25/10/2007, Figura, Rv. 238547; Sez. 3, n. 28352 del 21/05/2013, Custodi, Rv. 256675). Nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 2) la falsità può essere riferita anche all'indicazione dei soggetti con cui è intercorsa l'operazione, intendendosi per "soggetti diversi da quelli effettivi", ai sensi del citato d.lgs., art. 1, lett. a), coloro che, pur avendo apparentemente emesso il documento, non hanno effettuato la prestazione, sono irreali, come nel caso di nomi di fantasia, o non hanno avuto alcun rapporto con il contribuente finale (cfr. Sez. 3, n. 10394 del 14/01/2010, Gerotto, Rv. 246327; Sez. 3, n. 27392 del 27/04/2012, Bosco, Rv. 253055; Sez. 3, n. 19012 del 11/02/2015, Spinelli, Rv. 263745). Il delitto di cui all'art. 2 è dunque configurabile allorché, per mezzo di fatture per operazioni inesistenti, soggettivamente o oggettivamente, si indicano in una delle dichiarazioni annuali relative alle imposte dirette o all'imposta sul valore aggiunto elementi passivi fittizi al fine di evadere dette imposte. L'inesistenza soggettiva si configura quando la fattura - o il documento equipollente - riporti l'indicazione di nominativi diversi rispetto agli effettivi partecipanti all'operazione imponibile. In tema di imposta sul valore aggiunto, la nozione di fattura soggettivamente inesistente presuppone, da un lato, l'effettività dell'acquisto dei beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell'impresa utilizzatrice delle fatture e, dall'altro, la simulazione soggettiva, ossia la provenienza della merce da ditta diversa da quella figurante sulle fatture medesima. Il ricorrente sostiene dunque che, trattandosi di fatture solo soggettivamente inesistenti, ossia trattandosi di semplice simulazione soggettiva, non sarebbe configurabile il reato perché non sarebbero stati esposti costi non sostenuti. Nel caso di specie, fa Corte d'appello ha rigettato il ricorso aderendo ad una opzione interpretativa che considera non deducibile il costo della fattura per operazione inesistente soggettivamente non solo ai fini IVA (imposta indiretta) ma anche ai fini IRAP (imposta diretta), sul rilievo che l'invocato concetto di "inerenza" dei costi (teso a considerare effettivamente inerenti all'attività d'impresa della società il costo sia riconducibile non già ad un preciso ricavo, ma ad una attività potenzialmente idonea a produrre utili, e quindi alla operazione soggettivamente inesistete) non sia applicabile ad una attività comunque illecita (cfr. sul punto v. Cass. 28675 del 9/6/2017 nonché Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20353 del 17/03/2010 Ud. (dep. 28/05/2010) Rv. 247110 che afferma come, in tema di reati finanziari e tributari, il reato di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) è configurabile anche in caso di fatturazione solo soggettivamente falsa, sia per l'ampiezza della norma che si riferisce genericamente ad "operazioni inesistenti", sia perché anche in tal caso è possibile conseguire il fine illecito indicato dalla norma in esame, ovvero consentire a terzi l'evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto.; cfr. pure Cass. N. 14707 del 2008 Rv. 239658).

Ne consegue l'infondatezza del motivo, atteso che nel caso di specie non è neppure oggetto di contestazione la soggettiva inesistenza dell'operazione, né la circostanza che l'indebita deduzione indicata fosse relativa in parte all'imposta IRAP ed in parte all'IVA.

3.3. Inammissibili sono i restanti motivi di ricorso, in quanto costituiscono la mera riproposizione di motivi già proposti in appello e adeguatamente respinti dalla Corte di merito, e, comunque, oltre ad essere ripetitivi sono genericamente formulati, volti a sollecitare una nuova valutazione di circostanze, di fatto, già valutate, quali la consapevolezza del ricorrente, la sua erronea indicazione del costo deducibile ai fini dell'IVA, a suo dire scaturente da errori avvenuti nel corso delle indagini (cfr. pag. 18 della sentenza impugnata, ove la corte si diffonde sull'elemento soggettivo del reato, con riferimento ad entrambe le imposte).

3.4. Né assume rilevanza ai fini della dedotta contraddittorietà della motivazione la circostanza che la corte abbia operato un riferimento, nel motivare la condanna, al provvedimento di sequestro del 17 gennaio 2011, omettendo ogni riferimento alla sua revoca.

Ed infatti, a prescindere dalla marginalità dell'argomento, dalla mera lettura della sentenza e del provvedimento di revoca prodotto dal ricorrente, non emerge alcuna contraddizione atteso che la argomentazione contenuta in sentenza ha un carattere generale, risulta inserita in relazione alla richiesta di riduzione della confisca nei limiti dell'importo corrispondente alla sola indebita detrazione IVA e predica, astrattamente, il corretto principio per cui è sempre disposta la confisca dei beni che costituiscono il prodotto, il prezzo o il profitto del reato, mentre nel provvedimento impugnato, in fatto, si argomenta con valutazioni non solo non sindacabili in questa sede, ma non illogiche né contraddittorie, sul fatto che i beni in sequestro non costituiscano il profitto del reato).

3.5. - Quanto alla prescrizione dei reati, oggetto del quarto motivo di ricorso, deve rilevarsi che la stessa si è già verificata alla data della presente sentenza.

Ed infatti, anche considerando quale momento consumativo del reato il 27.12.2008 (data di presentazione di variazione sulla detrazione IVA), come dedotto dal ricorrente (e quindi successiva a quella contestata del 29.9.2008) ed anche considerando la sospensione dal 12.5.2016 al 23.9.2016, il reato risulta prescritto in data 21 dicembre 2016, ossia prima della data della presente sentenza, risultando già decorso il periodo di sette anni e sei mesi.

4. - A fronte di un ricorso non inammissibile, la sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata senza rinvio, perché i reati sono estinti per intervenuta prescrizione.

 

P.Q.M.

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché i reati sono estinti per prescrizione.