Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 13 ottobre 2017, n. 24195

Dimissioni - Stato di gravidanza - Revoca delle dimissioni - Dimissioni non rassegnate in periodo di gravidanza - Efficacia sospensiva del preavviso per malattia collegata alla gravidanza - Mutamento della causa petendi - Inammissibilità

 

Rilevato

 

Che con ricorso al Tribunale di Milano, S.M. aveva convenuto in giudizio la società H.G., della quale era stata dipendente sino al 27.9.06, data in cui aveva rassegnato le dimissioni;

che in data 26.11.2006 si era dovuta assentare per malattia, con prognosi di 30 gg., in quanto, essendo incinta, aveva avuto un distacco della placenta; che il 28.11.06 aveva comunicato lo stato di gravidanza e che intendeva revocare le dimissioni; che la società aveva indicato nella busta paga di novembre 2006 l'intervenuta cessazione del rapporto a far tempo dal 30.11.2006.

La M. lamentava quindi l'invalidità e/o inefficacia delle dimissioni perché rassegnate in periodo di divieto di dimissioni in base all’art. 4 d.P.R. n. 1026/76 e in base all'art. 55, comma 4, d.lgs. n. 151/01, essendo ella già incinta in data 15.09.2006, avendo partorito in data 12.7.2007. La ricorrente lamentava comunque la nullità del licenziamento adottato per facta concludentia, per avere ella revocato le dimissioni. Infine lamentava il mancato pagamento dell'indennità di malattia protrattasi dal 28.11.2006 e certificata.

La ricorrente concludeva chiedendo accertarsi la nullità delle dimissioni comunicate il 27.9.06, accertare la sussistenza del rapporto di lavoro con condanna della società alla riammissione in servizio ed al pagamento delle retribuzioni, specificando che, per il periodo dal 28.11.2006 al 23.5.2007 ella aveva diritto all'indennità di malattia e per il periodo successivo all'indennità di maternità, chiedendo altresì il risarcimento danni per demansionamento.

Che la società contestava le domande.

Che il Tribunale respingeva il ricorso rilevando che le dimissioni del 27.9.2006 non erano state rassegnate in periodo di gravidanza e che non aveva rilevanza ai fini della validità delle stesse la circostanza che la malattia, comunicata il 27.11.2006, fosse collegata a tale stato.

Che avverso tale sentenza proponeva appello la M. lamentando che il primo giudice non avesse tenuto conto dell'efficacia sospensiva del preavviso ad opera della malattia e che pertanto il primo giudice avrebbe dovuto accertare tale evento e condannare quindi la società al pagamento dell'indennità di malattia e, poi, dell'indennità di maternità fino alla fine del periodo di astensione obbligatoria e facoltativa.

Che nella resistenza della società, la quale eccepiva l'inammissibilità e comunque l'infondatezza dell'appello perché l'appellante aveva in realtà formulato una domanda nuova, introducendo un nuovo tema di indagine, in particolare chiedendo la corresponsione dell'indennità di malattia e dell'indennità di maternità sul solo presupposto dell'efficacia sospensiva del preavviso.

Che con sentenza depositata il 15.10.12, la Corte d'appello di Milano respingeva il gravame, ritenendo esservi stata un inammissibile mutamento della domanda (non più invalidità delle dimissioni collegata alla gravidanza, ma effetto sospensivo della malattia in periodo di preavviso).

Che per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la M., affidato ad unico motivo, cui resiste la società con controricorso, poi illustrato con memoria.

 

Considerato

 

Che deve pregiudizialmente considerarsi che la nomina di nuovo difensore, contenuta in memoria, è priva di effetto essendo stata autenticata solo nelle forme di cui all'art. 83 c.p.c. (nella formulazione precedente la L. n. 69\09), inerente gli atti introduttivi del giudizio, e non con procura speciale autenticata da notaio o altro pubblico ufficiale.

Che la ricorrente denuncia la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia, e la violazione degli artt. 437 e 345 c.p.c. (art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.), lamentando che la sentenza impugnata si era basata su di una erronea valutazione del ricorso introduttivo del giudizio, escludendo che in esso fosse stata fatta valere la sospensione del preavviso per effetto di malattia. Evidenzia di aver chiesto in tale sede anche il versamento dell'indennità di malattia, dovendosi così ritenere la questione entrata a far parte del giudizio.

Che il motivo, che presenta peraltro profili di inammissibilità non avendo la ricorrente prodotto, ex art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., il ricorso introduttivo (cfr. Cass. sez.un. n. 8077\12), è infondato, posto che non v'è dubbio che la M. ebbe a richiedere in primo grado l'annullamento delle dimissioni perché intimate durante la gravidanza (domanda palesemente infondata posto che in data 27.9.06 non poteva ritenersi in gravidanza, avendo partorito il 12.7.07), mentre solo in grado di appello sostenne la sospensione del periodo di preavviso (di dimissioni) per intervenuta malattia, con conseguente condanna della società al pagamento dell'indennità di malattia e quindi dell'indennità di maternità obbligatoria e facoltativa.

Che anche a voler prescindere dal mancato deposito della comunicazione di malattia e della relativa certificazione sanitaria (ex art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c.), non v'è dubbio che la domanda proposta in sede di appello sia inammissibile per mutamento non solo della causa petendi (effetto sospensivo del preavviso per sopravvenuta malattia), ma anche del petítum (non più annullamento delle dimissioni, ma condanna della società al pagamento delle indennità di maternità, obbligatoria e facoltativa).

Che il ricorso deve dunque rigettarsi, con conseguente pronuncia sulle spese come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.200,00 per esborsi, €.4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e c.p.a.