Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 20 settembre 2017, n. 21861

Natura subordinata del rapporto di lavoro - Differenze retributive - T.f.r.

Esaminati gli atti e sentita la relazione del consigliere dr. F.D.G.; rilevato che con ricorso del sei aprile 2012 la S.r.l. P.P.M. ha impugnato la sentenza n. 6219/19 settembre - sei ottobre 2011, con la quale la Corte d'Appello di Roma rigettava il gravame, interposto dalla medesima società avverso la pronuncia in data 8 giugno 2006, che aveva accolto la domanda di parte attrice (M.M.R.), con la condanna della convenuta società al pagamento di quanto ivi liquidato per differenze retributive (escluso lo straordinario) e a titolo di t.f.r., oltre che al pagamento delle spese di lite, ritenendo la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti dal febbraio 2001 al 14 aprile 2003;

 

Rilevato

 

che il ricorso per cassazione della società è affidato ad un solo motivo (per violazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c.), denunciando insufficiente e contraddittoria motivazione della gravata pronuncia, per il fatto che nonostante l'inattendibilità dei testi escussi, sia in riferimento al proprio interesse nella causa e sia per la non costante presenza sul luogo di lavoro, la Corte d'Appello avrebbe dovuto accogliere il gravame;

visto il controricorso 12 maggio 2012, con il quale M.M.R. ha resistito all'impugnazione avversaria;

vista la memoria depositata per la contro ricorrente;

rilevato che il Pubblico Ministero non ha presentato requisitorie e che il ricorrente non risulta aver depositato memorie, nonostante la tempestiva comunicazione;

 

Considerato

 

che il ricorso appare infondato, oltre che alquanto carente nell'esposizione dei fatti di causa, di modo che ha senz'altro respinto;

che, come si evince agevolmente dall'articolata motivazione dell'impugnata sentenza, il giudice di merito ha esaurientemente esaminato le acquisite risultanze istruttorie, apprezzandole quindi con più che sufficienti e lineari argomentazioni, poi sfociate nella conseguente decisione, sicché in sede di legittimità, nell'ambito della c.d. critica vincolata, nei limiti rigorosamente fissati dall'art. 360 del codice di rito, non è consentito nell'ambito del controllo di competenza affidato a questa Corte alcun riesame dei fatti, laddove come nella specie non si riscontrino specifici errori di diritto rilevabili nella pronuncia de qua (cfr. Cass. n. 25332 del 28/11/2014: la Corte di Cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione, che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa; ne deriva che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti);

che, a ben vedere, parte ricorrente tenta di sminuire quanto in punto di fatto accertato dai giudici di appello in primo e secondo grado, sulla scorta della chiamate testimonianze, ritenute - sufficienti, sotto il profilo probatorio, a supportare la domanda della lavoratrice, nei limiti in cui è stata accolta;

che, in relazione alla censurata motivazione, la doglianza si esaurisce in un mero dissenso rispetto a quanto diversamente opinato, in punto di fatto, dai giudici di merito, come tale non rilevante ai sensi dell'art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. (secondo il testo ratione temporis applicabile, ex art. 2, d.lg. 2 febbraio 2006, n. 40 "per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio", rimasto in vigore sino alla sua sostituzione operata dall'art. 54, co. 1, lett. b), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in I. 7 agosto 2012, n. 134);

che, invero, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all'uopo, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. lav. n. 27162 del 23/12/2009 Analogamente, v. Cass. lav. n. 6288 del 18/03/2011.

V. tra l'altro Cass. lav. n. 7394 del 26/03/2010, secondo cui è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata. In caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione.

Conforme Cass. n. 6064 del 2008.

V. pure Cass. I civ. n. 1754 del 26/01/2007: il vizio di motivazione che giustifica la cassazione della sentenza sussiste solo qualora il tessuto argomentativo presenti lacune, incocrenze e incongruenze tali da impedire l'individuazione del criterio logico posto a fondamento della decisione impugnata, restando escluso che la parte possa far valere il contrasto della ricostruzione con quella operata dal giudice di merito e l'attribuzione agli elementi valutati di un valore e di un significato difformi rispetto alle aspettative e deduzioni delle parti.

In senso conforme, Cass. lav. n. 11660 e n. 11670 del 18/05/2006, n. 3881 del 22/02/2006, nonché Cass. III civ. n. 3928 del 31/03/2000.

Cfr. altresì Cass. civ. sez. 6-5, ordinanza n. 91 del 07/01/2014, secondo cui il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall'art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., non equivale alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in un nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità. Ne consegue che, ove la parte abbia dedotto un vizio di motivazione, la Corte di cassazione non può procedere ad un nuovo giudizio di merito, con autonoma valutazione delle risultanze degli atti, né porre a fondamento della sua decisione un fatto probatorio diverso od ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice di merito.

Conformi nn. 15489 del 2007 e 5024 del 2012.

Inoltre, Cass. V civ. n. 2805 del 05/02/2011 ha precisato che il motivo di ricorso con cui - ai sensi dell'art. 360, n. 5 cod. proc. civ. così come modificato dall'art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 - si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il "fatto" controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per "fatto" non una "questione" o un "punto" della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., o anche un fatto secondario, cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale, purché controverso e decisivo);

che pertanto il ricorso va disatteso, con conseguente condanna della parte rimasta soccombente alle spese;

ritenuto, infine, che non sussistono la condizioni di cui all'art. 13 c. 1 quater d.P.R. 115/2002, ratione temporis inapplicabile nella specie, trattandosi di ricorso risalente all'anno 2012;

 

P.Q.M.

 

RIGETTA il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida a favore della controricorrente in tremila/00 euro per compensi professionali ed in euro duecento/00 per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.