Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 17 luglio 2018, n. 18934

Tributi - IRPEF - Redditi di impresa - Criteri di valutazione - Contabilità inattendibile - Ricorso all'accertamento induttivo - Necessità - Esclusione

Fatti rilevanti e ragioni della decisione

1. L'Agenzia delle Entrate propone due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 79/3/10 del 14 ottobre 2010, con la quale la commissione tributaria regionale della Puglia, in riforma della prima decisione, ha ritenuto parzialmente fondato l'avviso di accertamento per IIDD ed Iva 2003 notificato, in esito a processo verbale di constatazione 24 febbraio 2005, a G. V. nella sua qualità di titolare dell'omonima ditta individuale edile, corrente in Trani.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che: - erroneamente il primo giudice aveva qualificato l'accertamento in oggetto ai sensi del 'secondò comma dell'articolo 39 d.P.R. 600/73, nonostante che si trattasse di accertamento, non induttivo ma analitico, ai sensi del "primo" comma della disposizione citata; ciò, tuttavia, si risolveva in un mero errore di trascrizione privo di incidenza decisoria; - l'ufficio aveva operato la ricostruzione analitica dei presupposti d'imposta, pur a fronte di varie lacune nella tenuta della contabilità da parte del V. (assenza del prospetto delle rimanenze; mancata redazione della nota integrativa al rendiconto; assenza del prospetto delle opere, forniture e servizi di durata ultrannuale ex articolo 60 T.U.I.R.); - corretta doveva ritenersi la ripresa a tassazione di ricavi per € 300.000,00, posto che la nota di credito in proposito emessa dal V. nei confronti della M. soc.cons.r.l. non trovava comprovata giustificazione economica; - illegittimo, per contro, era l'avviso di accertamento in relazione al disconoscimento,da parte dell'agenzia delle entrate,dei costi di gestione dell'ufficio sito in Bari, posto che il contribuente aveva dimostrato l'effettivo utilizzo di tale sede per l'espletamento della propria attività (come risultava da un contratto di comodato intercorso con la proprietaria V. spa, nonché dalla dichiarazione di variazione presentata il 14 marzo 2005,con effetto retroattivo, all'Ufficio Iva).

Resistono con controricorso gli eredi del V. (deceduto il 5 agosto 2009), i quali propongono anche quattro motivi di ricorso incidentale.

2.1 Con il primo motivo di ricorso principale l'agenzia delle entrate lamenta - ex art. 360, 1^ co. n. 4 cod.proc.civ. - violazione dell'articolo 112 cod.proc.civ.. Per avere la commissione tributaria regionale affermato la deducibilità dei costi di gestione dell'ufficio di Bari, nonostante che i contribuenti non avessero proposto sostanziale censura avverso l'opposta decisione di primo grado; né avessero richiamato la prova (sulla base degli elementi invece ravvisati dal giudice di appello) insita in documenti asseritamente idonei ad attribuire data certa al comodato d'uso dei locali.

2.2 II motivo è infondato.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente principale, i contribuenti avevano impugnato la sentenza di primo grado (atto di appello, pagg.22-23) anche sotto lo specifico profilo del disconoscimento dei costi di gestione della sede di Bari; assumendo che quest'ultima (ancorché non ancora formalmente comunicata all'anagrafe tributaria) era effettivamente impiegata dalla ditta individuale del V., come poteva desumersi (oltre che dalla comprovata inidoneità, per mancanza di arredi e macchine d'ufficio, della sede legale in Trani), dal contratto di comodato. Contratto la cui certezza di data emergeva, asseritamente, dalla sua menzione nelle relazioni sulla gestione contenute nei bilanci 2000/2003 della comodante V. spa (prodotti in appello).

Nell'atto di gravame dei contribuenti, in particolare, era dato evincere non soltanto un elemento volitivo di impugnazione, ma anche un contenuto critico e di doglianza; là dove la sentenza di primo grado veniva censurata proprio per non aver attribuito rilevanza probatoria al contratto di comodato; così come allegato già in sede di processo verbale di constatazione, e quindi richiamato nel ricorso introduttivo del giudizio.

Non può pertanto fondatamente sostenersi che la commissione tributaria regionale, prendendo posizione su tale aspetto di lite, abbia travalicato i limiti devolutivi dell'appello e, con ciò, il principio di correlazione tra il chiesto ed il pronunciato ex articolo 112 cod.proc.civ. .

3.1 Con il secondo motivo di ricorso principale l'agenzia delle entrate lamenta - ex art.360, 1A co. n. 3 cod.proc.civ. - violazione e falsa applicazione degli articoli 75 d.P.R. 917/1986 e 2697 cod.civ. Per avere la commissione tributaria regionale affermato la deducibilità dei costi di gestione dell'ufficio di Bari sulla base di due elementi (- la dichiarazione Iva ad effetto retroattivo; - il contratto di comodato d'uso privo di data certa) normativamente inidonei allo scopo.

3.2 II motivo è fondato nei termini che seguono.

Il giudice di appello ha ritenuto illegittimo l'avviso di accertamento nella parte concernente il disconoscimento dei costi di gestione della sede barese della ditta in verifica; e ciò perché l'effettivo utilizzo di tale sede da parte del V. doveva desumersi: a. dal contratto di comodato intercorso con la V. spa, "sia pure non registrato"; b. dalla variazione presentata all'ufficio Iva il 14 marzo 2005, "ma con decorrenza 10 gennaio 2000".

Ora, così facendo il giudice di merito ha attribuito a tali documenti un'efficacia preclusa dalla legge.

Per quanto concerne il contratto di comodato, rileva che esso era stato dedotto in giudizio dalla parte contribuente, non quale mero fatto storico, bensì quale negoziale opponibile all'amministrazione finanziaria. Da ciò derivava che, in tanto esso poteva assurgere a prova di un titolo contrattuale di utilizzo dei locali, in quanto fosse dotato di data certa opponibile nei confronti dei terzi ex articolo 2704 cod.civ. (sulla qualità di "terzo" dell'amministrazione finanziaria in fase di accertamento: Cass. 7621/17; 29451/08 ed altre). Va del resto considerato come nemmeno il contribuente avesse contestato la necessità di data certa del contratto, salvo affermare che tale requisito dovesse ritenersi provato da altri elementi documentali di riscontro (quali la successiva variazione all'ufficio Iva, ed i bilanci della comodante V. spa). In tale situazione, il giudice di appello non si è fatto carico della disciplina legale di cui all'articolo 2704 cod.civ., né ha esplicitato alcunché in ordine alla possibilità di superare, nella specie, l'insussistenza totale degli elementi alternativi dai quali la norma da ultimo citata fa discendere - in assenza di registrazione - l'opponibilità dell'atto; e nemmeno ha individuato qualsivoglia altro fatto "che stabilisca in modo egualmente certo l'anteriorità della formazione del documento",ex art. cit..

Per quanto concerne la dichiarazione di variazione presentata all'ufficio Iva circa l'attivazione della sede barese, basterà rilevare come il giudice di appello ne abbia convalidato l'efficacia probatoria sol perché asseritamente dotata - non per effetto di legge, ma sulla base della dichiarazione del V. - di efficacia retroattiva "con decorrenza 10 gennaio 2000". Là dove l'effettivo utilizzo della sede di Bari a decorrere da questa data non poteva evidentemente probatoriamente affidarsi ad una dichiarazione di variazione presentata due anni dopo l'annualità in verifica e, per giunta, addirittura dopo il processo verbale di constatazione nel quale si era operato il disconoscimento. Dal che si evince come la denuncia di variazione non potesse di per sé valere, a tutto concedere, che per il futuro.

Va per vero rilevato come il giudice di appello non abbia valutato, per contro, nemmeno l'ulteriore elemento probatorio (dedotto a favore della parte contribuente) costituito dalla asserita menzione del suddetto contratto di comodato nei bilanci 2000/2003 della comodante V. spa (relazione sulla gestione); bilanci prodotti in appello ex art. 58 d.lgs. 546/92, e di cui si sostiene la data certa per regolarità di deposito.

Ne deriva, pertanto, la necessità di cassare sul punto la sentenza impugnata, con conseguente rinvio al fine di una nuova valutazione probatoria - avente riguardo alla interezza e complessità del quadro istruttorio fornito dalle parti - relativamente alla deducibilità dei costi in questione.

4.1 Con il primo motivo di ricorso incidentale i contribuenti lamentano - ex art.360, 1^ co. n. 4 cod.proc.civ. - nullità della sentenza per violazione dell'articolo 112 cod.proc.civ. . Per avere la commissione tributaria regionale omesso di pronunciarsi sulla specifica eccezione di illegittimità dell'avviso di accertamento (affetto da vizio di motivazione) perché basato su verifica analitica (art. 39 1^ co. d.P.R. 600/73) e non induttiva (2A co.), nonostante l'affermata pretesa inattendibilità delle scritture contabili. Su tale presupposto l'avviso di accertamento aveva ingenerato confusione ed incertezza, a scapito del diritto di difesa del contribuente.

Con il secondo motivo di ricorso incidentale i contribuenti deducono - ex art.360, Ia co. n. 5 cod.proc.civ. - insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo del giudizio. Per avere la commissione tributaria regionale ritenuto inattendibili le scritture contabili dell'impresa, nonostante che da esse fossero desumibili tutti gli elementi di ricostruzione dell'attività economica; e che irrilevanti fossero le lacune di contabilità da essa riscontrate (essendo, tra l'altro, la nota integrativa prescritta non per le ditte individuali, ma soltanto per le società di capitali tenute alla redazione del bilancio di esercizio).

4.2 Questi due motivi di ricorso, suscettibili di trattazione unitaria perché entrambi incentrati sulla inattendibilità delle scritture contabili, sono infondati.

La commissione tributaria regionale ha dato conto del fatto che l'avviso di accertamento in oggetto non poteva ascriversi - diversamente da quanto affermato, per mero errore materiale, dal primo giudice - al secondo comma dell'articolo 39 d.P.R. 600/73; rientrando, piuttosto, tra le ipotesi di accertamento analitico di cui al primo comma della disposizione citata. Tale convincimento trova rispondenza nel dato oggettivo che l'avviso medesimo (in ciò congruamente motivato) si articolava in contestazioni analitiche di emersione di specifici ricavi non dichiarati, ovvero di disconoscimento di specifici costi contabilizzati; senza con ciò accedere allo strumento presuntivo, ancorché secondo i requisiti legali di gravità, precisione e concordanza. Ne consegue, dunque, che l'amministrazione finanziaria ha effettivamente optato - com'era nei suoi poteri - per un accertamento di natura analitica.

In questo senso deve essere intesa l'affermazione del giudice di appello il quale, lungi dall'omettere la decisione sul punto, si è pronunciato appunto nel senso di ritenere fondata la tesi dell'ufficio circa la natura analitica dell'accertamento ai sensi del primo comma dell'articolo 39 cit.; dovendosi, per contro, ascrivere a mero errore materiale il riferimento operato dal primo giudice al secondo comma della medesima disposizione.

Tale statuizione deve, sotto altro profilo, ritenersi anche correttamente ancorata al dato legislativo, già interpretato nel senso che: "In tema di accertamento tributario, rientra nel potere dell'Amministrazione finanziaria, nell'ambito della previsione di legge, la scelta del corrispondente metodo da utilizzare, di cui il contribuente può dolersi solo se gliene derivi un pregiudizio sostanziale" (Cass. 2872/17); e, inoltre, nel senso che l'amministrazione medesima è legittimata a fare ricorso ad accertamento analitico pur in contesto di inattendibilità contabile: "in tema di accertamento dei redditi di impresa ai sensi dell'art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, la ricorrenza dei presupposti per l'accertamento induttivo (anche nella ipotesi di inattendibilità dell'intera contabilità) non comporta l'obbligo dell'ufficio di avvalersi di tale metodo di accertamento, ma costituisce una mera facoltà che non preclude, pertanto, la possibilità di procedere ad una valutazione analitica dei dati comunque emergenti dalle scritture dell'imprenditore" (Cass. 12904/08).

Quanto sin qui ritenuto rileva anche ai fini dell'infondatezza del secondo motivo di ricorso incidentale, non risultando che l'accertamento si sia basato su criterio induttivo derivato dalle carenze nelle scritture contabili.

Elemento, quest'ultimo, effettivamente riscontrato dal giudice di merito (il quale ha rilevato, in particolare, l'insussistenza di ricostruzione contabile su aspetti ritenuti imprescindibili della gestione di impresa edile quali, a parte la nota integrativa, il prospetto delle rimanenze e quello delle opere e servizi ultrannuali), e tuttavia non dirimente al fine di escludere la legittimità formale e sostanziale del criterio di accertamento in concreto adottato.

Va infine considerato come, in tale situazione, l'unico stato di "confusione" ed "incertezza", così come lamentato dai contribuenti, non derivi dall'avviso di accertamento in sé (quanto, a tutto concedere, dalla prima decisione), il quale deve ritenersi pertanto avulso anche da questo specifico vizio lamentato.

Ciò a maggior ragione in considerazione del fatto che nessun reale pregiudizio al diritto di difesa del contribuente è qui riscontrabile; avendo quest'ultimo ab initio perfettamente colto tutti gli elementi della contestazione a suo carico, e conseguentemente predisposto argomentata difesa su ogni profilo (Cass. 2872/17 cit.).

5.1 Con il terzo motivo di ricorso incidentale i contribuenti lamentano - ex art. 360, 1^ co. n. 5 cod.proc.civ. - insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo del giudizio. Per non avere la commissione tributaria regionale esplicitato la fonte del proprio convincimento in ordine alla mancanza di giustificazione economica della nota di credito per euro 300.000,00 emessa dal V. a favore della M. srl, a storno parziale della fattura n. 24/2002 emessa nei confronti di quest'ultima in regime di sospensione di ricavi.

5.2 II motivo è fondato.

Il giudice di appello ha ritenuto che non vi fossero i presupposti per l'emissione della nota di credito in oggetto, risultando "una certa discrasia tra le rimesse effettuate dalla M. alla V. G."', trattandosi piuttosto di atto "diretto ad equilibrare tra le varie ditte, tra loro collegate, il reddito di ognuna".

Si tratta di motivazione del tutto carente.

In primo luogo, essa è priva delle necessarie esplicitazioni dei presupposti fattuali di fondatezza del convincimento di merito; tanto più in assenza di indicazione degli elementi rivelatori della riscontrata "discrasia" tra le rimesse nonché, per altro verso, di indicazione delle ragioni per cui la redistribuzione, secondo un criterio convenuto, dei ricavi rinvenienti dalla commessa (gestita con modalità consortile attraverso la M., a tal fine costituita dall'ATI) implicasse di per sé il disconoscimento della passività in questione.

In secondo luogo, essa non dà minimamente conto dei plurimi argomenti e dei documenti che il V. aveva dedotto a riprova, invece, sia della effettività dello storno (asseritamente risultante dai bonifici bancari già allegati al processo verbale di constatazione), sia della sua giustificatezza economico-imprenditoriale (in rapporto alle convenute modalità di anticipazione e rimesse reciproche tra le imprese associate, comportanti l'instaurazione di un regime di ricavi in sospensione asseritamente ammontante, alla data della nota di credito, ad oltre € 1.400.000).

Si tratta di elementi ritualmente introdotti in giudizio perché già contenuti nel ricorso introduttivo, e quindi ribaditi dal contribuente nel proprio atto di gravame; anche con richiamo alla documentazione già in atti.

Non vi è dubbio, del resto, che si tratti di argomenti e documentazione decisivi, in quanto in grado di sovvertire il convincimento del giudice di merito; ed il cui mancato esame integra appieno la carenza motivazionale correttamente denunciata ex art.360, 1A co. n. 5 cod.proc.civ..

Non di rivisitazione degli elementi fattuali della vicenda, dunque, si tratta (il che sarebbe certamente inammissibile nella presente sede di legittimità), quanto di emersione di lacune espositive a tal punto radicali da impedire il controllo della logicità e correttezza ricostruttiva del ragionamento del giudice di merito.

6.1 Con il quarto motivo di ricorso incidentale i contribuenti deducono - ex art.360, 1A co. n. 5 cod.proc.civ. - insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo del giudizio. Per avere la commissione tributaria regionale ritenuto apoditticamente fondate le altre riprese a tassazione dell'amministrazione finanziaria (attribuzione di ricavi non contabilizzati per euro 3.565,00; nonché disconoscimento di costi vari di installazione caldaia; di recinzione; di riparazione autoveicolo; di fornitura alberi; di confezioni natalizie), in quanto "opportunamente evidenziati, senza tuttavia esplicitare i criteri di valutazione degli elementi contrari di prova offerti in giudizio.

6.2 Anche questa doglianza è fondata.

La carenza della motivazione sul punto è palese, dal momento che sulle riprese a tassazione II DD in oggetto il giudice di appello si è limitato ad osservare che esse andavano accolte, perché "opportunamente evidenziate" dall'ufficio.

Al di là della apoditticità di questa affermazione (di per sé sufficiente ad invalidare l'argomentazione del giudice di merito), la motivazione in esame risulta irrimediabilmente viziata dalla mancata presa di posizione, da parte di quest'ultimo,sui motivi di opposizione dedotti dal contribuente, fin dal ricorso introduttivo, avverso tali riprese. E ciò sulla base di considerazioni (segnatamente, di insussistenza del reddito non dichiarato, così come di effettività dei costi fatturati, e destinati a beni e servizi asseritamente inerenti le esigenze aziendali) replicate nell'atto di appello, ed assistite da produzioni documentali asseritamente probanti dell'infondatezza della pretesa impositiva.

Nemmeno in tal caso, pertanto, si tratta di inammissibilmente riconsiderare elementi fattuali, quanto di rilevare l'inconsistenza di una motivazione che ben può anzi dirsi, sul punto, del tutto assente.

Anche in relazione a tale aspetto, pertanto, la sentenza impugnata dovrà essere cassata con rinvio alla commissione tributaria regionale della Puglia; la quale, in diversa composizione, riconsidererà la fattispecie alla luce di quanto indicato. Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso principale, nonché il terzo ed il quarto motivo del ricorso incidentale, respinti gli altri;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale della Puglia in diversa composizione.