Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 23 settembre 2016, n. 18687

Tributi - IRPEF, IVA ed IRAP - Avviso di accertamento

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza n.331/04/08, la Commissione Tributaria Regionale della Campania rigettava l'appello proposto da C.E. avverso la sentenza di primo grado, con la quale era stato disatteso il suo ricorso nei confronti del diniego di autotutela per l'annullamento dell'avviso di accertamento, emesso dall'Ufficio ai fini IRPEF, IVA ed IRAP per l'anno di imposta 1999.

2. Il contribuente ricorre per cassazione avverso la decisione di appello su due motivi; l'Agenzia delle entrate replica con controricorso.

La causa perviene all'odierna udienza pubblica a seguito di rinvio a nuovo ruolo disposto all'adunanza camerale del 16.05.2012.

 

Considerato in diritto

 

1.1. Il contribuente con i due motivi deduce la nullità dell'impugnata sentenza per difformità tra il chiesto ed il pronunciato ex art. 112 cpc (art. 360, comma 1, n. 4, cpc), nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 3, L. n. 241/1990, 7, commi 1 e 2, della L. n. 212/2000 (art. 360, comma 1, n. 3, cpc).

1.2. Il ricorso è inammissibile.

1.3 Occorre premettere che la sentenza impugnata, in quanto pubblicata in data 05.11.2008 - ossia nel periodo compreso tra il 2 marzo 2006 ed il 4 luglio 2009, intercettato dalla disciplina transitoria di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 5 - è soggetta al regime (successivamente abrogato) dell'art. 366-bis cpc, il quale è stato fatto oggetto di approfondita ed ormai consolidata lettura ermeneutica ad opera di questa Corte.

1.4. In particolare, i motivi riconducibili all'art. 360 cpc, comma 1, n. 3, devono essere corredati - sempre a pena di inammissibilità - da appositi "quesiti di diritto" contenenti: a) una sintesi degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) l'indicazione della regola di diritto da questi applicata; c) la diversa regola di diritto ritenuta da applicare; il tutto in modo tale che il giudice di legittimità, nel rispondere al quesito, possa formulare una regula iuris suscettibile di applicazione anche in diversi casi (Cass. SSUU, nn. 2658 e 28536 del 2008, n. 18759 del 2009; Cass. n. 22704 del 2010, n. 21164 del 2013, nn. 11177 e 17958 del 2014).

Dovendo infatti assolvere la funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l'enunciazione del principio giuridico generale, i quesiti in questione debbono mettere la Corte in grado di comprendere - attraverso la loro semplice lettura - la prospettazione dell'errore asseritamente compiuto dal giudice di merito, nonché della regola che si assume, in sua vece, applicabile.

1.5. Ed è indubitabile che la formulazione del quesito di diritto - stante la stessa formulazione della disposizione richiamata - debba essere operata anche per la deduzione di errore in procedendo e, segnatamente del vizio di violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ai sensi dell'art. 112 cpc (Cass. nn. 4329/2009, 4146/2011).

1.6. Nella fattispecie in esame, tale indicazione riassuntiva e sintetica, come quesito di diritto del ricorso, manca del tutto, anche sotto l'aspetto strettamente grafico (cfr. Cass. n. 24313 del 2014); né può assumersi che il contenuto di siffatto momento di sintesi finale, ove formalmente inesistente, debba essere ricavato dalla Corte di legittimità attraverso la lettura e l’autonoma interpretazione dell'illustrazione del motivo (Cass. n. 22591 del 2013), poiché ne resterebbe svilita - rispetto ad un sistema processuale che già prevedeva la redazione del motivo con l'indicazione della violazione denunciata - la portata innovativa dell'art. 366-bis cpc, consistente proprio nell'imposizione della formulazione di motivi contenenti una sintesi autosufficiente della violazione censurata, funzionale anche alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità (ex multis, Cass. n. 16481 del 2014 e n. 20409 del 2008).

2.1. Conclusivamente il ricorso va rigettato per inammissibilità dei motivi.

2.2. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso per inammissibilità dei motivi;

- condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida nel compenso di €.7.200,00, oltre spese prenotate a debito.