Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 07 febbraio 2017, n. 3187

Licenziamento - Danno prodotto ad un carico di magnesite - Risarcimento datore di lavoro - Prestazione di lavoro straordinario - Onere della prova

Svolgimento del processo

 

1 - La Corte di Appello di Ancona ha respinto l'impugnazione proposta da S. O. avverso la sentenza del Tribunale di Pesaro che, pur dichiarando l'illegittimità del licenziamento intimato all'appellante il 20 marzo 2008 da L. S., aveva quantificato il risarcimento in sole quattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto; aveva escluso qualunque danno prodotto dal licenziamento intimato oralmente il 25 febbraio 2008; aveva ritenuto non provata la prestazione di lavoro straordinario; aveva accolto la domanda riconvenzionale (così si legge a pag. 2 della decisione) del datore di lavoro ed aveva parzialmente compensato l'importo liquidato ai sensi della legge n. 604 del 1966 con il risarcimento dovuto al datore di lavoro per il danno prodotto ad un carico di magnesite, divenuto inutilizzabile.

2 - La Corte territoriale ha ritenuto non fondati tutti i motivi di appello, con i quali erano state riproposte le domande non accolte dal giudice di prime cure, e ha rilevato, in sintesi, che:

a) l'appellante non aveva interesse alla pronuncia di inefficacia del primo licenziamento privo di forma scritta, perché aveva percepito regolarmente la retribuzione sino al momento del secondo atto di recesso e non aveva allegato ulteriori voci di danno;

b) il Tribunale correttamente aveva ritenuto che il danno prodotto al carico di magnesite dovesse essere addebitato al lavoratore posto che, a prescindere dalla inverosimiglianza delle circostanze addotte da quest'ultimo, che di per sé non giustificava la mancata assunzione delle prove, rientra nella diligenza esigile da parte del datore di lavoro la pulizia del mezzo di trasporto, se indispensabile per evitare il danneggiamento del nuovo carico;

c) il danno cagionato al S. non poteva che essere pari al prezzo non incassato a seguito della consegna di materiale obiettivamente inservibile;

d) la non liquidità del credito risarcitorio non impediva la cosiddetta compensazione atecnica, operante nella fattispecie perché crediti e debiti avevano origine da un unico rapporto;

e) la indennità prevista dall'art. 8 della legge n. 604 del 1966 non poteva essere superiore a quattro mensilità poiché il rapporto era durato meno di tre anni; l'impresa impiegava solo sei lavoratori; l'inadempimento ed il danno erano stati provati e doveva essere esclusa solo la proporzionalità rispetto alla sanzione espulsiva;

f) l'onere di provare la prestazione di lavoro straordinario grava sul lavoratore che nella specie non lo aveva assolto perché il resistente aveva contestato la conformità all'originale delle copie dei dischi cronotachigrafici prodotti e la deposizione resa dalla moglie dell'appellante, in merito alle abitudini di quest'ultimo, non era idonea a dimostrare la genuinità dei documenti.

3 - Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso S. O. sulla base di undici motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c...L. S., titolare della omonima ditta individuale di trasporti, ha resistito con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1.1 - Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte territoriale erroneamente escluso l'interesse alla pronuncia di inefficacia del licenziamento verbale. Sostiene che detta pronuncia era stata espressamente richiesta e doveva essere resa in quanto il danno, una volta accertata l'assenza del necessario requisito formale, non si esaurisce nel pagamento della retribuzione dovuta per il periodo compreso fra i due atti di recesso. Ribadisce che i testi escussi avevano confermato il licenziamento verbale ed aggiunge che il giudice di appello aveva omesso di pronunciare anche sulla eccepita illegittimità della sospensione cautelare.

1.2 - La seconda censura, formulata ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c., lamenta contraddittorietà e illogicità della motivazione, tale da determinare la nullità della sentenza impugnata. Rileva che la Corte territoriale, dopo avere correttamente riconosciuto che la eventuale inverosimiglianza delle circostanze dedotte nei capitoli non giustificava la mancata ammissione della prova testimoniale, del tutto contraddittoriamente aveva ritenuto che l'inadempimento del lavoratore poteva dirsi accertato, quando, in realtà, il ricorrente aveva chiesto di essere ammesso a provare che nell'occasione si era attenuto alle direttive date dal datore di lavoro.

1.3 - Il terzo motivo denuncia "omesso esame circa il fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, consistente nell'accertamento dell'effettivo contenuto delle direttive e degli ordini impartiti dal S.". Il ricorrente ribadisce che dopo il trasporto del carico di carbone era stata effettuata la pulizia del mezzo nel rispetto delle modalità imposte dal datore, sicché la Corte territoriale avrebbe dovuto accertare se la circostanza dedotta, contestata dal S., rispondesse a verità.

1.4 - Con la quarta critica il ricorrente si duole della violazione dell'art. 115 c.p.c. e dell'art. 2729 cc.. Sostiene che il danno asseritamente subito dal datore di lavoro non poteva essere dimostrato mediante il ricorso a illegittime presunzioni perché, in realtà, il lavoratore aveva tempestivamente contestato tutte le circostanze dedotte dal datore di lavoro, il quale non aveva provato che il carico fosse proprio quello trasportato dall'O.; che il prezzo non fosse stato corrisposto; che il materiale fosse effettivamente inservibile.

1.5 - Il quinto motivo denuncia "violazione del principio di ripartizione dell'onere della prova ex art. 2697 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.". Evidenzia il ricorrente che la responsabilità del lavoratore verso il datore di lavoro per un evento dannoso conseguito all'espletamento delle mansioni può essere affermata a condizione che il datore dimostri la condotta colposa e la derivazione causale del danno da tale condotta. Solo qualora detta prova sia stata fornita il lavoratore per andare esente da responsabilità è tenuto a provare la non imputabilità dell'inadempimento. Nel caso di specie, pertanto, la domanda risarcitoria non poteva essere accolta innanzitutto perché il S. non aveva provato gli elementi costitutivi del suo diritto ed inoltre perché il lavoratore aveva chiesto di dimostrare di essersi attenuto a precise direttive impartitegli.

1.6 - Il ricorrente si duole poi, con la sesta critica, della violazione degli artt. 2712 c.c. e 115 c.p.c.. Sostiene che il disconoscimento non era stato specifico e chiaro perché il datore di lavoro aveva solo insinuato un sospetto di alterazione, sicché il giudice del merito avrebbe dovuto esaminare i documenti e valutare la deposizione della teste, la quale aveva riferito che le fotocopie erano esattamente conformi agli originali.

1.7 - Il settimo motivo denuncia la violazione del principio della vicinanza della prova. Rileva l'O. che il lavoratore, che abbia prodotto copia di atti non in suo possesso, non ha l'onere di domandare, in caso di disconoscimento, l'esibizione degli originali che il datore di lavoro, in virtù del principio richiamato in rubrica, è tenuto a produrre spontaneamente. Ove ciò non accada la esibizione deve essere disposta dal giudice "in virtù del potere acquisitivo che gli è proprio nel processo del lavoro".

1.8 - L'ottava censura lamenta illogicità dell'impugnata sentenza, rilevante ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c.. Si sostiene che il capo della sentenza di primo grado relativo alla compensazione era stato censurato con uno specifico motivo di appello, perché il Tribunale aveva erroneamente ritenuto possibile la compensazione stessa con un credito risarcitorio non provato nell'an e nel quantum. La Corte territoriale, pertanto, nel richiamare i principi in tema di compensazione atecnica aveva finito per emettere una pronuncia "in rapporto di illogicità e disancoratezza rispetto ai motivi di gravame".

1.9 - La illogicità della motivazione è denunciata anche nel nono motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., con il quale il ricorrente si duole della quantificazione della indennità, rilevando che il Tribunale non aveva in alcun modo motivato sul punto e che la Corte di Appello aveva incomprensibilmente attribuito rilievo alle mansioni di autista quando, in realtà, avrebbe dovuto valorizzare soprattutto la "tenuità del fatto" che aveva determinato il licenziamento.

1.10 -Il decimo motivo denuncia "falsa applicazione dell'art. 429 c.p.c." perché prima di procedere alla compensazione occorreva maggiorare l'ammontare della retribuzione di interessi e rivalutazione monetaria. Nella retribuzione globale di fatto, inoltre, dovevano essere inserite anche le ulteriori voci di carattere continuativo come i ratei di TFR, le indennità e i premi corrisposti nel corso del rapporto.

1.11 - Infine l'undicesimo motivo eccepisce la "nullità della sentenza per mancanza di motivazione in ordine al motivo di gravame n. 10 dell'atto di appello", con il quale era stata denunciata l'omessa pronuncia sulle istanze istruttorie, non accolte dal Tribunale e riproposte, in sede di precisazione delle conclusioni, nel foglio di deduzione depositato come parte integrante del verbale di udienza del 20 novembre 2009. Sostiene il ricorrente di avere richiesto oltre alla prova testimoniale anche consulenza tecnica sulla asserita contraffazione delle copie dei dischi nonché sulla possibilità di recuperare la magnesite contaminata dal carbone. Dette istanze istruttorie dovevano essere ammesse.

2 - Il primo motivo presenta profili di inammissibilità ed è per il resto manifestamente infondato.

La Corte territoriale non ha omesso di pronunciare sulla domanda volta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia del licenziamento verbale, bensì l'ha ritenuta inammissibile per difetto di interesse. Rispetto a detto capo della decisione non è, dunque, pertinente la denuncia di violazione dell'art. 112 c.p.c..

Il giudice di appello, inoltre, ha escluso l'interesse all'accertamento della inefficacia del licenziamento orale, perché al lavoratore era stata corrisposta l'intera retribuzione maturata nell'arco temporale compreso fra il primo atto di

recesso ed il successivo licenziamento, questa volta intimato nel rispetto del necessario requisito di forma.

Il ricorrente censura la decisione, limitandosi a rilevare che il risarcimento del danno non poteva essere pari alla sola retribuzione del periodo 29.2.2008/20.3.2008, ma non indica le ragioni per le quali la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere il pagamento integralmente satisfattivo. In particolare il ricorrente non precisa quali siano le norme di legge che il giudice di appello avrebbe violato né quale diversa voce di danno egli aveva allegato nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

2.1 - Il motivo è, poi, manifestamente infondato nella parte in cui asserisce che, una volta dichiarata la inefficacia del licenziamento orale, andavano emesse le pronunce conseguenti e non doveva essere neppure esaminata la domanda tendente ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del secondo recesso, essendo la stessa subordinata al non accoglimento della principale.

Premesso che nulla impedisce al datore di lavoro privato di rinnovare il licenziamento nullo per difetto dei requisiti di forma ( cfr. Cass. 19.3.2013 n. 6773), va detto che in tal caso opera il principio, già affermato da questa Corte (cfr. fra le più recenti Cass. 20.1.2011 n. 1244), in forza del quale il secondo licenziamento sarà produttivo di effetti nel caso in cui venga riconosciuto invalido o inefficace il primo atto di recesso, con la conseguenza che il risarcimento del danno derivato dalla illegittimità del primo atto, dovrà essere limitato alle retribuzioni maturate nell'arco temporale compreso fra i due licenziamenti e, nei rapporti soggetti alla tutela reale, non potrà comprendere la reintegrazione nel posto di lavoro ove il secondo recesso sia legittimo o non venga impugnato (Cass. 6.3.2008 n. 6055).

Da detti principi discende che qualora, come nella fattispecie, al primo licenziamento, intimato in forma orale, faccia seguito un secondo licenziamento, non affetto da vizi formali ma illegittimo per assenza di giusta causa, la tutela che il lavoratore può invocare per l'assenza del requisito di forma sarà limitata al periodo compreso fra i due atti di recesso, sicché, ove non sussista il requisito dimensionale richiesto dall'art. 18 della legge n. 300 del 1970, dalla illegittimità del secondo licenziamento deriveranno unicamente gli effetti previsti dalla legge n. 604 del 1966.

2.2 - Infine è inammissibile la censura di omessa pronuncia sulla domanda tendente ad ottenere l'accertamento della illegittimità della sospensione.

Il motivo, infatti, è formulato senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione imposti dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c. perché il ricorrente non ha riportato, neppure per estratto, il contenuto dell'atto di appello, al fine di dimostrare che anche detta questione era stata devoluta al giudice del gravame mediante la formulazione di una specifica censura.

3 - I motivi con i quali sono stati censurati i capi della decisione relativi al danno subito dal datore di lavoro e portato in compensazione (secondo, terzo, quarto, quinto, undicesimo motivo), presentano profili comuni di inammissibilità.

La sentenza impugnata è stata pubblicata il 17 maggio 2013, sicché è applicabile alla fattispecie l'art. 360 n. 5 c.p.c. nel testo modificato dalla legge 7 agosto 2012 n.134 ( pubblicata sulla G.U. n. 187 dell'11.8.2012), di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, che consente di denunciare in sede di legittimità unicamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

Hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte ( Cass. S.U. 22.9.2014 n. 19881 e Cass. S.U. 7.4.2014 n. 8053) che la ratio del recente intervento normativo è ben espressa dai lavori parlamentari lì dove si afferma che la riformulazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c. ha la finalità di evitare l'abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare la funzione nomofilattica propria della Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non dello ius litigatoris, se non nei limiti della violazione di legge. Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo allorquando l'anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, "in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione.".

Nessuna di dette ipotesi ricorre nella fattispecie, poiché la Corte territoriale, sia pure con motivazione sintetica, ha dato conto delle ragioni per le quali dovevano ritenersi provati l'inadempimento ed il danno che dallo stesso era derivato, evidenziando che "è certamente esigibile la diligenza consistente nel provvedere alla pulizia del mezzo per evitare l'irreparabile danneggiamento del nuovo carico e la segnalazione al datore di lavoro del possibile danno nell'ipotesi in cui ciò non fosse stato fatto". La Corte ha aggiunto che ''non essendo dubbia la premessa della consegna e non essendovi contestazione in ordine alla congruità del prezzo pattuito, deve ritenersi legittimamente presumibile la sussistenza del danno in corrispondenza del prezzo non incassato, per la consegna di materiale obiettivamente inservibile".

3.1 - Una volta esclusa la violazione di legge per difetto assoluto di motivazione, la ammissibilità delle censure prospettate nel ricorso va valutata alla luce del nuovo testo dell'art. 360 n. 5 c.p.c., che non riguarda la motivazione della sentenza ma concerne, invece, l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. L'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l'omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

Il motivo, quindi, è validamente formulato ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. solo qualora il ricorrente indichi il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività".

Dette condizioni non ricorrono nella fattispecie, poiché il ricorrente insiste nel sostenere che nessuna specifica indicazione era stata data da L. S. in merito alla pulizia del mezzo e che quest'ultima era stata effettuata con le modalità indicate dalla cooperativa Co.Tra.Mar., alla quale lo stesso S. aveva delegato il potere di stabilire le condizioni dei singoli trasporti.

Si tratta all'evidenza di circostanze non decisive rispetto al ragionamento decisorio seguito dal giudice del merito che, come già detto, ha ritenuto di ravvisare l'inadempimento nella omessa segnalazione al datore di lavoro del possibile danno che sarebbe derivato da una pulizia del mezzo non idonea ad evitare l'irreparabile danneggiamento del carico.

3.2 - Il quarto motivo, con il quale il ricorrente si duole della violazione dell'art. 115 c.p.c., è, poi, inammissibile perché non vengono forniti alla Corte i dati necessari per valutare ex actis la sussistenza della denunciata errata applicazione del principio di non contestazione.

Il ricorrente, infatti, sostiene che, contrariamente a quanto asserito dalla Corte territoriale, erano stati contestati tutti i presupposti fattuali del danno opposto in compensazione. A tal fine, peraltro, si limita a riportare nel ricorso il solo contenuto delle deduzioni fatte all'udienza del 20 novembre 2009, senza fare alcun cenno: alle circostanze allegate dal resistente nella memoria difensiva; alle ragioni per le quali il Tribunale aveva ritenuto fondata l'eccezione; al tenore delle censure formulate in appello per contrastare l'accoglimento della eccezione medesima ( non è certo sufficiente a tal fine la mera trascrizione delle rubriche dei motivi riportata alle pag. 8 e 9 del ricorso).

3.3 - Non sussiste, poi, la denunciata violazione dell'art. 2697 c.c. perché la Corte territoriale ha ritenuto che i fatti allegati dall'appellato fossero stati provati e che dagli stessi derivasse la responsabilità dell'O. per l'inesatto adempimento della prestazione.

La violazione di legge, ai sensi del combinato disposto degli artt. 360 1° comma, n. 3 c.p.c. e 2697 c.c., può essere utilmente denunciata nei casi in cui il giudice di merito, a fronte di un quadro probatorio incerto, abbia fondato la soluzione della controversia sul principio actore non probante reus absolvitur ed abbia errato nella qualificazione del fatto, ritenendolo costitutivo della pretesa mentre, in realtà, lo stesso doveva essere qualificato impeditivo. Solo in tal caso l'errore condiziona la decisione, poiché fa ricadere le conseguenze pregiudizievoli della incertezza probatoria su una parte diversa da quella che era tenuta, secondo lo schema logico regola-eccezione, a provare il fatto incerto.

Detta evenienza non si verifica allorquando il giudice, all'esito della valutazione delle risultanze di cause, pervenga al convincimento che i fatti allegati dalla parte a fondamento dell'azione o dell'eccezione siano provati.

In tal caso la doglianza sulla valutazione espressa, in quanto estranea alla interpretazione della norma, va ricondotta al vizio di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c. e, quindi, può essere apprezzata solo nei limiti che la disposizione, nel testo applicabile ratione temporis, pone.

In via conclusiva devono essere respinti, perché inammissibili o infondati, tutti i motivi con i quali l'O. ha censurato la sentenza impugnata per avere ritenuto che dalle non corrette modalità del trasporto della magnesite fosse derivata la inutilizzabilità del carico e, quindi, un danno per il datore di lavoro pari al costo del materiale divenuto inservibile.

4 - E' inammissibile l'ottava critica con la quale il ricorrente sostiene che la Corte territoriale non avrebbe compreso l'effettivo tenore della censura formulata con il terzo motivo di appello ed avrebbe, quindi, richiamato non a ragione i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di cosiddetta compensazione atecnica.

La doglianza anche in questo caso è formulata senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione ed allegazione, imposti dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c., perché nel ricorso è riportata solo la rubrica del motivo di appello, non sufficiente, ovviamente, a far comprendere i termini della censura proposta avverso la sentenza del Tribunale di Pesaro.

Si aggiunga che la denuncia di "illogicità e disancoratezza" della motivazione della decisione impugnata rispetto al motivo di appello è smentita dal tenore della rubrica di detto motivo, ossia dall'unico dato riportato nel ricorso, nella quale si fa riferimento alla "violazione degli artt. 1241 e seguenti c.c.", e, quindi, alle norme che disciplinano la "estinzione per compensazione".

5 - La nona censura, con la quale si contesta la quantificazione della indennità prevista dall'art. 8 della legge n. 604 del 1966, presenta i medesimi profili di inammissibilità evidenziati nel punto 3 perché la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell'affermare che in caso di licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo per il quale non sia applicabile la disciplina della cosiddetta stabilità reale, la determinazione, tra il minimo e il massimo, della misura dell'indennità risarcitoria prevista dalla norma sopra richiamata, spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per assenza o vizio della motivazione ( Cass. 8.6.2006 n. 13380 e negli stessi termini Cass. 22.1.2014 n. 1320 che ha esteso il principio alla quantificazione della indennità prevista dall'art. 32 della legge n. 183 del 2010) e, quindi, nei limiti previsti dalla nuova formulazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c.

Nel caso di specie la Corte territoriale ha dato conto delle ragioni per le quali la indennità doveva essere quantificata in sole quattro mensilità ed ha a tal fine richiamato le dimensioni dell'impresa, che impiegava sei lavoratori, la durata del rapporto di lavoro, protrattosi per soli tre anni, il comportamento e le condizioni soggettive delle parti, evidenziando che la sanzione espulsiva, seppure non proporzionata, era stata inflitta con riferimento ad una condotta tenuta dal lavoratore e produttiva di danno.

La sentenza, pertanto, è tutt'altro che incomprensibile ed il motivo, con il quale si sostiene che il giudice del merito avrebbe dovuto considerare anche la "tenuità del fatto determinante il licenziamento", si risolve in una inammissibile critica del ragionamento decisorio, non consentita in sede di legittimità.

6 - E' inammissibile anche il decimo motivo con il quale si sostiene, in sintesi, che la Corte territoriale avrebbe erroneamente avallato le operazioni di calcolo effettuate dal Giudice di prime cure, il quale aveva quantificato la retribuzione globale di fatto senza includere tutti gli emolumenti di carattere continuativo e senza considerare che, prima di operare la compensazione, le somme spettanti ai sensi dell'art. 8 della legge n. 604 del 1966 dovevano essere maggiorate, ex art. 429 c.p.c., di interessi e rivalutazione monetaria.

La sentenza impugnata non contiene alcuna statuizione sulla questione prospettata nel motivo, sicché opera nella fattispecie il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui "qualora una determinata questione giuridica - che implichi un accertamento di fatto - non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che riproponga tale questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa" ( Cass. 22.4.2016 n. 8206).

Si aggiunga che la censura è sostanzialmente rivolta avverso la sentenza di primo grado, per cui il ricorrente avrebbe dovuto allegare di avere formulato uno specifico motivo di appello relativo alla quantificazione della indennità (trascrivendone nel ricorso il contenuto, non essendo sufficiente la mera indicazione della rubrica che si legge a pag. 9) e denunciare la nullità in parte qua della sentenza impugnata per omessa pronuncia sul motivo di gravame.

7 - Sono, invece, fondati il sesto ed il settimo motivo, che attengono entrambi alle modalità del disconoscimento della conformità all'originale delle copie dei dischi cronotachigrafi prodotti dall'O. ed alle conseguenze che da detto disconoscimento derivano.

Il Collegio intende dare continuità all'orientamento recentemente espresso da questa Corte ( Cass. 2 settembre 2016 n. 17526) che, in fattispecie analoga, nel richiamare la giurisprudenza formatasi sulla questione, ha osservato che in tema di accertamento del lavoro prestato da un autotrasportatore, e quindi dello straordinario eventualmente svolto, i dischi cronotachigrafi, in originale od in copia fotostatica, ove da controparte ne sia disconosciuta la conformità ai fatti in essi registrati e rappresentati, non possono da soli fornire piena prova, stante la

preclusione sancita dall'art. 2712 c.c., né dell'effettuazione del lavoro e dell'eventuale straordinario, né della loro effettiva entità, occorrendo a tal fine che la presunzione semplice costituita dalla contestata registrazione sia supportata da ulteriori elementi, pur se anch'essi di carattere indiziario o presuntivo, offerti dall'interessato o acquisiti dal giudice nell'esercizio dei propri poteri istruttori (tra le altre v. Cass. n. 10366 del 2014; Cass. n. 9006 del 2002; Cass. n. 16098 del 2001).

A tal fine, peraltro, il disconoscimento delle riproduzioni informatiche di cui all'art. 2712 c.c., pur non essendo soggetto ai limiti e alle modalità di cui all'art. 214 c.p.c., deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendo concretizzarsi nell'allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta (Cass. n. 3122 del 2015; Cass. n. 9526 del 2010; Cass. n. 2117 del 2011).

Con la richiamata pronuncia si è anche sottolineato che, "poiché l'avvenuto disconoscimento non inficia del tutto la portata probatoria di tali riproduzioni ma le degrada a livello di presunzioni semplici, ne consegue che l'indagine dei giudici di merito deve essere orientata nel senso di accertare se e con quali ulteriori mezzi il lavoratore abbia ottemperato, in via integrativa, all'onus probandi su di lui incombente. Tale prova, appunto perché integrativa e di supporto, in quanto rivolta a superare l'elemento ostativo del disconoscimento della valenza dei dispositivi menzionati, può essere offerta o ricavata, anche a mezzo di ulteriori presunzioni semplici, quali la circostanza che il datore di lavoro non si sia mai peritato di produrre gli originali cronotachigrafi, con i relativi dischi registrati, né, sintomaticamente, abbia mai indicato nelle sue difese il contenuto, eventualmente diverso, da quello risultante dalle fotocopie ex adverso esibite, al fine di dimostrare la reale entità delle ore lavorative effettuate dal dipendente, limitandosi soltanto ad una generica contestazione dello straordinario vantato dall'altra parte e della portata probatoria degli apparecchi cronotachigrafi (Cass. n. 6437 del 1994)".

7.1 - La sentenza impugnata non è conforme ai principi di diritto sopra richiamati poiché da un lato ritiene sufficiente ai fini del disconoscimento il mero "sospetto di alterazione" avanzato dal datore di lavoro e dall'altro non considera che, per giurisprudenza costante di questa Corte, la conformità della copia all'originale può essere accertata attraverso altri mezzi di prova, ivi comprese le presunzioni ( in tal senso fra le più recenti Cass. 17.2.2015 n. 3122 ).

8 - In via conclusiva la pronuncia impugnata deve essere cassata limitatamente al capo avente ad oggetto la domanda volta ad ottenere il pagamento del lavoro straordinario, con rinvio alla Corte di Appello di Ancona che procederà ad un nuovo esame, provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità, attenendosi nella valutazione della prova documentale e testimoniale offerta dal lavoratore, al principio di diritto enunciato al punto 7.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il sesto ed il settimo motivo di ricorso. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte di Appello di Ancona in diversa composizione.