Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 07 febbraio 2017, n. 3178

Rapporto di lavoro a tempo indeterminato - Differenza tra somministrazione ed appalto di lavoro - Effettivo esercizio del potere organizzativo della prestazione lavorativa - Organizzazione dei mezzi necessari all'impresa

Svolgimento del processo

 

Con sentenza del 24.9.09 il Tribunale di Torino, in accoglimento del ricorso presentato da F. R., ha dichiarato costituito tra questi e la Vigilanza M. Torino s.p.a. un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere dal 17.9.04, condannando detta società al pagamento di eventuali differenze retributive da accertarsi in separato giudizio.

Contro tale sentenza, ha proposto appello la società Vigilanza M. Torino, chiedendone la riforma, previa l'ammissione delle prove ritenute irrilevanti dal primo giudice.

Con sentenza depositata il 3.2.2011, la Corte d'appello di Torino respingeva il gravame.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società, affidato a tre motivi.

Resiste il F. con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. -Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 29 d.lgs n. 276/03 e 1655 c.c. (interposizione fittizia di manodopera).

Lamenta che la sentenza impugnata non esaminò correttamente, alla luce dei documenti di causa integralmente riprodotti in copia in ricorso che proverebbero in tesi l'esistenza di un rischio d'impresa in capo alla G. S., gli elementi essenziali della subordinazione ed il rapporto intercorrente tra l'appaltatrice (G. S. Italia) e la committente M..

2. - Con il secondo motivo la ricorrente denuncia l'insufficiente e contraddittoria motivazione circa le modalità di svolgimento del lavoro da parte del F. ed alla subordinazione nei confronti della M. Lamenta che la subordinazione esisteva tra il F. e la G. S., da cui riceveva la retribuzione e che gestiva in concreto il rapporto. Evidenzia che tra tali parti sorse anche una controversia di lavoro, risolta con conciliazione nella quale il F. accettava il pagamento dei ratei di 14a mensilità da parte della G. S. Lamenta ancora che la sentenza impugnata ravvisò nella presenza di un dipendente (incaricato) M. nel turno di notte l'assenza di potere organizzativo in capo alla G. S., senza invece adeguatamente considerare che il F. venne trasferito dalla G.S. che provvide anche a contestare al F. un addebito disciplinare per abbandono del posto di lavoro.

3. - Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 244 e 245 c.p.c. relativamente alla mancata ammissione di istanze istruttorie richieste dalla M..

4. - I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono inammissibili.

Ed invero deve considerarsi che oltre al secondo, esplicitamente volto a censurare la motivazione della sentenza impugnata, anche le restanti censure appaiono dirette ad una generale rivalutazione delle circostanze di causa.

Al riguardo occorre rimarcare che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l'una e l'altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa. Cass. 16 luglio 2010 n. 16698; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394.

E'evidente che nella specie si lamenta una erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e dunque un vizio motivo.

Occorre allora rimarcare il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui il controllo di logicità del giudizio di fatto, ivi compreso quello denunciato sub violazione dell'art.115 e/o 116 c.p.c. (cfr. Cass. n. 15205/14, Cass. n. 12227/13), consentito dall'art. 360, comma primo, n. 5) cod. proc. civ., non equivale alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all'ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l'autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa. Né, ugualmente, la stessa Corte realizzerebbe il controllo sulla motivazione che le è demandato, ma inevitabilmente compirebbe un (non consentito) giudizio di merito, se - confrontando la sentenza con le risultanze istruttorie - prendesse d'ufficio in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione, accogliendo il ricorso "sub specie" di omesso esame di un punto decisivo. Del resto, il citato art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione operata dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. (Cass. 6 marzo 2006 n. 4766; Cass. 25 maggio 2006 n. 12445; Cass. 8 settembre 2006 n. 19274; Cass. 19 dicembre 2006 n. 27168; Cass. 27 febbraio 2007 n. 4500; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394; Cass.5 maggio 2010 n.10833, Cass. n. 15205/14). D'altro canto in sede di legittimità è censurabile solo la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto, incensurabile in tale sede - se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici - la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice ad includere il rapporto controverso nell'uno o nell'altro schema contrattuale (cfr, explurimis, Cass., nn. 10833/2010, 4036/2000, 326/1996).

Nella specie la sentenza impugnata, caratterizzata da estrema chiarezza e correttezza dell'iter logico giuridico, oltre che da una compiuta disamina di tutti gli elementi istruttori, ha esattamente evidenziato che alla luce dell'art. 29 del d.lgs n. 276/2003 (poi modificato dal d.lgs. n. 251/04) la differenza tra la somministrazione e l'appalto di lavoro, ammesso dalla nuova disciplina ad alcune condizioni, risiede nell'effettivo esercizio del potere organizzativo della prestazione lavorativa e nell'organizzazione dei mezzi necessari all'impresa da parte dell'appaltatore, mentre risulta secondaria la mera sussistenza di un potere organizzativo di tipo amministrativo (ad esempio in tema di ferie o permessi) in capo all'appaltatore.

Nella specie la sentenza impugnata ha accertato che l'attività concretamente svolta dai dipendenti della G. S. (appaltatrice) presso la M. (committente) era quella stessa di contazione valori da quest'ultima svolta ed organizzata, e che era inoltre la proprietaria delle attrezzature necessarie per l'effettuazione del servizio; che la committente si limitava a richiedere all'appaltatrice G. S. solo un certo numero di ore lavoro, su base mensile, in base alle specifiche esigenze di ogni periodo, con indicazione dei turni orari, limitandosi l'appaltatrice ad abbinare le persone a tali ruoli; che tale personale svolgeva poi le stesse identiche mansioni svolte dai dipendenti M., inserito stabilmente a tutti gli effetti nel ciclo produttivo di quest'ultima, a nulla rilevando, per le ragioni di cui in premessa, che i formali dipendenti della G. S. fossero impegnati esclusivamente nei turni serali o notturni, sempre sotto la sorveglianza di un incaricato M.. Quanto alla mancata ammissione delle prove testimoniali, in generale rimessa alla iniziativa ed alla discrezionale valutazione del giudice di merito (ex plurimis, Cass. n. 9551/2009), la corte di merito risulta averne congruamente valutato l'irrilevanza, inerendo i detti aspetti di gestione meramente amministrativa dei rapporti di lavoro e non già l'effettiva organizzazione del lavoro.

5. - Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.100,00 per esborsi, €.5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.