Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 08 giugno 2017, n. 14316

Cartella esattoriale - Recupero di agevolazioni indebite - Carenza di motivazione dell'atto impugnato - Non sussiste

 

Rilevato

 

che con sentenza n. 531/2011 la Corte d'appello di Roma ha rigettato l'appello proposto dall'Istituto di Vigilanza C.S.S. s.r.l avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva respinto l'opposizione a cartella esattoriale per il recupero di agevolazioni indebite fruite dalla società per contratti di formazione e lavoro intercorsi dal 1995 al 2001;

che la Corte territoriale ha ritenuto infondati i motivi d'appello, procedendo alla ricostruzione del quadro normativo europeo generatosi a seguito della Decisione della Commissione europea 2000/128/CE dell'11 maggio 1999 e facendone discendere varie conclusioni;

che avverso tale sentenza I'Istituto di V.C.S.S. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi al quale ha risposto l'INPS con controricorso mentre è rimasta intimata Equitalia Sud s.p.a.;

che il P.G. in data 3 febbraio 2017 ha richiesto il rigetto del ricorso;

 

Considerato

 

Che, premessa la precisazione che dalla mera parziale errata indicazione della società appellante, al quinto rigo della parte motivazionale della sentenza impugnata, non può trarsi la conclusione suggerita dalla ricorrente di una decisione riferita sostanzialmente ad altro soggetto posto che, come si vedrà, la sentenza ha rispettato sostanzialmente l'obbligo di valutazione della materia devoluta al grado d'appello;

che il primo motivo, con il quale la ricorrente deduce violazione e o falsa applicazione dell'art. 112 cod. proc. civ. ed omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (360 comma primo n. 4 e n. 5 cod. proc. civ.) in relazione alla omessa pronuncia sulle eccezioni di carenza di forma e motivazione dell'atto impugnato e della decadenza del potere di iscrivere a ruolo ai sensi dell'art. 25 d.lgs. 46/1999, è infondato perché, in ordine ai contenuti motivazionali della cartella ed alle fasi della procedura di recupero, la Corte di merito ha valutato sufficiente la giustificazione della pretesa riferendo, alla pagina 11 della sentenza, i contenuti della cartella e cioè l'indicazione del recupero sgravi CFL Dec. U.E. e della quantificazione, periodo per periodo, delle somme richieste; che non vi è alcuna omessa pronuncia neanche in ordine all' eccezione di decadenza ex art. 25 d.lgs. 46/1999 perché tale profilo risulta essere affrontato dalla Corte, implicitamente, in modo da negarne valore laddove la sentenza ha ricostruito il complessivo quadro giurisprudenziale e normativo al cui interno si colloca l'azione di recupero che assume carattere prevalente rispetto alle regole comuni in materia di adempimento dell'ordinario obbligo contributivo e ciò in conformità con i principi espressi da questa Corte di legittimità (vd. Cass. 7402/2013 che ha negato espressamente l'applicabilità dell'art. 25 d.lgs. 46/1999) secondo cui l’obbligo di versare i contributi corrispondenti agli sgravi indebitamente fruiti non deriva da un atto di accertamento dell'Inps, bensì direttamente dall'obbligo di pagamento dei contributi medesimi, nella misura intera, per conseguenza della statuita incompatibilità con il mercato comune degli sgravi concessi; che i rimanenti quattro motivi vanno trattati unitariamente perché relativi ai temi connessi della violazione e falsa applicazione degli artt. 112 cod.proc.civ., degli artt. 93 ed 88 Trattato C.E, dec. 2000/128/CE, dell'art. 2946 cod. civ., del d.lgs. 46/199 (ndr d.lgs. 46/1999) n. 659/1999, dell'art. 5 del d.l. n. 5/2008 e dell'art. 14 del Reg. Ce nonché alla contestuale censura di omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio con riferimento all'efficacia della decisione della Commissione CE nell'ordinamento interno, alla disciplina della prescrizione, alla violazione del principio di affidamento e delle regole di riparto dell'onere della prova; che tali motivi sono infondati in quanto la sentenza impugnata, come riferito al precedente punto, ha implicitamente disatteso le deduzioni della parte in contrasto con il quadro normativo europeo dettagliatamente riferito e la motivazione complessivamente addotta risponde al costante avviso espresso da questa Corte di cassazione che può sintetizzarsi come segue: in materia di effetti della Decisione della Commissione CE ed ordinamento interno deve trovare applicazione la regola, più volte enunciata dalla giurisprudenza comunitaria (ex plurimis, Corte di giustizia CE 21 maggio 1990, C-142/87; Corte di giustizia CE 20 settembre 1990, C- 5/89; Corte di giustizia CE 9 febbraio 1999, C-343/96; Corte di giustizia CE 20 settembre 2001, C-390/98; Corte di giustizia CE 5 ottobre 2006, C-368/04), secondo cui il recupero dell'aiuto deve essere attuato attraverso i mezzi e le procedure vigenti negli Stati membri, con il rispetto dei principi:

- di equivalenza, tra quanto è previsto dal diritto comunitario e quanto è previsto per le violazioni del diritto interno;

- di effettività del rimedio, nel senso che non deve essere reso impossibile o eccessivamente difficoltoso l'esercizio dei diritti garantiti dall'ordinamento comunitario (vd. Cass. 7306/2013);

in tema di recupero di aiuti di Stato, pur in presenza nell'ordinamento italiano di norme istitutive di esenzioni analoghe a quelle ritenute contrastanti con il diritto comunitario e nella conseguente difficoltà di comprendere quali in concreto possano costituire aiuti di stato illegittimi, le imprese che ne siano beneficiarie non possono fare legittimo affidamento sulla loro fruizione ove gli stessi siano stati concessi senza previa notifica alla Commissione, rientrando nella diligenza dell'operatore economico accertare che la procedura prevista per il controllo di regolarità degli aiuti da parte della Commissione sia stata rispettata (Cass. 13749/2016); agli effetti del recupero degli sgravi contributivi integranti aiuti di Stato incompatibili col mercato comune vale il termine ordinario di prescrizione decennale di cui all'art. 2946 cod. civ., decorrente dalla notifica alla Repubblica Italiana della decisione comunitaria di recupero, atteso che, ai sensi degli artt. 14 e 15 del regolamento (CE) n. 659/1999, come interpretati dalla giurisprudenza comunitaria, le procedure di recupero sono disciplinate dal diritto nazionale ex art. 14 cit., nel rispetto del principio di equivalenza fra le discipline, comunitaria e interna, nonché del principio di effettività del rimedio, mentre il "periodo limite" decennale ex art. 15 cit. riguarda l'esercizio dei poteri della Commissione circa la verifica di compatibilità dell'aiuto e l'eventuale decisione di recupero. Né si può ritenere che si applichi il termine di prescrizione dell'azione di ripetizione ex art. 2033 cod. civ., perché lo sgravio contributivo opera come riduzione dell'entità dell'obbligazione contributiva, sicché l'ente previdenziale, che agisce per il pagamento degli importi corrispondenti agli sgravi illegittimamente applicati, non agisce in ripetizione di indebito oggettivo. Né, infine, è applicabile il termine di prescrizione quinquennale ex art. 3, commi 9 e 10, della legge n. 335 del 1995, poiché questa disposizione riguarda le contribuzioni di previdenza e assistenza sociale, mentre l'incompatibilità comunitaria può riguardare qualsiasi tipo di aiuto, senza che si possa fare ricorso all'applicazione analogica della norma speciale, in quanto la previsione dell'art. 2946 cod. civ. esclude la sussistenza di una lacuna normativa (Cass. 6671/2012);

nelle controversie relative al recupero dei contributi non corrisposti per indebita fruizione di sgravi contributivi, compete al datore di lavoro opponente l'onere di provare il possesso dei requisiti richiesti dalla legge per poter beneficiare della detrazione (cfr., tra le tante, Cass. n. 21898 del 2010), per cui va ribadito che la circostanza che, nella specie, le condizioni legittimanti il beneficio e la sua conseguente non recuperabilità siano state dettate (anche) da disposizioni comunitarie non può alterare i termini della ripartizione dell'onere probatorio, spettando pur sempre al datore di lavoro dimostrare la sussistenza delle condizioni, stabilite dalla Commissione o da quest'ultima presupposte siccome già fissate dalla normativa nazionale (Cass. n. 24808/2016);

che, pertanto, il ricorso va rigettato e le spese del presente giudizio compensate atteso il consolidarsi dei principi sopra indicati in epoca successiva alla presentazione del ricorso;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; dichiara compensate le spese del presente giudizio di legittimità.