Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 07 luglio 2017, n. 16824

Tributi - Ici - Avviso di liquidazione notificato da società per conto del Comune - Impugnabilità

 

Esposizione dei fatti di causa

 

1. La società Immobiliare Z. di A.S. s.a.s. in liquidazione impugnava l'avviso di liquidazione per l'Ici relativa all'anno 1996 notificato dalla società A. Ser s.r.l. per conto del Comune di Pomezia. La commissione tributaria provinciale di Roma rigettava il ricorso. Proposto appello da parte della contribuente, la commissione tributaria regionale del Lazio lo accoglieva ritenendo illegittima la gestione dell'accertamento da parte della società A. Ser s.r.l. invece che da parte del Comune di Pomezia. Il Comune di Pomezia proponeva ricorso per cassazione e la suprema corte, con sentenza numero 16094/2006, lo accoglieva sul rilievo che, a norma dell'articolo 52 del decreto legislativo 446/1997, è legittimo l'affidamento da parte del Comune del servizio di accertamento e riscossione delle imposte locali mediante convenzione con soggetti terzi. Per l'effetto la ordinanza d'appello era annullata con rinvio alla commissione tributaria regionale.

Riassunto il processo, la CTR del Lazio, con la sentenza impugnata, rigettava l'appello e confermava la sentenza di primo grado affermando che, in conformità al principio stabilito dalla corte di cassazione, era da riconoscere la legittimità della gestione della controversia tributaria da parte della società concessionaria e la sentenza di primo grado doveva essere confermata dal momento che l'appello si fondava sull'unico motivo della carenza di legittimazione processuale del concessionario.

2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione la società Immobiliare Z. di A.S. s.a.s. in liquidazione proponendo tre motivi. Resiste con controricorso il Comune di Pomezia.

3. Con i tre motivi la ricorrente deduce, nell'ordine, nullità della sentenza, omessa, insufficiente contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e violazione ed errata applicazione delle norme di diritto, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, 5, 3 cod. proc. civ.. Sostiene che la CTR ha omesso di pronunciarsi in ordine ai motivi di appello ritualmente formulata relativi: a) al fatto che la variazione di classamento catastale, effettuata nel 1998, avrebbe potuto avere efficacia solo dall'anno d'imposta successivo a quello in cui era stata disposta; b) alla illegittimità dell'avviso di liquidazione in quanto non preceduto dalla notifica della variazione della rendita catastale; c) al fatto che l'articolo 74, comma 2, della legge 342/2000 prevede che per gli atti che abbiano comportato attribuzione o modificazione della rendita adottati entro il 31 dicembre 1999 non sono dovute sanzioni ed interessi relativamente al periodo compreso tra la data di attribuzione o modificazione della rendita e quella di scadenza del termine per la presentazione del ricorso avverso suddetto atto; d) al fatto che l'avviso di liquidazione è stato notificato in data 14 dicembre 2001 presso la società cessata l'8 settembre 2000 presso la sede sociale anziché presso il liquidatore A.S.; e) al fatto che la gestione tributaria dell'accertamento non può essere delegato da un ente locale ad una società a responsabilità limitata.

 

Esposizione delle ragioni della decisione

 

1. Osserva la Corte che, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell'art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell'attuale art. 384 cod. proc. civ. ispirata a tali principi, una volta verificata l'omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l'inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (Cass. n. 2313 del 01/02/2010). Ciò posto, esaminando le questioni oggetto della pronuncia, la prima questione, afferente il fatto che la variazione di classamento catastale, effettuata nel 1998, avrebbe potuto avere efficacia solo dall'anno d'imposta successivo a quello in cui era stata disposta di ricorso, è infondato. Invero mette conto considerare che la variazione catastale è stata attuata prima dell'entrata in vigore dell'art. 74, comma 1, della legge 21 novembre 2000, n. 342, e che la corte di legittimità a sezioni unite, con la sentenza n. 3160 del 09/02/2011, ha affermato il principio secondo cui "In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l'art. 74, comma 1, della legge 21 novembre 2000, n. 342, nel prevedere che, a decorrere dal 1° gennaio 2000, gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, va interpretato nel senso dell'impossibilità giuridica di utilizzare una rendita prima della sua notifica al fine di individuare la base imponibile dell'ICI, ma non esclude affatto l'utilizzabilità della rendita medesima, una volta notificata, a fini impositivi anche per annualità d'imposta sospese, ovverosia suscettibili di accertamento e/o di liquidazione e/o di rimborso." Ne deriva che non può affermarsi neppure per il periodo antecedente l'entrata in vigore della norma l'illegittimità dell'avviso di accertamento emesso sulla base della rendita modificata per periodi pregressi suscettibili di accertamento.

2. Il secondo ed il terzo rilievo sono infondati. Invero questo collegio intende dare continuità al condivisibile principio espresso dalla Corte di legittimità secondo cui, in tema d'ICI, non può escludersi il pagamento di sanzioni e interessi in relazione all'accertamento di una maggiore obbligazione tributaria, a titolo d'imposta, per immobili la cui iscrizione in catasto, con relativa attribuzione di rendita, sia anteriore all'istituzione del tributo, anche ove tale rendita non risulti notificata precedentemente all'emissione degli avvisi di accertamento e rettifica, essendo inapplicabile in tal caso l'art. 74 della I. n. 342 del 2000, che esclude, in linea generale, sanzioni ed interessi per gli atti attributivi o modificativi di rendita adottati entro il 31 dicembre 1999, e non ancora definitivi a quella data, in quanto il d.lgs. n. 504 del 1992, nell'introdurre l'ICI, ha fissato per i contribuenti, negli art. 5 e 10, l'obbligo di dichiarare gli immobili e di pagare l'imposta calcolandone correttamente l'importo, previo accertamento dei presupposti, e quindi dell'iscrizione in catasto e dell'ammontare dell'eventuale rendita per ciascun cespite, senza alcuna correlazione con un corrispondente obbligo del Comune di procedere alla notifica dei dati catastali (Cass. n. 12320 del 15/06/2016; Cass. n. 24677 del 23/11/2011).

3. Il quarto rilievo è infondato in quanto la corte di legittimità ha già avuto modo di affermare il principio secondo cui gli atti tributari devono essere notificati al contribuente persona giuridica presso la sede della stessa (nel regime anteriore alle modifiche introdotte con la legge 28 dicembre 2005, n. 263), secondo la disciplina dell'art. 145, primo comma, cod. proc. civ. e, solo qualora tale modalità risulti impossibile, in base al successivo terzo comma del medesimo art. 145, la notifica potrà essere eseguita, ai sensi degli artt. 138, 139 e 141 cod. proc. civ., alla persona fisica che rappresenta l'ente. Ne deriva che la messa in liquidazione della società non costituisce circostanza da sola sufficiente ad esonerare l'Ufficio dall'obbligo di tentare dapprima la notifica presso la sede sociale, con la conseguenza che la notifica di un avviso di accertamento eseguita direttamente al liquidatore è da ritenersi nulla (Cass. n. 8649 del 15/4/2001; Cass. n. 15856 del 7/7/2009; Cass. n. 7161 del 23/3/2007).

4. Il quinto rilievo è inammissibile in quanto attiene ad una questione decisa con forza di giudicato dalla corte di cassazione con la sentenza rescindente.

5. Il ricorso va, dunque, rigettato e le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere al Comune di Pomezia le spese processuali che liquida in euro 1.000,00 oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% ed oltre agli accessori di legge.