Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 ottobre 2016, n. 20791

Invim - Avviso di rettifica e liquidazione - Valore relativo all'atto di compravendita

 

Svolgimento del processo

 

La controversia concerne l'impugnazione dell'avviso di rettifica e liquidazione emesso con riferimento alla maggiore imposta INVIM, nella parte in cui non riconosce per intero ma solo per la metà, le spese incrementative del bene compravenduto, nonché nella parte in cui rettifica il valore relativo all'atto di compravendita, oggetto di tassazione, da lire 900 milioni a lire 1.440 milioni. Il ricorrente deduceva che le spese erano state analiticamente indicate e sostenute dalla società interessata per intero e non nella misura del 50%, mentre, d'altra parte, la stima dell'UTE che è alla base della rettifica di valore, avrebbe preso in comparazione un suolo attiguo, ma con destinazione parzialmente diversa.

La CTP rigettava il ricorso e la CTR ne confermava la sentenza, mentre la Cassazione cassava con rinvio per difetto di motivazione. La CTR della Puglia, in sede di giudizio di rinvio, confermava l'esito dei precedenti giudizi di merito.

Avverso quest'ultima sentenza, la società ricorrente ha proposto nuovamente ricorso davanti a questa Corte di Cassazione sulla base di tre motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c., mentre l'ufficio non si è costituito.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo di censura, la società ricorrente denuncia il vizio di violazione di legge, in particolare, dell'art. 2909 c.c., in relazione all'art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., in quanto, i giudici d'appello non avrebbero tenuto conto di una precedente sentenza passata in giudicato, la quale in accoglimento degli assunti difensivi prospettati dalla società ricorrente, avrebbe dichiarato la nullità dell'avviso di liquidazione oggetto d'impugnazione nella presente sede.

Il motivo è inammissibile, per difetto d'autosufficienza, in quanto se è vero che secondo l'orientamento consolidato di questa corte, l'esistenza di un giudicato esterno è rilevabile d'ufficio anche in sede di legittimità, tuttavia, tale principio deve essere coniugato con quello che è volto a regolare la produzione di documenti nel giudizio di cassazione, di cui è espressione la norma contenuta nell'art. 372 c.p.c., e ciò, secondo quanto stabilito da Cass. sez. un. n. 13916/2006 e, anche più recentemente, da Cass. nn. 24749/2014, 11219/2014, 11365/2015. In particolare, nel caso di specie, il giudicato di cui trattasi risulta formatosi in data 28 aprile 2002 (all'esito del decorso del termine lungo di un anno e 46 giorni, in quanto la sentenza della CTP di Bari n. 298/21/00 è stata depositata in cancelleria il 14.3.2001, v. fotocopia sentenza), quindi, prima di quando fu pronunciata la sentenza di primo grado del presente giudizio, e cioè, in data 24.9.2003 (v. p. 4 del ricorso); ne consegue che la presente eccezione di giudicato poteva essere dedotta e documentata fin dall'udienza di discussione in primo grado. Anche se l'odierna ricorrente sostiene di aver dedotto la presente eccezione in tutti i gradi del presente giudizio (p. 8 del ricorso), tuttavia non riporta, non indica e non allega, ex artt. 366 primo comma n. 6 e 369 secondo comma n. 4 c.p.c., i propri atti difensivi per mettere in condizione questa Corte di verificare l'assunto di aver proposto l'eccezione e di averla successivamente coltivata in tutti i successivi gradi; è infatti insegnamento di questa Corte che "In tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma ad opera del d.lgs. n. 40 del 2006, la nuova previsione dell’art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ., oltre a richiedere la "specifica" indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale puntuale indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., anche che esso sia prodotto in sede di legittimità, con la conseguenza che, in caso di omissione di tale adempimento, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile" (Cass. ord. n. 20535/2009, sez. un. ord. n. 7161/10, n. 26174/14). Inoltre, che il ricorrente abbia proposto tale eccezione, non solo non risulta dalla lettura della sentenza impugnata, ma neppure risulta dall'ordinanza della Cassazione n. 5990/09, che ha cassato il presente giudizio con rinvio (cfr. parte narrativa pp. 3 e ss. di quest'ultima sentenza).

Infine, non sembra fuor di luogo rilevare come, da una parte, il predetto giudicato coprirebbe solo una parte della domanda e cioè, quella relativa alle spese incrementative, mentre dall'altra, l'attestazione di passaggio in giudicato della sentenza, ex art. 124 disp. att. c.p.c., è stata apposta in data il. 1.2011, cioè, successivamente al deposito della sentenza oggi impugnata (circostanza che fonda il convincimento, che tale eccezione sia stata sollevata per la prima volta in questa sede e non in tutti i gradi del presente giudizio, come sostenuto dal ricorrente).

Con il secondo motivo di censura, la società ricorrente denuncia, il vizio di violazione di legge, in particolare, del DPR n. 643/72, nonché degli articoli 1101 e 1104 c.c., in relazione all'art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., in quanto, l'ufficio avrebbe riconosciuto solo una quota pari alla metà delle spese incrementative del valore iniziale del bene, perché la società ricorrente era proprietaria solo di una quota pari alla metà del compendio venduto, laddove gli artt. 11, 13 e 18 del DPR 643/72, non porrebbero questa limitazione, richiedendo solo di adempiere l'obbligo di produrre apposita dichiarazione che sarebbe runico elemento sulla cui base procedere a tassazione, né risulterebbe conferente il riferimento agli artt. 1101 e 1104 c.c., in tema di quote e obblighi dei partecipanti alle spese per la comunione, che si presumono uguali alla quota di partecipazione, in quanto il titolare del restante 50% del compendio, non avrebbe richiesto il riconoscimento delle medesime spese incrementative, all'atto della vendita della propria quota del 50%.

Con il terzo motivo di censura, la società ricorrente denuncia il vizio di omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell'art. 360 primo comma n. 5 c.p.c., in quanto la CTR da una parte non avrebbe tenuto in sufficiente considerazione, il solo obbligo di autocertificare le spese ai sensi dell'art. 18 del DPR n. 643/72, dall'altro avrebbe insufficientemente giustificato la correttezza nell'aumento del valore dell'immobile ceduto da lire 900 milioni a lire 1.440 milioni ritenendo che la valutazione comparativa operata dall'UTE, fondata sulla maggiore economicità del bene preso a riferimento, fosse erronea; infatti, il suolo attiguo preso a riferimento, aveva solo per il 50% la stessa destinazione urbanistica.

È fondato il secondo motivo di ricorso.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, "In tema di INVIM, le spese di costruzione o incrementative, di cui al primo comma dell'art. 13 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, modificato dall'art. 1 del d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 688 (computabili in maggiorazione del valore iniziale dell'immobile), sono solo quelle relative ad opere od utilità esistenti alla data di determinazione del valore finale del bene, eseguite dallo stesso proprietario del cespite o da un terzo, nel periodo di competenza dell'imposta...." (Cass. n. 28690/08), è pertanto, necessario e sufficiente che le spese incrementative, anche se sostenute non dal proprietario del cespite ma da un terzo, ineriscano al bene e ricadano nel periodo di competenza (Cass. n. 14190/2000, vedi anche, Cass. civ. n. 5068/98). Nel caso di specie, pertanto, nessun rilievo assume la circostanza che le spese siano state dichiarate dall'odierna società contribuente per l'intero e non in ragione della propria quota del 50% di proprietà dell'immobile, in quanto, da una parte, tali spese risultano documentalmente sopportate dalla stessa ricorrente (per come rilevato dai giudici d'appello), dall’altra, rientra nell'autonomia negoziale delle parti comproprietarie del bene, stabilire chi debba fruirne al fine dell’aumento del valore iniziale del cespite e, nella vicenda, l'altra comproprletaria del bene, non ha avanzato alcuna richiesta di riconoscimento delle medesime spese.

Anche il richiamo alla disciplina civilistica della comunione, speso dai giudici d'appello, non è pertinente, in quanto tale normativa è sicuramente derogabile espressamente o implicitamente dalle parti e si pone come generale, rispetto alla specialità della normativa tributaria.

In accoglimento del secondo motivo di ricorso, rigettato il primo e assorbito il terzo, la sentenza va, pertanto, cassata e rinviata nuovamente alla sezione regionale della Puglia, in diversa composizione, affinché, verifichi l'effettiva deducibilità delle spese dichiarate, ex art. 18 DPR n. 643/72, sulla base dei suesposti principi, nonché, nuovamente, il restante merito della controversia.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il secondo motivo di ricorso con assorbimento del terzo e rigetta il primo.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Puglia.