Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 novembre 2016, n. 23159

lndennità di accompagnamento - Eredi - Retrodatazione della decorrenza della prestazione

Svolgimento del processo

 

Con la sentenza n. 416/2010, depositata l'1.4.2010, la Corte d'Appello di Catanzaro rigettava l'appello proposto da T.S. e litisconsorti, in qualità di eredi di A.A., contro la sentenza del Tribunale di Paola che aveva determinato la decorrenza del diritto a percepire l'indennità di accompagnamento della dante causa dall'11.12.2002 fino al 30 settembre 2003, fermo restando che per il periodo successivo vi era stato riconoscimento in sede amministrativa.

A sostegno della decisione il giudice d'appello affermava che non potesse accogliersi la pretesa degli appellanti alla retrodatazione della decorrenza della prestazione alla data della domanda in sede amministrativa, in quanto la documentazione richiamata a sostegno del motivo di impugnazione - due certificati medici rilasciati in data 11 gennaio 1997 ed in data 15.1.2001 che il ctu avrebbe omesso di prendere in esame nonostante il contenuto analogo a quello da egli posto alla base della fissazione della decorrenza - non risultava prodotta in primo grado (non essendo indicata né nel ricorso di primo grado, né nell'indice del fascicolo di primo grado dove erano specificati altri atti) ed era stata invece prodotta tardivamente nel giudizio di secondo grado. La loro acquisizione era inoltre preclusa trattandosi di documentazione nella disponibilità delle parti da epoca antecedente alla instaurazione del giudizio; mentre neppure poteva farsi luogo all'acquisizione di nuovi mezzi di prova ex art. 437 c.p.c. stante l'opposizione dell'INPS alla tardiva opposizione.

Avverso detta sentenza T.S. e litisconsorti hanno proposto ricorso per cassazione affidando le proprie censure a tre motivi.

Resiste l'INPS con controricorso. Il Ministero dell'Economia e Finanze è rimasto intimato.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo il ricorso lamenta la violazione, falsa ed errata applicazione dell'art. 3 della I. 18/1980, art. 1 I. 508/1988 e succ. mod.(in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.) in quanto la de cuius era affetta da gravi patologie che giustificavano il diritto alla prestazione fin dalla data della domanda in sede amministrativa (18 marzo 1997); alle sedute tenute in sede amministrativa nel 1997 e nel 2002 la prestazione era stata riconosciuta con decorrenza dal 30.9.2003; i giudici di appello, cadendo in errore, non avevano riformato la sentenza ingiusta del tribunale che aderendo alla tesi del ctu non aveva valutato correttamente la documentazione già presente nel fascicolo di primo grado.

Il motivo è inammissibile e comunque privo di fondamento in quanto mira ad una revisione del giudizio di merito da parte di questa Corte di legittimità in relazione alla decorrenza della prestazione assistenziale, correttamente fissata dal giudice competente e con adeguata motivazione, alla stregua della valutazione medico legale espressa del consulente tecnico. A nulla può rilevare nè se in sede amministrativa la prestazione fosse stata riconosciuta con decorrenza dal 30.9.2003 (posto che si discute della pretesa ad una decorrenza anteriore); né se nel fascicolo di primo grado sarebbero stati presenti "numerosi certificati e cartelle cliniche dell'anno 1997 in poi", trattandosi di doglianza generica e di documentazione già esaminata dal ctu; e qui richiamata per esprimere un mero dissenso diagnostico, peraltro sollevato senza trascrivere nel ricorso neppure i passaggi salienti e non condivisi della stessa relazione peritale.

2. Con il secondo motivo il ricorso deduce violazione, falsa ed errata applicazione dell'art. 421 c.p.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., in quanto la documentazione la cui produzione era stata ritenuta preclusa dal giudice d'appello non era nuova essendo stata quanto meno esibita al ctu nel corso dell'operazioni peritali; e comunque perché avrebbe dovuto essere acquisita d'ufficio dal giudice, pur in presenza di decadenze e preclusioni già verificatesi, in base al proprio potere-dovere ex art. 421 c.p.c. da esercitarsi motivatamente allo scopo di coniugare il sistema delle preclusioni, ispirato al principio dispositivo, con la ricerca della verità materiale.

3. Con il terzo motivo il ricorso denuncia violazione, falsa ed errata applicazione dell'art. 437 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. per le stesse ragioni di cui sopra.

I tre motivi possono esaminarsi congiuntamente in quanto connessi.

Essi risultano inammissibili e comunque infondati. Anzitutto parte ricorrente omette di indicare da dove risulti che la documentazione in questione fosse stata esibita al ctu, mentre il giudice di appello ha correttamente negato la circostanza rilevando che essa non risultasse prodotta in primo grado (non essendo indicata né nel ricorso di primo grado, né nell'indice del fascicolo di primo grado dove erano specificati altri atti) ed affermando per contro che fosse stata prodotta tardivamente nel giudizio di secondo grado.

La censure omettono inoltre di riportare in ricorso il contenuto dei pretesi documenti da cui risulti l'indispensabilità della loro ammissione ai fini della decisione, essendo tale requisito necessario oltre che per il rispetto dovuto al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (nei termini declinati da questa Corte fin dalla sentenza 5656/1986 ed ora accolto nell'art. 366 n. 6 e nell'art. 369 n. 4 c.p.c.); anche per valutare l'esistenza dei presupposti per il corretto esercizio del potere officioso di acquisizione della prova ex art.421 c.p.c. il quale va coniugato in appello con quello d'indispensabilità della prova ai fini della decisione della causa, in base a quanto previsto dall'art. 437 c.p.c.; e sempre che il relativo potere venga esercitato in relazione a fatti allegati ed emersi dal processo a seguito di contraddittorio tra le parti (S.U. sentenza n.8202 del 2005); evenienza quest'ultima che le rilevate carenze, contenute nel ricorso, non consentono neppure di verificare.

3. Le considerazioni sin qui svolte impongono dunque di rigettare il ricorso e di condannare i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 2100, di cui € 2000 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali e agli accessori di legge.