Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 27 settembre 2016, n. 19033

Credito d’imposta - Iscrizione a ruolo - Cartella di pagamento

 

Fatto e diritto

 

Costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segue:

Con sentenza n. 1350/21/14, depositata il 22 aprile 2014, non notificata, la CTR della Sicilia - sezione staccata di Caltanissetta - ha rigettato sia l’appello principale proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della società G.L. S.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore pro-tempore, sia l’appello incidentale di quest'ultima nei confronti dell’Amministrazione finanziaria avverso la pronuncia della CTP di Caltanissetta, che ne aveva solo parzialmente accolto il ricorso avverso cartella di pagamento nella parte relativa all’iscrizione a ruolo di somme dovute a titolo di recupero di credito d’imposta.

Avverso detta pronuncia l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo.

L’intimata non ha svolto difese.

Con l’unico motivo la ricorrente Amministrazione denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 54 bis del d.P.R, n. 633/1972, nonché dell’art. 6, comma 5, della legge n. 212/2000, in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c, rilevando che la decisione della CTR - che nella fattispecie ha, confermando la decisione di primo grado, parzialmente annullato la cartella impugnata nella parte afferente l’iscrizione a ruolo dell’importo richiesto a titolo di recupero di credito d’imposta, in quanto non preceduta da comunicazione d’irregolarità - si pone in chiaro contrasto con l’interpretazione delle succitate norme quale risultante dalla giurisprudenza di legittimità.

Il motivo è manifestamente fondato.

Va premesso che, in fatto, non è controverso che, a seguito del controllo ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973 della dichiarazione per l’anno d’imposta 2004, la società aveva annotato quale credito d’imposta residuo da precedente dichiarazione, l’importo di € 2.787.135,00, utilizzando però in compensazione il maggior importo di € 3.056.575,00.

Tali essendo, per quanto qui ancora rileva, i fatti, ne risulta che in maniera non aderente alla fattispecie in esame la decisione impugnata ha richiamato a sostegno del proprio assunto Cass. 3 aprile 2012, n. 5318, quanto alla necessità che al recupero del credito d’imposta si dovesse provvedere per mezzo di avviso di accertamento.

Nessuna attività, infatti, di natura valutativa sul piano logico giuridico ha dovuto compiere nella fattispecie l’Ufficio, che si è limitato a prendere atto della divergenza, risultante dalla stessa dichiarazione della contribuente, tra l’importo del credito residuo dichiarato e quello, maggiore, effettivamente utilizzato in compensazione.

In tale contesto va dunque ribadita la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui il comma 5 dell’art. 6 della legge n. 212/2000 non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo di somme derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, ma solo "qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione" (cfr., tra le molte Cass. sez. 5, 14 gennaio 2011, n. 795; Cass. sez. 5, 25 maggio 2012, n. 8342; Cass. sez. 5, 18 marzo 2016, n. 5394), essendosi rilevato che se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti Ì casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione, non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso.

Nella fattispecie, alla stregua di quanto sopra osservato, derivando l’iscrizione a ruolo da una mera operazione matematica di differenza tra i dati divergenti esposti dalla stessa contribuente come sopra indicati, è pertanto da escludere la sussistenza delle condizioni che avrebbero imposto la notifica del previo avviso di cui alla citata norma. Di minore portata è, peraltro, la previsione della comunicazione d’irregolarità (quale prevista dall’art. 36 comma 3 del d.P.R. n. 600/1973 e 54 bis del d.P.R. n. 633/1972), per l’ipotesi che emerga dal controllo di cui alle citate norme "un multato diverso rispetto a quello indicato nella dichiaratone", finalizzata ad evitare la reiterazione di errori e consentire la regolarizzazione degli aspetti formali, la cui omissione non è sanzionata a pena di nullità. Si deve quindi concludere, in continuità alla succitata giurisprudenza, nel senso che la sanzione d’invalidità dell’atto impositivo si attagli, in caso di omissione del c.d. avviso bonario, alle sole ipotesi di "rilevante incertezza" sui dati esposti nella dichiarazione (cfr. anche Cass. sez. 5, 22 aprile 2015, n. 8154), la cui sussistenza, alla stregua delle considerazioni sopra esposte, è da escludere nella fattispecie in esame.

Il ricorso va dunque accolto per manifesta fondatezza e, stante il giudicato formatosi sul rigetto dei restanti motivi d’impugnazione avverso la cartella, non essendo stata oggetto d’impugnazione la sentenza della CTR, nella parte in cui ha rigettato l’appello incidentale della contribuente avverso le statuizioni della pronuncia di primo grado ad esse sfavorevoli, la causa, non necessitando ulteriori accertamenti di fatto, può essere definita, ex art. 384, comma 2 ultima parte, c.p.c., con decisione nel merito di rigetto integrale dell’originario ricorso della contribuente.

Avuto riguardo all’andamento globale del giudizio, possono essere compensate tra le parti le spese del doppio grado di merito, ponendosi a carico dell’intimata, secondo soccombenza, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta l’originario ricorso della contribuente. Compensa tra le parti le spese del doppio grado di merito e condanna l’intimata alla rifusione in favore dell'Agenzia delle Entrate delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 10.000,00 per compenso, oltre spese prenotate a debito.