Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 15 marzo 2017, n. 6768

Esposizione ultradecennale all’amianto - Rivalutazione della contribuzione - Inps - Accertamento

 

Fatti del processo

 

Con ricorso al Tribunale di Arezzo del 28.12.2007 i signori M.P., M.F., G.P. (ed altri) agivano nei confronti dell'INPS per l'accertamento del proprio diritto alla rivalutazione della contribuzione ai sensi dell'articolo 13 co. 8 L. 257/1992, per essere stati esposti all'amianto per un periodo di lavoro ultradecennale.

Il giudice del lavoro, con sentenza del 24.9.2009 (nr. 432/2009), accoglieva la domanda.

La Corte d'appello di Firenze, con sentenza del 23.11-30.11.2010 (nr. 1490/2010), in parziale accoglimento dell'appello dell'INPS, accoglieva parzialmente la domanda degli attuali ricorrenti, condannando l'INPS a rivalutare il rispettivo trattamento pensionistico applicando il coefficiente di 1,25 in relazione all'accertato periodo di esposizione ad amianto.

Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso i lavoratori, articolando tre motivi.

L'INPS ha depositato procura in calce al ricorso notificato e partecipato alla discussione.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto violazione ed erronea applicazione dell'articolo 435 co.2 cpc nonché difetto assoluto di motivazione.

Hanno esposto di avere eccepito con la memoria di costituzione in appello la improcedibilità dell'appello, per non essere stato rispettato il termine di cui all'articolo 435 c.p.c. per la notifica dell'atto di appello e del pedissequo decreto di fissazione della udienza.

Il decreto era stato emesso tempestivamente (il 24-26.11.2009) ma le copie autentiche risultavano richieste quasi cinque mesi dopo; inoltre la notifica non risultava avvenuta neppure nei dieci giorni dalla data di rilascio delle copie.

La Corte di merito aveva rigettato la eccezione facendo mero rinvio ai propri precedenti conformi.

Il motivo è infondato.

In punto di violazione dell'articolo 435 co. 2 cpc., deve in questa sede ribadirsi la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui la violazione del termine di dieci giorni, decorrenti dalla comunicazione (Corte Cost. sen. 15/1977) del decreto presidenziale di fissazione dell'udienza di trattazione, per la notifica dell'atto di appello non produce alcuna conseguenza pregiudizievole per la parte, perchè non incide su alcun interesse di ordine pubblico processuale nè su di un interesse dell'appellato, sempre che sia rispettato il termine che, in forza del medesimo art. 435 c.p.c., commi 3 e 4, deve intercorrere tra il giorno della notifica e quello dell'udienza di discussione (Cass. 28.09.2016, n. 19176, 29.2.2016 n. 3959, 16.10.2013 n. 23426, 31.5.2012 n. 8685).

Né ha pregio la censura mossa sotto il profilo del vizio di motivazione.

Il vizio di motivazione denunciabile come motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360, n. 5 c.p.c., può concernere esclusivamente l'accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia e dei quali la Corte non possa conoscere direttamente (come avviene, al contrario, per le vicende processuali che si traducono in errori di rito), non anche l'interpretazione e l'applicazione delle norme giuridiche, atteso che, in relazione ad una questione la cui soluzione dipende esclusivamente dall'interpretazione di atti normativi, la cognizione del giudice di legittimità investe direttamente le disposizioni, senza il «filtro» rappresentato dalla motivazione della sentenza impugnata.

Come si argomenta agevolmente dal disposto dell'art. 384, secondo comma, c.p.c., ove il giudice del merito abbia correttamente deciso le questioni di diritto sottoposte al suo esame, ancorché difetti la motivazione o questa sia comunque inadeguata, illogica o contraddittoria, la Corte di cassazione ha il potere di sostituirla, integrarla o emendarla, (vedi, per tutte, Cass. 4593/2000, 19/2002; Cass., sez. un., 261/2003).

La sentenza impugnata ha correttamente deciso la questione di diritto sottoposta al suo esame, per quanto sopra esposto.

Il secondo ed il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi.

2. Con il secondo motivo le parti ricorrenti hanno denunziato violazione o erronea applicazione dell'articolo 13 co. 8 L. 257/1992, dell'articolo 47 DL 269/2003, dell'articolo 3,comma 132 della L. 269/2003 (ndr: L. 350/2003) anche in relazione al DM 27/10/2004.

La censura investe la statuizione di inapplicabilità della disciplina previgente alla norma dell'articolo 47 DL 269/2003.

I ricorrenti, richiamata la successione delle normative che hanno disciplinato la materia, hanno dedotto che la esposizione ultradecennale ad amianto perfezionatasi in data anteriore al 2.10.2003 - come accertata nella fattispecie di causa a mezzo ctu - determinava la maturazione dei benefici dalla legge 257/1992, a prescindere dalla data di presentazione della domanda all'INAIL.

Hanno censurato la sentenza impugnata per avere escluso la applicabilità della previgente disciplina sostenendo che essa era riservata a coloro che avevano maturato al 2.10.2003 il diritto a pensione (anche in ragione della rivalutazione contributiva per esposizione ad amianto) mentre i tre lavoratori non avrebbero comunque raggiunto i requisiti per il pensionamento.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti hanno denunziato, in via subordinata, la illegittimità costituzionale, per violazione dell'articolo 3 C., dell'articolo 13 co.8 L. 257/1992, dell'articolo 47 DL 269/2003, dell'articolo 3 co. 132 L. 269/2003 (ndr L. 350/2003) :  anche in relazione al DM 27.10.2004 ed all'articolo 47 DPR 639/70.

Hanno dedotto che le norme richiamate in rubrica - ove interpretate nel senso accolto dalla Corte di merito - sarebbero state illegittime per violazione dell'articolo 3 C., per la ingiustificata disparità di trattamento tra i lavoratori che avevano presentato domanda all'INAIL anteriormente al 2.10.2003 e coloro che, pur trovandosi nelle stesse condizioni sostanziali, avessero presentato domanda soltanto successivamente (ma comunque nel previsto termine di decadenza del 15.6.2005).

I motivi sono infondati.

Questa Corte (cfr. ex plurimis Cass. nr 9096/2014; Cass. nr. 8649/2012; Cass. n. 15679/2006, Cass. n. 15008/2005, Cass. n. 21862/2004, Cass. n. 21257/2004) ha ripetutamente affermato che I'art. 3, comma 132 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, che con riferimento alla nuova disciplina introdotta dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 47, comma 1 ha fatto salva l’applicabilità della precedente disciplina, prevista dalla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, per i lavoratori che alla data del 2 ottobre 2003 abbiano maturato « il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui alla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8» ovvero abbiano avanzato domanda di riconoscimento all'Inail od ottenuto sentenze favorevoli per cause avviate entro la medesima data - va interpretato nel senso che:

a) per maturazione del diritto deve intendersi la maturazione del diritto a pensione;

b) tra coloro che non hanno ancora maturato il diritto a pensione, la salvezza concerne esclusivamente gli assicurati che, alla data indicata, abbiano avviato un procedimento amministrativo o giudiziario per l'accertamento del diritto alla rivalutazione contributiva.

Le questioni sollevate sono state già risolte nelle richiamate pronunzie, cui in questa sede va data continuità, che hanno chiarito che la locuzione della legge 350/2003 - che dispone la salvezza della previgente disciplina nei confronti di coloro che alla data del 2 ottobre 2003 avevano maturato «il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui alla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8» - deve intendersi come del tutto equivalente alla espressione lessicale già impiegata dall'articolo 47 co. 6 bis DL 269/2003 ( che prevede la applicazione delle precedenti disposizioni per i lavoratori che abbiano già maturato, alla data di entrata in vigore dello stesso decreto legge «il diritto al trattamento pensionistico anche in base ai benefici previdenziali di cui all’articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257»).

Deve ritenersi, cioè, la sinonimia tra le due locuzioni - «diritto al trattamento pensionistico» e «diritto al conseguimento dei benefici previdenziali» - rispettivamente impiegate dal DL 269/2003 (art. 47) e dalla legge 350/2003 (articolo 3 co. 132).

Si rileva sotto il profilo letterale che se il legislatore avesse inteso garantire l’applicabilità delle previgenti disposizioni alla mera ricorrenza della esposizione ultradecennale ad amianto ex lege 257/1992 alla data del 2.10.2003 sarebbe stata del tutto superflua la ulteriore previsione della salvezza della previgente disciplina in favore di «coloro che hanno avanzato domanda di riconoscimento all’INAIL o che ottengono sentenze favorevoli per cause avviate entro la stessa data ( del 2 ottobre 2003)», categorie a fortiori rientranti nella generale salvezza disposta dalla norma, ove in tali sensi interpretata.

Inoltre dalla interpretazione proposta dai ricorrenti deriverebbe la sostanziale inapplicabilità del D.L. n. 269 del 2003, art. 47, comma 1, ai lavoratori adibiti ad attività assoggettate all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali dell'Inail, in palese contrasto con il carattere generale di tale disposizione, che non distingue affatto tra lavoratori addetti o non addetti ad attività assoggettate alla suddetta assicurazione obbligatoria.

Nient'affatto decisivo risulta poi quanto disposto dal D.M. 27 ottobre 2004, art. 1, comma 2; tale decreto, atto di normazione secondaria, pur se emanato in attuazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 47, ha recepito, senza nulla aggiungere, la locuzione di cui alla L. n. 350 del 2003, art. 3, comma 132 ("diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui alla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8 e successive modificazioni"), cosicché la soluzione della questione all'esame riposa unicamente sull'individuazione della portata effettiva della normazione primaria.

Quanto ai dubbi di legittimità costituzionale sollevati in relazione alla normativa così interpretata, si rileva che la Corte costituzionale, con sentenza n. 376 del 2008, ha ritenuto inammissibile la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto della L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 3, comma 132 e del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 47, censurati in riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in cui escludono dall'applicazione della disciplina di cui alla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8 coloro che prima del 2 ottobre 2003 non abbiano presentato domanda amministrativa di riconoscimento dei benefici previsti dall'art. 13, comma 8, suddetto.

Il giudice delle leggi ha osservato che non si può condividere l'assunto secondo cui il fatto di aver subordinato l'attribuzione dell'originario regime, più favorevole, alla presentazione di una domanda amministrativa, effettuata in un periodo in cui essa non era obbligatoriamente prevista, costituisca la retroattiva - e quindi irragionevole - imposizione di un onere.

Il legislatore ha, infatti, dettato la disciplina transitoria inerente al passaggio da un regime ad un altro e, considerando che ciò comportava un trattamento meno favorevole, ha voluto far salve alcune situazioni ritenute meritevoli di tutela, introducendo disposizioni derogatorie, tra le quali quella relativa a chi avesse precedentemente presentato domanda amministrativa per ottenere il beneficio. Il giudice delle leggi ha riconosciuto al legislatore «ampia discrezionalità, salvo il limite della palese irragionevolezza, nella fissazione delle norme di carattere transitorio dettate per agevolare il passaggio da un regime ad un altro, tanto più ove si tratti di disciplina di carattere derogatorio comportante scelte connesse all'individuazione delle categorie dei beneficiari delle prestazioni di carattere previdenziale».

Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna le parti ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in € 100 per spese ed € 2.500 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.