Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 maggio 2017, n. 11020

Rapporto di lavoro - Contratto a termine - Scadenza - Risoluzione per mutuo consenso - Configurabilità

 

Fatti di causa

 

1. Con la sentenza n. 64/2013 depositata il 13.3.2013 la Corte di appello di Cagliari, in parziale riforma di due sentenze (non definitiva e definitiva) del Tribunale di Sassari, ha condannato il Banco di Sardegna spa al pagamento, in favore di T. E., degli interessi e rivalutazione, in relazione alla riconosciuta indennità ex art. 32 legge n. 183/2010, dalla pronuncia di primo grado e non dalla offerta della prestazione.

2. La Corte territoriale per quello che interessa in questa sede, sulla premessa che T. E. aveva prestato attività lavorativa con il Banco di Sardegna con due rapporti a termine, dall'ottobre del 1994 all'aprile del 1995 e dal giugno del 1995 al dicembre dello stesso anno e che nel 2000 la società era stata messa in mora, nel 2001 era stato esplicitato il tentativo di conciliazione e nel 2005 era stato depositato e notificato il ricorso introduttivo, ha, in primo luogo escluso che fosse configurabile una risoluzione per mutuo consenso. In secondo luogo, ha confermato, integrandolo con altre argomentazioni, l'assunto del primo giudice in ordine alla circostanza della firma del contratto avvenuta successivamente all'inizio della prestazione.

3. Per la cassazione propone ricorso il Banco di Sardegna spa affidato a due motivi.

4. Resiste con controricorso T. E..

5. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo la società denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1372 primo comma, 1175 e 1375 cc (art. 360 n. 3 c.p.c.) per non avere la gravata sentenza ritenuto la sussistenza di elementi idonei e sufficienti a dare conto di una intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro per facta concludentia. In particolare deduce che la mancanza di operatività del rapporto di lavoro, protratto per un considerevole lasso di tempo (nel caso di specie, a fronte di due contratti a termine il cui secondo si era concluso il 27.12.1995, la prima contestazione era avvenuta con la lettera del 7.12.2000 mentre il giudizio di primo grado era stato instaurato il 4.1.2005) non poteva che essere considerata quale dimostrazione della mancanza di interesse di entrambe le parti alla prosecuzione del rapporto medesimo.

2. Con il secondo motivo il Banco di Sardegna spa lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cc, degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell'art. 1 legge 230 del 1962 (art. 360 n. 3 c.p.c.) per avere erroneamente la sentenza dei giudici di seconde cure ritenuto illegittima la clausola appositiva del termine al contratto di lavoro, per mancato rispetto della forma scritta, in considerazione del fatto che la firma del contratto sarebbe stata successiva all'inizio della prestazione. Censura, a tal uopo, sia l'argomentazione secondo cui, dall'istruttoria svolta, sarebbe emersa l'esistenza di una prassi aziendale per cui "almeno nelle dipendenze periferiche, il contratto tardava sempre qualche giorno rispetto all'inizio della prestazione", sia l'assunto dove si è affermato che non era stato provato che la lettera contratto, con data 31.5.1995, fosse giunta in termine utile per poter essere stata sottoscritta. Deduce, infine, che nessuna disposizione impone, oltre alla stipula di un atto scritto, la necessità della firma apposta in calce al contratto stesso ai fini della sua validità e che nessuna disposizione impone addirittura un onere di sottoscrizione antecedente la decorrenza prevista dal contratto.

3. Il primo motivo non è fondato.

4. Vale ricordare che, secondo l'indirizzo consolidato di questa Sezione (tra le altre Cass. 1.3.2011 n. 5887; Cass. 15.11.2010 n. 23057; Cass. 10.11.2008 n. 26935) la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è di per sé insufficiente a far considerare sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso in quanto, affinché possa configurarsi una tale risoluzione, è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell'ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, sicché la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto.

5. Ciò premesso, deve ritenersi che l'accertamento di merito, svolto al riguardo dalla Corte di merito, è conforme a diritto ed è stato congruamente motivato, mentre la società ricorrente invoca il diverso indirizzo, fondato sulla cessazione della funzionalità di fatto e sulla valutazione sociale tipica (cfr. Cass. 5.6.2013 n. 14209; Cass. 6.7.2007 n. 15264) con una valorizzazione, quindi, del piano oggettivo, che è, invece, stato disatteso dalla giurisprudenza prevalente di questa Corte di legittimità (cfr. Cass. 14.10.2015 n. 20704; Cass. 27.10.2015 n. 21876; Cass. 1.7.2015 n. 13535; Cass. 28.1.2014 n. 1780) la quale ha confermato, come sopra detto, la necessità dell'accertamento della "chiara e comune volontà delle parti": requisito, nel caso di specie, non ravvisabile, come correttamente sottolineato dai giudici di seconde cure, ai fini di ritenere risolto il rapporto per mutuo consenso.

6. Anche il secondo motivo non è meritevole di pregio.

7. Viene dedotta una violazione di legge in difetto, però, degli appropriati requisiti di erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalla disposizione di legge, mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. 26.6.2013 n. 16038; Cass. 28.2.2012 n. 3010; Cass. 31.5.2006 n. 12984).

8. In realtà il motivo scrutinato è essenzialmente inteso alla sollecitazione di una rivisitazione del merito della vicenda e alla contestazione della valutazione probatoria operata dalla Corte territoriale, sostanziante il suo accertamento in fatto di esclusiva spettanza del giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità (Cass. 16.12.2011 n. 27197; Cass. 18.3.2011 n. 6288; Cass. 19.3.2009 n. 6694).

9. E ciò per la corretta ed esauriente argomentazione, senza alcun vizio logico nel ragionamento decisorio, delle ragioni per cui si è ritenuto che la firma del contratto a termine sia avvenuta dopo l'inizio della sua prestazione, in particolare: a) la mancata prova che la cd. lettera contratto che reca la data del 31.5, laddove la prestazione è cominciata il giorno successivo, sia giunta a Tortoli in termine utile per potere essere sottoscritta; b) la mancanza di riscontri esterni relativamente alla data che avrebbe potuto essere apposta in qualunque e anche successivo momento.

10. La ritenuta consistenza delle doglianze in una contestazione della valutazione probatoria e dell'accertamento in fatto della Corte territoriale, e non già in omissione di esame di fatti storici decisivi, esclude la ricorrenza del vizio denunciato anche ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., applicabile ratione temporis per la pubblicazione della sentenza impugnata (13.3.2013).

11. Quanto, infine, alla censura riguardante la necessità di un onere di sottoscrizione del contratto antecedente la decorrenza prevista dal contratto stesso, si intende dare continuità all'indirizzo giurisprudenziale più recente di questa Corte secondo cui, in tema di contratto di lavoro a tempo determinato, l'atto scritto contenente, a norma dell'art. 1 legge 230 del 1962, l'indicazione del termine iniziale del rapporto lavorativo, deve essere precedente o almeno contestuale all'inizio della prestazione lavorativa e deve intervenire direttamente tra datore di lavoro e lavoratrice, con la conseguenza che esso non può essere sostituito da singoli atti della procedura di avviamento al lavoro e da un contratto che, intervenendo solo successivamente all'inizio della prestazione lavorativa, si richiami a detti atti (cfr. in termini Cass. 27.2.1998 n. 2211; Cass. 11.12.2002 n. 17674).

12. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere respinto.

13. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.