Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 14 febbraio 2019, n. 4414

Tributi - IVA - Importazione - Immissione in libera pratica senza immediata applicazione dell’imposta - Transito della merce dal deposito IVA - Semplice controllo dell'integrità dei sigilli e del riscontro documentale della merce - Esclusione - Necessaria l’introduzione fisica della merce in depositi fiscali

 

Rilevato che

 

In esito a revisione eseguita il 14.02.2007 di due dichiarazioni doganali presentate dalla s.r.l. A. T. (e per essa dalla rappresentante I.T.S.A. s.p.a.), relative all'importazione di merce proveniente da paesi extracomunitari avvenuta con richiesta di immissione in libera pratica ai sensi dell'art. 50 bis co.4° lett. b) D.L. n. 331/1993 e transitata dal deposito IVA 305L della RTC s.p.a., l'Ufficio delle Dogane di Civitavecchia emetteva avvisi di rettifica del 24.09. e del 10.10.2007 con i quali escludeva l'applicazione dell'agevolazione prevista da detta norma e procedeva al recupero dell'IVA e degli interessi.

La società in data 14.03.2007 impugnava gli avvisi con distinti ricorsi, assumendo violazione degli artt. 7 Legge n. 212/2000 e 11 co. 5° D. Lgs. 8.11.1990 n.374, insufficienza ed erroneità della motivazione anche per mancata allegazione del verbale di verifica eseguita presso il gestore del deposito IVA; nel merito infondatezza della pretesa, poiché erano stati osservati tutti gli adempimenti richiesti dalla normativa per l'immissione in libera pratica dei beni importati; in particolare deduceva che questi, pur non essendo stati scaricati dagli automezzi e stoccati presso il deposito, vi erano entrati ed erano stati verificati dagli operanti ed annotati nei registri di contabilità del depositario.

La Commissione tributaria provinciale di Roma, con sentenza n.181/36/09 depositata l'8.05.2009 accoglieva i ricorsi; ma la decisione veniva poi riformata dal giudice d'appello con la sentenza oggetto del presente giudizio.

La CTR, in punto di diritto, per quanto qui di interesse, ha manifestato radicale dissenso dalla decisione della CTP che aveva accolto i ricorsi riuniti , ritenendo che la problematica circa l'effettività dell'immissione delle merci nei locali del depositario IVA dovesse ritenersi risolta negativamente dall'art.16 co.5 bis Legge 28.01.2009 n. 2, di interpretazione autentica dell'art. 50 bis D.L. 30.08.1993 n. 331 conv. in Legge n. 427/1993; laddove, a parere dei Giudici d'appello, i depositi fiscali IVA si configurerebbero quali veri e propri spazi fisici nei quali le merci ivi destinate debbono essere effettivamente introdotte stoccate e custodite per poi esserne estratte con le modalità legalmente previste, sicché le  agevolazioni connesse al detto regime derogatorio possono essere usufruite solo nel rispetto degli adempimenti previsti dalla normativa regolamentare che regola l'effettiva introduzione e l'estrazione delle merci nei (e dai) depositi; donde l'inapplicabilità della norma di interpretazione autentica alla fattispecie controversa;

La s.r.l. A. T. in liquidazione ricorre per cassazione sulla base di 3 motivi, al quale resiste l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli con controricorso;

Il ricorso è stato fissato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 co. 2° e 380 bis.l c.p.c. come introdotto dall'art. 1bis D.L. 31.08.2016 conv. in Legge 25.10.2016 n. 197;

In data gennaio 2019 la A. T. s.r.l. in liquidazione ha depositato memoria nella quale ha invocato la sentenza di Corte di Giustizia UE 17.07.2014 C272/13 nel caso "Equoland" e le Circolari 20.10.2014 n. 16/D dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e 24.03.2015 n. 12/E dell'Agenzia delle Entrate, che avevano invitato le Direzioni territoriali ad annullare in autotutela gli accertamenti emessi in violazione del principio di diritto enunciato nella menzionata sentenza;

 

Considerato che

 

Con il primo motivo di ricorso la s.r.l. A. T. denuncia ai sensi dell'art. 360 co. 10 n.3 c.p.c. la violazione degli artt.2697 c.c. e 115 e 116 c.p.c. per avere omesso di valutare gli elementi di prova emersi in ordine all'introduzione delle merci nel deposito IVA di Civitavecchia gestito dalla RTC s.p.a., ancorché ritenuti irrilevanti dai Giudici di 1° grado, in particolare ignorando sia il tenore delle controdeduzioni dell'Agenzia delle Dogane, sia quello delle dichiarazioni del magazziniere in queste riportate, sia infine il contenuto dello stesso PVC 14.02.2007, tutte riprodotte nel ricorso;

Con il secondo motivo la ricorrente enuncia, ai sensi dell'art.360 co. 10 n.3 c.p.c., violazione dell'art. 50bis lett.b D.L.  30.08.1993 n.331 conv. in Legge n.427/1993 e dell'art.4 D.M. 20.10.1997 n.419 per avere la CTR erroneamente ritenuto che l'agevolazione in esse prevista presupponga non solo la presa in carico contabile ed il materiale ingresso delle merci d'importazione extra-comunitaria nell'ambito del deposito IVA, bensì anche lo scarico e lo stoccaggio di esse nel magazzino, in spregio alle Circolari e disposizioni delle medesime Agenzie delle Entrate e delle Dogane che fanno riferimento ad un tempo di permanenza minimo che giustifichi economicamente e giuridicamente il contratto di deposito; in proposito fa rilevare che, rispetto alle fattispecie esaminate dai precedenti giudicati di legittimità del 2010 che avevano escluso che si fosse instaurato un contratto di deposito per essere stata l'introduzione delle merci soltanto "virtuale", nelle vicende oggetto di questo processo era stato riconosciuto dal Giudice di prima istanza, e non contestato dalla CTR, che "le operazioni di competenza del depositario risultano effettuate, sia pure nella forma più semplice del controllo dell'integrità dei sigilli ...e del riscontro documentale della merce";

Con il 3° ed ultimo motivo la A. T. s.r.l. denuncia, ai sensi dell'art. 360 co. l° n.3 c.p.c., violazione dell'art.16 co.5bis D.L. n. 185/2008, convertito il Legge n.2/2009, norma d'interpretazione autentica dell’art.50bis cit., per non aver ritenuto che le prestazioni di servizio spettanti al depositario e di fatto poste in essere dalla RTC (adempimenti amministrativo-contabili e sommaria verifica fisica) fossero sufficienti ad integrare l'introduzione delle merci nel deposito, con conseguente fruibilità delle connesse agevolazioni; interpretazione poi che sarebbe ulteriormente corroborata dall'integrazione normativa introdotta con l'art.8 co.21bis D.L. n. 16/2012, in virtù delle quali per la effettività del contratto di deposito non sarebbe necessaria una durata minima della giacenza delle merci;

 

Ritenuto che

 

Le censure articolate nel secondo e terzo motivo di ricorso all'interpretazione dell'enunciato normativo applicato dalla CTR, che debbono essere esaminate congiuntamente per la stretta connessione logica che le unisce, sono infondate.

Come hanno già puntualmente affermato Cass. Sez.V 19.05.2010 n. 12263 ed altre coeve e ribadito la più recente Cass. Sez.VI-V ord. 29.07.2015 n. 19780, "al fine di evitare l'immediato assolvimento dell'imposta per l'immissione in libera pratica di beni non comunitari occorre la loro introduzione fisica e non solo virtuale in depositi fiscali", deponendo in tal senso non solo la lettera del 4° co. lett.b) dell'art.50bis nella parte in cui si riferisce alla necessità dell'introduzione dei beni importati in un deposito IVA ed il co.6° laddove si riferisce alla successiva estrazione degli stessi dal deposito, ma altresì l'implicito ma essenziale collegamento del beneficio alla realizzazione di un contratto di deposito che, secondo la normativa civilistica, contempla la realità del rapporto e, quindi, la materiale presa in carico dei beni, restando perciò insufficiente il loro sommario esame e verifica senza una pur breve introduzione nei locali all'uopo destinati ed autorizzati; ed ancora il riferimento alla custodia dei beni medesimi contenuta sia nel Io co. Dell’articolo, sia sub e) ed h) del medesimo co.4°. Ciò che tuttavia maggiormente rileva è che questa Corte, nei menzionati precedenti, ha evidenziato come il riferimento alla realità del deposito si evinca in modo inequivoco dalla disciplina comunitaria, e precisamente dagli artt.98-101 Reg. CEE 2913/1992, che definiscono come deposito doganale, sia pubblico che privato, il luogo ove le merci possono essere immagazzinate, e disciplinano (art.101) gli obblighi del depositario (vigilanza delle merci e rispetto delle norme relative alla loro conservazione); addirittura l'art.107 prevede che la registrazione e l'iscrizione in contabilità delle merci depositate siano operazioni successive all'introduzione delle stesse nei deposito, così implicitamente postulando che le operazioni di registrazione abbiano per presupposto l'ingresso delle merci in magazzino.

Né, contrariamente a quanto argomentato dalla ricorrente nel terzo motivo, possono trarsi argomenti in contrario dalla innovazione introdotta dall'art.16 co.5bis D.L. n. 185/2008 conv. in Legge n.2/2009, esplicitamente interpretativo dell'art.50bis co.4° lett.h) (il cui testo è riportato sia nel ricorso che nel controricorso): come questa Corte ha già avuto modo di chiarire (Cass. N. 12263 del 2010 già citata), poiché detta norma, "ne//a parte in cui prevede l'esenzione dall'IVA per le prestazioni di servizi relative a beni custoditi in un deposito IVA, anche se materialmente eseguite nei locali limitrofi - nel senso che tali prestazioni "relative ai beni consegnati al depositario, costituiscono ad ogni effetto introduzione nel deposito IVA"", effettivamente si limita "a consentire in locali limitrofi al deposito l'esecuzione di attività accessorie di manipolazione delle merci, senza però interferire sulla necessaria introduzione delle stesse ma, anzi, implicitamente confermandola, come si evince dal riferimento ai beni "consegnati" al depositario, ove il termine "consegna" non può ritenersi diverso da quello di "introduzione" nel deposito anzi la limitazione di tali operazioni entro un orizzonte temporale massimo di 60 gg., al fine di sottrarle all'obbligo di corresponsione dell'IVA, lascia intendere la riferibilità di detta disposizione ad un deposito protratto per un apprezzabile arco di tempo, cioè all'ipotesi in cui, in ragione di lavorazioni e modifiche applicate alle merci stoccate (i servizi cui si riferisce la lett.h e non già le semplici verifiche contabili ed esterne che possono effettuarsi in poche decine di minuti senza scaricare le merci dei mezzi di trasporto sui quali vengono "virtualmente"’ introdotte in un magazzino di deposito) si doveva ritenere che l'immagazzinamento vi fosse stato, ancorché i servizi fossero stati resi in aree immediatamente adiacenti al deposito ed all'uopo autorizzate.

Ancor meno significativa è poi l'integrazione normativa di tale ultima disposizione introdotta dall'art.8 co.21bis D.L. 2.03.2012  n.16, sempre con riferimento alla citata lett. h) del co.4°: oltre alle ragioni già evidenziate con riferimento alla norma integrata, v'è da aggiungere che tale ultima norma non ha alcuna efficacia retroattiva rispetto al momento di entrata in vigore della norma oggetto di interpretazione,

Tanto premesso in ordine al regime giuridico applicabile alla fattispecie, va immediatamente rilevata l'infondatezza e/o l'inammissibilità del 1° motivo di ricorso, che, pur enunciato come motivo di violazione di legge (nella specie art.2697 c.c. e 115 e 116 c.p.c.), fin dal suo esordio si rivela essere un motivo schiettamente attinente alla valutazione delle prove da parte del Giudice d'appello per omessa valutazione di prove agli atti del giudizio. In particolare la ricorrente lamenta che i Giudici di merito avevano escluso che la merce dovesse considerarsi entrata nel deposito alla stregua del p.v.c. e delle dichiarazioni rese dal magazziniere e registrate in altro verbale dei verificatori e che la controparte aveva ammesso tale circostanza nelle controdeduzioni di 1° grado, così violando i richiamati precetti normativi dai quali si ricava il principio che il Giudice deve porre a fondamento della sentenza soltanto i fatti provati nel giudizio.

La censura, quindi, deducendo l'erronea valutazione da parte dei giudicanti di merito delle prove introdotte ed acquisite nel giudizio, nel che si manifesta la violazione degli artt.115 e 116 c.p.c., si delinea come vera e propria denuncia di un vizio di motivazione (cfr. Cass. Sez. III 12.10.2017 n.23940; Cass. Sez.II 30.11.2016 n.24434; Cass. Sez.V 30.12.2015 n.26110), che del tutto impropriamente è stata qualificata come vizio di violazione di legge mentre avrebbe dovuto essere prospettata sub specie del n.5 del medesimo comma.

Peraltro, anche nella parte in cui, del tutto genericamente, la ricorrente sembrerebbe invocare la corretta applicazione delle norme in tema di onere della prova, la violazione dell'art.2697 c.c. non appare configurabile sotto alcun profilo, alla stregua della formulazione della censura, poiché né la sentenza contiene alcuna affermazione circa il mancato o fallito onere probatorio di una delle parti, né la ricorrente individua quale passaggio argomentativo

contenga la violazione dei principi in tema di ripartizione dell'onere probatorio (cfr. a titolo meramente esemplificativo Cass. Sez.VI-III ord. 23.10.2018 n.26769; Cass. Sez.III 17.06.2013 n.15107); quanto alla violazione dell'art.115 c.p.c., l'ipotesi dedotta in ricorso (omessa valutazione delle dichiarazioni del magazziniere e degli accertamenti in PVC) non rientra in nessuna delle due fattispecie che nella giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte possono integrare la specifica violazione, e cioè quando il Giudice abbia posto a fondamento della decisione fatti tratti indebitamente dalla sua scienza personale o dal notorio, cioè fonti extra processuali, ovvero quando escluda la rilevanza di un fatto decisivo omettendo di valutare i fatti all'uopo indicati dalla parte (Cass. Sez.I ord. 28.02.2018 n.4699; Cass. Sez.III 11.10.2016 n.20382): invero sia le parti che il Giudice nella specie concordavano nel ritenere decisiva la circostanza dell'introduzione fisica delle merci nel deposito IVA, che il Giudice ha ritenuto non provata senza alcuna motivazione sul punto, e senza adottare alcuna scelta tra le risultanze probatorie valorizzate dalla ricorrente ed altre eventualmente esistenti in atti; sicché l'omissione dell'apprezzamento di decisività potrebbe essere censurato ex n.3 art.360 soltanto quando fosse il frutto di una espressa statuizione rilevabile dal testo della sentenza.

Quanto alla memoria depositata il gennaio 2019 da parte ricorrente a sostegno del ricorso, va rilevato che l'autorità della pronuncia di Corte Giustizia UE 17.07.2014 C272/2013 non ha alcuna incidenza pregiudiziale nel presente giudizio, nel quale la medesima parte ricorrente non ha sollevato alcuna censura in relazione alla illegittimità dell'eventuale duplicazione del pagamento dell'IVA all'importazione, questione principale risolta dall'invocata sentenza; e tantomeno possono averne le indicazioni di orientamento applicativo emanate dalle Agenzia fiscali interessate alle articolazioni interne e territoriali.

Il ricorso, pertanto, deve essere respinto e la sentenza impugnata deve essere confermata.

5. Le spese della presente fase, attesa l'assenza di consolidati orientamenti di legittimità sulla questione all'epoca in cui fu proposto il ricorso per cassazione, vanno integralmente compensate.

 

P.Q.M.

 

Respinge il ricorso.

Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di Cassazione.