Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 luglio 2017, n. 17531

Licenziamento disciplinare - Illegittimo sistema del badge in uso in azienda - Controllo a distanza dell'attività dei lavoratori - Accordo con le rappresentanze sindacali

Svolgimento del processo

Con sentenza del 23.3.2011, il Tribunale di Napoli dichiarò l'illegittimità del licenziamento disciplinare intimato il 3.6.2010 a N.C. dalla G.S. s.p.a., con ordine di reintegra e condanna della società al risarcimento del danno ex art. 18 L. n. 300\1970.

Avverso tale sentenza proponeva appello la società, evidenziandone l'erroneità per aver ritenuto illegittimo il sistema "badge" in uso nell'azienda.

Resisteva il C..

Con sentenza depositata l'11 aprile 2013, la Corte d'appello di Napoli rigettava il gravame.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società G. S., affidato a due motivi.

Resiste il C. con controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato affidato a quattro motivi.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Motivi della decisione

 

1.-Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione dell'art. 4 L. n. 300\1970, lamentando che la sentenza impugnata ritenne che il meccanismo del badge (a radio frequenza), che si limita a leggere le informazioni contenute nella tessera dei dipendenti, costituisse un illegittimo strumento di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori (essendo invece una mera evoluzione del cartellino marcatempo e di rilevazione di un dato fornito dallo stesso lavoratore con posizionamento a circa 3 cm. dal lettore e digitazione della causale della timbratura, senza alcuna possibilità di verifica della sua presenza reale, in assenza di tornelli o di videocamere, come risultante dalla modalità di rilevazione dei fatti contestati, in esito ad accertamento investigativo della durata di quindici giorni), con erronea interpretazione sia letterale che della ratio della norma.

2.- Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., evidenziando che la sentenza impugnata pose a base della sua decisione circostanze (quali l'idoneità del sistema badge, in quanto collegato a centrale telematica in grado di elaborare i dati inerenti non solo l'ingresso e l'uscita dei lavoratori, ma anche le sospensioni del lavoro - indipendentemente dall'uscita dei locali aziendali - i permessi ottenuti, le pause di lavoro, ed in sostanza, senza alcuna collaborazione volontaria del singolo dipendente, di rilevare i movimenti del personale, all'interno ed all'esterno della struttura, pur in assenza di avvicinamento del badge al lettore), di cui non era stata fornita alcuna prova da parte del lavoratore e negate dalla società.

2.1- I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, presentano profili di inammissibilità e sono per il resto infondati.

Sebbene non sia dubbio che il controllo degli orari di ingresso e di uscita dei lavoratori non abbia nulla a che vedere con il controllo a distanza dell'attività di costoro, essendo piuttosto diretto a verificare la circostanza fondamentale della loro presenza o assenza dall'ufficio o luogo di lavoro, deve considerarsi che nella specie la sentenza impugnata ha accertato ulteriori elementi di fatto, che hanno correttamente indotto la corte di merito all'accoglimento della domanda del lavoratore, giusta del resto la giurisprudenza di questa Corte formatasi in analoghe controversie.

In essa si è affermata l'infondatezza dell'attuale primo motivo di ricorso, evidenziando che anche la rilevazione dei dati di entrata ed uscita dall'azienda mediante un'apparecchiatura di controllo predisposta dal datore di lavoro, sia pure per il vantaggio dei dipendenti, ma utilizzabile anche in funzione di controllo dell'osservanza dei doveri di diligenza nel rispetto dell'orario di lavoro e della correttezza dell'esecuzione della prestazione lavorativa, non concordata con le rappresentanze sindacali, né autorizzata dall'ispettorato del lavoro, si risolve in un controllo sull'orario di lavoro e in un accertamento sul quantum della prestazione, rientrante nella fattispecie prevista dal secondo comma dell'art. 4 della legge n. 300 del 1970 (Cass. 13 maggio 2016, n. 9904, Cass. 17 luglio 2007, n. 15892).

Né l'esigenza di evitare condotte illecite da parte dei dipendenti può assumere portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e riservatezza del lavoratore, quando, però, tali comportamenti riguardino l'esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro, e non, invece, quando riguardino la  tutela di beni estranei al rapporto stesso: con la conseguenza che esula dal campo di applicazione della norma il caso in cui il datore abbia posto in essere verifiche dirette ad accertare comportamenti del prestatore illeciti e lesivi del patrimonio e dell'immagine aziendale (Cass. 13 maggio 2016, n. 9904, Cass. 27 maggio 2015, n. 10955; Cass. 23 febbraio 2012, n. 2722; Cass. 23 febbraio 2010 n. 4375).

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha fatto esatta applicazione della norma denunciata (art. 4 L. n. 300\70), avendo ritenuto, con accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità, in quanto congruamente e logicamente argomentato (per le ragioni illustrate a pag. 4 della sentenza impugnata) e tanto più nel vigore del nuovo n. 5 dell'art. 360, comma 1, c.p.c., che il badge in uso presso G. S. s.p.a., con tecnologia RFID puntualmente ivi illustrata, consistente in un chip RFID contenuto nel badge e in un lettore badge collegato per mezzo della rete "Ian" all'ufficio del personale di Roma, consentisse la trasmissione, mediante sistema on line, alla centrale operativa di Roma di "tutti i dati acquisiti tramite la lettura magnetica del badge del singolo lavoratore, riguardanti non solo l'orario di ingresso e di uscita, ma anche le sospensioni, i permessi, le pause", così realizzando "in concreto, un controllo costante e a distanza circa l'osservanza da parte degli stessi" (dipendenti) "del loro obbligo di diligenza, sotto il profilo del rispetto dell'orario di lavoro", rientrante nella fattispecie prevista dal secondo comma dell'art. 4 L. n.300/1970. La Corte partenopea ha quindi convenuto "con il primo giudice che si tratta di strumento di controllo a distanza e non di mero rilevatore di presenza, tenuto anche conto che il sistema in oggetto consente di comparare immediatamente i dati di tutti i dipendenti, realizzando così un controllo continuo, permanente e globale".

E ciò nella verificata inesistenza di alcun accordo con le rappresentanze sindacali, né autorizzazione dall'ispettorato del lavoro che, integrando una garanzia procedurale a contemperamento dell'esigenza di tutela del diritto dei lavoratori a non essere controllati a distanza e quello del datore di lavoro o, se si vuole, della stessa collettività, relativamente alla organizzazione, produzione e sicurezza del lavoro, individuando una precisa procedura esecutiva e gli stessi soggetti ad essa partecipi (Cass. 13 maggio 2016, n. 9904, Cass. 1 ottobre 2012, n. 16622; Cass. 17 luglio 2007, n. 15892), non può che risultare in forma scritta e non in forma tacita, come esattamente ritenuto dalla Corte territoriale.

In ogni caso, la doglianza di omesso esame della circostanza di un allegato tacito accordo sindacale, è inammissibile per la mancata trascrizione e neppure specifica indicazione dei fatti dedotti dalla difesa del ricorrente (come genericamente esposto in fine del punto 7 del ricorso), così palesemente violando il principio di autosufficienza del ricorso, che impone, a norma dell'art. 366, primo comma, n. 6 c.p.c., di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza, in modo da permettere la valutazione della fondatezza delle ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e quindi ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. 9 aprile 2013, n. 8569; Cass. 16 marzo 2012, n. 4220; Cass. 17 luglio 2007, n. 15952).

2.2- Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 115 primo comma c.p.c., per l'erroneo e contraddittorio assunto della Corte partenopea di idoneità del sistema alla rilevazione dei movimenti del personale, all'interno ed all'esterno della struttura, senza alcuna collaborazione del singolo dipendente, è inammissibile.

Non si configurano, infatti, le denunciate violazioni di norme di legge, per insussistenza dei requisiti loro propri di verifica di correttezza dell'attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva delle norme, né di sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell'ipotesi normativa, né tanto meno di specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata motivatamente assunte in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l'interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 28 novembre 2007, n. 24756; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).

Ed infatti, il mezzo si risolve piuttosto nella sollecitazione di una rivisitazione del merito accertato dalla Corte territoriale e della sua valutazione probatoria, per giunta a fronte della corretta ed argomentata motivazione offerta, già richiamata sopra (e pure tenuto conto della marginalità, nel complessivo ragionamento logico e giuridico compiuto, del passaggio argomentativo censurato: nella seconda parte del primo periodo di pag. 5 sentenza), inammissibile nell'odierno giudizio di legittimità, nel quale sono deducibili soltanto eventuali vizi del percorso formativo del convincimento del giudice, libero di attingerlo dalle prove che gli paiano più attendibili, senza alcun obbligo di esplicita confutazione degli elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. 13 maggio 2016, n. 9904, Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412).

5.- Il ricorso incidentale condizionato (primo motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 L. n.300/1970 ed omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., per illegittimo controllo occulto in virtù di impiego di personale di vigilanza esterno alla struttura operativa aziendale, i cui nominativi neppure noti agli interessati, con attività anche all'esterno dei luoghi di lavoro a mezzo di strumenti tecnici di registrazione; secondo motivo: violazione e falsa applicazione dell'art. 7 L. n.300/1970 ed omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., per mancata affissione, prima della contestazione, del codice disciplinare in luogo accessibile a tutti con specificazione della fattispecie sanzionata; terzo motivo: violazione e falsa applicazione dell'art. 7 L. n. 300/1970 e delle disposizioni integrative aziendali degli artt. 216, secondo comma e 217, punti 4 e 5 CCNL di categoria ed omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5 c.p.c., per applicazione del licenziamento disciplinare, in contrasto con le previsioni di processo sanzionatorio in progress e di provvedimento conservativo almeno per cinque volte in ciascun anno solare, fino ad ulteriore e grave recidiva; quarto motivo: violazione e falsa applicazione dell'art. 7 L. 300/1970 ed omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., per non immediatezza delle contestazione, deducendone comunque l'infondatezza nel merito), resta pertanto assorbito.

6.- In conclusione il ricorso principale deve essere rigettato, con conseguente assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l'incidentale.

Condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.200,00 per esborsi, €.6.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e c.p.a. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n.115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.