Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 18 luglio 2017, n. 17725

Licenziamento - Indennità sostitutiva del preavviso - Simulazione del rapporto associativo - Accertamento

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 23 novembre 2015, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato la A. soc. coop. al pagamento in favore di S. A. dell'indennità sostitutiva del preavviso, respingendo ogni altra domanda del lavoratore proposta anche nei confronti di E. Spa, di SAFRA Consorzio Cooperative, di A. soc. coop. a r.L, di O. soc. coop.

La Corte territoriale ha innanzitutto ritenuto le domande proposte nei confronti di E. Spa nonché quelle aventi ad oggetto l'accertamento della "simulazione del rapporto associativo" coperte da precedenti giudicati.

Circa la richiesta declaratoria di nullità e/o illegittimità del licenziamento irrogato all'A., con la conseguente condanna di "Consorzio SAFRA o, in subordine, A. soc. coop." alla reintegrazione ed al risarcimento del danno, la Corte milanese, premesso che in base il precedente giudicato doveva ritenersi genuino il rapporto associativo con la cooperativa A. all'epoca del licenziamento, ha considerato che, a causa dello scioglimento anticipato deliberato dall'assemblea di detta cooperativa, con contestuale messa in liquidazione e cessazione di ogni attività lavorativa, doveva considerarsi risolto, insieme al rapporto A.ciativo, anche il rapporto di lavoro; non essendo stata impugnata la delibera di scioglimento anticipato della cooperativa il licenziamento doveva quindi ritenersi sorretto da giustificato motivo oggettivo.

In ordine alle domande proposte nei confronti della  succeduta alla A. nell'appalto, con cui si lamentava attivata la procedura di licenziamento collettivo, la Corte di Appello ha ritenuto che non fossero stati attuati licenziamenti ma che gli ex soci della cooperativa A., dopo avere risolto spontaneamente il rapporto associativo e di lavoro, avessero formulato specifica richiesta di adesione alla cooperativa O., istanza di ammissione invece non inoltrata dall'A.

Infine, in merito alla dedotta violazione dell'art. 42 bis CCNL Logistica, Trasporto merci e Spedizione, la Corte ha ritenuto che la clausola ivi prevista trovasse applicazione per le sole imprese appaltanti che applicassero detta disciplina collettiva, il che non era per E. Spa.

2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso S. A. con sette motivi. Hanno resistito E. Spa, Consorzio SAFRA società cooperativa, O. società cooperativa, con distinti controricorsi. Non ha svolto attività difensiva A. società cooperativa a r.l.

Il ricorrente ed E. Spa hanno comunicato memorie ex art. 378 c.p.c.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione dell'art. 2909 c.c. sostenendo che la Corte del merito "ha sicuramente errato nel ritenere che le questioni relative alla costituzione del rapporto di lavoro direttamente con E. Spa potessero ritenersi coperte dal giudicato".

Il secondo motivo denuncia violazione della stessa norma del codice civile avuto riguardo all'altra domanda formulata dal lavoratore relativa all'accertamento della "simulazione del rapporto associativo" che pure la Corte di Appello ha considerato preclusa per un precedente giudicato.

Entrambi i motivi sono inammissibili per difetto di adeguata specificità e di autosufficienza atteso che, per consolidato orientamento di legittimità, il testo del giudicato esterno, al fine di delibarne gli effetti soggettivi ed oggettivi sul giudizio in cui viene rilevato, deve essere riprodotto nel ricorso per cassazione, in questo senso non bastando neanche il riassunto sintetico dello stesso (da ultimo v. Cass. n. 2617 del 2015 con la giurisprudenza ivi richiamata; inoltre secondo Cass. SS.UU. n. 1416 del 2004, per l'osservanza dell'autosufficienza occorre indicare il momento e le circostanze processuali in relazione alle quali sono stati prodotti gli atti conferenti al giudicato).

2. Con il terzo motivo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell'art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. in quanto la Corte di Appello non avrebbe considerato le argomentazioni svolte dall'A. intorno alla natura "meramente discriminatoria" del licenziamento intimato per ritorsione o rappresaglia ovvero per motivi riconducibili all'esigenza di escludere dall'azienda una organizzazione sindacale.

Con il quarto motivo si denuncia nullità della sentenza per violazione dell'art. 115 c.p.c. per non avere la Corte territoriale ammesso le prove testimoniali a sostegno della dedotta discriminatorietà.

I motivi, congiuntamente scrutinabili per connessione, oltre a denunciare inammissibilmente nella forma dell'omesso esame di fatto decisivo o di violazione dell'art. 115 c.p.c. una paventata omessa pronuncia che avrebbe dovuto essere adeguatamente censurata in relazione all'art. 112 c.p.c. con le forme proprie di tale error in procedendo, non possono trovare accoglimento perché trascurano di considerare che la sentenza impugnata è stata pronunciata dopo la novella dell'art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., che sottopone il sindacato di questa Corte sulla ricostruzione della vicenda storica quale effettuata dal giudice del merito agli stringenti limiti dell'interpretazione offerta a detta disposizione dalle Sezioni unite con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014 (con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite, v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici).

Le Sezioni unite hanno infatti affermato su tale norma che: a) la disposizione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 disp. prel. c.c., come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l'anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all'esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di "sufficienza", nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili", nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile"; b) il nuovo testo introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); c) l'omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie; d) la parte ricorrente dovrà indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6), c. p. c. e 369, secondo comma, n. 4), c. p. c. - il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui ne risulti l'esistenza, il "come" e il "quando" (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la "decisività" del fatto stesso.

Poiché il terzo motivo risulta irrispettoso di tali enunciati, così come il quarto che, denunciando la violazione dell'art. 115 c.p.c., nella sostanza lamenta la mancata ammissione di una prova testimoniale, senza scalfire il decisivo rilievo per il quale, una volta ritenuto il licenziamento legittimo per l'esistenza di un giustificato motivo oggettivo legato alla cessazione dell'attività della cooperativa, evidentemente secondo la Corte territoriale non residuava spazio per l'esistenza di un motivo illecito determinante, gli stessi devono essere disattesi.

3. Con il quinto motivo si denuncia violazione degli artt. 4 e 24 I. n. 223 del 1991, lamentando "come i licenziamenti dei soci della cooperativa A. risultassero di fatto configuranti un licenziamento collettivo, posto in essere a prescindere dalla applicazione della relativa procedura prevista ex lege".

La censura non può trovare accoglimento perché priva di specificità considerato che, con riferimento alla violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., il vizio va dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l'indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. n. 287 del 2016; Cass. n. 635 del 2015; Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012).

Inoltre essa si fonda su di un presupposto fattuale - esistenza di una pluralità di licenziamenti - espressamente escluso dalla Corte territoriale secondo la quale è accaduto che non sono stati attuati licenziamenti ma che gli ex soci della cooperativa A. hanno risolto spontaneamente il rapporto associativo e di lavoro; accertamento di fatto sottratto ad ogni ulteriore indagine in questa sede di legittimità.

4. Con il sesto motivo si denuncia "violazione degli artt. 1175, 1366 e 1375 c.c., dell'art. 12 preleggi e falsa applicazione dell'art. 42 bis CCNL Logistica, Trasporto merci e Spedizione", a mente dell'art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c..

Per un verso si criticano i passaggi della sentenza impugnata nella parte in cui essa ha ritenuto "che non vi furono licenziamenti da parte della Cooperativa A." e che l'A. non avesse richiesto di entrare a fare parte della Cooperativa O., escludendo così comportamenti vessatori, e si deduce che "le affermazioni di cui alla sentenza impugnata sono del tutto apodittiche e prive di riscontro probatorio"; per altro verso si lamenta che la Corte territoriale non abbia ritenuto applicabile la disposizione di contratto collettivo alla fattispecie de qua mediante una errata interpretazione.

Entrambi i profili di doglianza sono privi di pregio.

Per il primo aspetto, nonostante l'involucro solo formale della dedotta violazione di legge, nella sostanza ci si duole di un non corretto apprezzamento della vicenda fattuale ad opera del giudice del merito, invocando un sindacato, per quanto già ricordato, precluso a questa Corte.

Par l'altro aspetto la censura è inammissibile perché, oltre a tradursi in una interpretazione meramente alternativa rispetto a quella plausibile offerta dall'Appello milanese, non specifica adeguatamente dove sia rinvenibile e quando sia stato depositato integralmente (Cass. SS.UU. n. 20075 del 2010) il CCNL su cui si fonda il motivo (cfr. Cass. SS.UU. n. 25038 del 2013; Cass., SS. UU. n. 7161 del 2010; conformi: Cass. nn. 17602 del 2011 e n. 124 del 2013).

5. Con il settimo motivo si denuncia violazione dell'art. 29, co. 2, d. Igs. n. 276 del 2003, per avere la Corte milanese escluso la responsabilità solidale di E. Spa ai sensi di detta disposizione "trattandosi di credito sorto dopo la cessazione del contratto di appalto tra le parti". Si eccepisce che la norma richiamata prevederebbe come unico limite alla responsabilità del committente il fatto che la domanda sia proposta entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto. Si lamenta che la Corte di Appello avrebbe limitato la propria decisione al mancato pagamento dell'indennità di preavviso, mentre l'istante avrebbe formulato le proprie richieste "con riferimento alle complessive responsabilità attribuite ed attribuibili alla E. Spa".

Il gravame è infondato.

L'art. 29, co. 2, del d. Igs. n. 276 del 2003, prò tempore vigente, nella parte che qui interessa, stabilisce: "In caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell'inadempimento".

Il testo della norma che espressamente si riferisce "al periodo di esecuzione del contratto di appalto" e la logica della solidarietà imposta dall'art. 29 in discorso, che garantisce il lavoratore circa il pagamento dei trattamenti retributivi dovuti in relazione all'appalto cui ha personalmente dedicato le sue energie lavorative, avendo, limitatamente ad esso, come debitore non solo il datore di lavoro ma anche l'impresa appaltante, impone di ritenere che la solidarietà sussiste solo per i crediti maturati in relazione al periodo del rapporto lavorativo coinvolto dall'appalto e non certo per i crediti maturati in un periodo temporale diverso da esso. Il termine biennale è invece un termine di decadenza per la proposizione dell'azione giudiziale, ma sempre in relazione ai crediti maturati in costanza di appalto e per i quali vi sia possibilità di azione.

Nella specie è lo stesso motivo di ricorso che individua la cessazione del contratto d'appalto "nel gennaio 2014", mentre "il credito del Sig. A. S. è sorto nel luglio 2014", sicché del tutto correttamente la Corte milanese ha statuito che non sussisteva responsabilità solidale di detta società per "credito sorto dopo la cessazione del contratto di appalto tra le parti", mentre non risulta adeguatamente specificato quali sarebbero le altre "complessive responsabilità attribuite ed attribuibili ad E.".

6. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo in favore di E. Spa, SAFRA Consorzio cooperative ed O. soc. coop.. Nulla per le spese in favore di A. soc. coop. in mancanza di attività difensiva.

Il ricorrente in cassazione ammesso al patrocinio a spese dello Stato non è tenuto al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dall'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (cfr. Cass. n. 18523 del 2014).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in favore di ciascuna delle parti controricorrenti in euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.