Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 21 giugno 2017, n. 15387

Licenziamento disciplinare - Violazione del principio di immutabilità della contestazione - Difetto di proporzionalità della sanzione

 

Fatti del processo

 

Con ricorso al Tribunale di Roma del 27.1.2012 F. B., già dipendente della società F. 2000 srl, impugnava nei confronti del datore di lavoro e della società S. S. srl il licenziamento disciplinare intimatogli in data 7 marzo 2011, deducendo la violazione del principio di immutabilità della contestazione, la omessa specificazione della norma del contratto collettivo violata, la mancanza di giusta causa, il.

Il giudice del lavoro, con sentenza del 14.11.2012 (nr. 18526/2012), accoglieva il ricorso sotto il profilo del difetto di proporzionalità della sanzione.

La Corte d'appello di Roma, con sentenza del 12-20.12.2014 (nr. 10446/2014), in accoglimento dell'appello della società F. 2000 srl ed in riforma della sentenza di primo grado, respingeva la domanda originaria del B.

Per quanto rileva in questa sede, la Corte di merito osservava che al lavoratore veniva contestato di essersi introdotto nel settore di scarico delle merci al di fuori dell'orario di lavoro e senza autorizzazione, utilizzando chiavi possedute indebitamente, al fine di lavare la propria auto nonché di avere sottratto un secchio ed alcuni detersivi; successivamente, di essersi rivolto ad una collega con espressioni offensive.

Il fatto era stato ritenuto provato nella sentenza impugnata. Nella memoria difensiva, inoltre, il lavoratore appellato aveva dedotto di non avere asportato merce dal supermercato, non contestando , dunque, di avere prelevato la merce dagli scaffali per lavare la propria auto nell'area di scarico.

Il fatto era, altresì, confermato dal provvedimento di archiviazione emesso nella sede penale, prodotto dallo stesso lavoratore, nel quale si dava atto che il B. nell'interrogatorio reso al PM aveva ammesso di avere prelevato prodotti dagli scaffali per riporli nell'armadietto a ciò destinato, cui avevano accesso tutti i dipendenti. Nel decreto di archiviazione il giudice penale riteneva provato l'utilizzo dei prodotti da parte del B. per lavare la propria autovettura (alla pagina 4), escludendo soltanto la sussistenza degli elementi costitutivi del furto.

La sottrazione di merce dagli scaffali per lavare la propria autovettura , introdotta abusivamente nell'area dello scarico delle merci, l'impossessamento delle chiavi del reparto, a disposizione degli addetti al magazzino, l'avere lasciato il cancello aperto, creando una situazione di potenziale pericolo di furto, costituivano comportamenti di rilevante gravità, tali da ledere la fiducia del datore di lavoro circa la futura correttezza dell'adempimento, a prescindere dalle successive condotte contestate.

La valutazione della giusta causa non poteva tenere conto delle previsioni del CCNL, non prodotto da alcuna delle parti di causa.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza F. B., articolato in tre motivi.

Ha resistito con controricorso la società F. 2000 srl.

Il ricorso non è stato notificato alla società S. SUPERMARKETS.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunziato - ai sensi dell'articolo 360 nr.3 cod.proc.civ. - violazione e falsa applicazione degli articoli 212, 213, 217 e 219 CCNL per i lavoratori dipendenti del terziario, distribuzione servizi, dell'articolo 1362 cod.civ, degli articoli 112, 113 cod.proc.civ. nonché - ai sensi dell'articolo 360 nr. 5 cod.proc.civ. - vizio di motivazione.

Ha censurato la sentenza per non avere applicato le previsioni disciplinari del CCNL, prodotte come allegato "E" alla lettera di assunzione (doc. 3 ) ed, in particolare la disposizione dell'articolo 217, il cui contenuto era stato trascritto nel ricorso introduttivo del giudizio, che prevedeva la sanzione del licenziamento disciplinare esclusivamente per le mancanze indicate nella stessa norma.

Ha dedotto la violazione dell'articolo 1362 cod.civ., essendo prevista nel contratto di lavoro la applicazione delle norme del CCNL.

Ha assunto il vizio di motivazione della sentenza, per avere la Corte di merito affermato che la valutazione della giusta causa doveva essere operata in base alle norme di legge per la mancata produzione del CCNL; sotto questo profilo ha esposto di avere prodotto la lettera di assunzione, cui erano allegate le previsioni disciplinari del CCNL (allegato E) ; il CCNL era stato richiamato da entrambe le parti di causa ed utilizzato dal giudice del primo grado a fondamento della sua statuizione.

Il motivo, nella parte in cui lamenta la mancata applicazione delle norme del CCNL, è improcedibile; il ricorrente non ha adempiuto all'onere- ex articolo 369 nr 4 cod.proc.civ., di produrre il testo integrale del CCNL.

Le sezioni Unite di questa Corte (Cassazione civile, sez. un., 23/09/2010, n. 20075) hanno infatti affermato che il predetto art. 369, secondo comma, n. 4, va interpretato nel senso che la parte ricorrente è onerata di produrre il testo integrale del contratto o accordo collettivo di livello nazionale - (e non solo l'estratto delle norme su cui si fonda la censura) - onde assicurare al giudice di legittimità la possibilità dell'interpretazione complessiva ex art. 1363 c.c., aggiungendo che tale onere, pur rappresentando un aggravio per la parte ricorrente, appare comunque proporzionato - e quindi giustificato sul piano della ragionevolezza (ex art. 3 Cost.) - se lo si correla alla nuova funzione di nomofilachia assegnata alla Corte di legittimità in relazione alla normativa collettiva di carattere nazionale dalla riforma dell'articolo 360 nr 3 cod proc.civ., ex D.lvo 2.2.2006 nr. 40.

La censura di violazione dell'articolo 1362 cod.civ. è inammissibile perché non conferente alla ratio decidendi. Il giudice dell'appello ha ritenuto non provate le previsioni del CCNL, in quanto non prodotte in causa; non ha affermato, invece, la loro inapplicabilità al rapporto di causa.

Il vizio di inammissibilità ricorre anche quanto al dedotto vizio di motivazione.

Nella fattispecie trova applicazione ratione temporis (ai sensi dell'art. 54 , co. 3 di 83/2012) il nuovo testo dell'art. 360 co.l nr. 5 cod. proc.civ. sicché il vizio della motivazione è deducibile soltanto in termini di "omesso  esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti".

Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività".

La parte ricorrente non si duole dell'omesso esame di un fatto storico ma della mancata applicazione del contratto collettivo, vizio denunziabile in questa sede in via diretta ai sensi dell'articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto - ai sensi dell'articolo 360 nr. 3 e nr 5 cod.proc.civ. - violazione ed errata applicazione degli artt. 2119 cod.civ., 115 e 116 cod.proc.civ. nonché inadeguata, illogica e contraddittoria valutazione delle prove.

Ha censurato la sentenza per avere ritenuto provato l'addebito sulla base degli scritti difensivi del lavoratore appellato, della sentenza di primo grado, del verbale dell' interrogatorio reso al PM e del decreto di archiviazione.

Ha assunto che la sentenza di primo grado non accertava la commissione dei fatti ma si limitava ad affermare che gli addebiti, ove in ipotesi astrattamente fondati, non avrebbero comunque giustificato il licenziamento. Nei propri atti egli aveva sempre contestato di aver commesso il fatto addebitatogli; nel verbale di interrogatorio reso al pubblico ministero aveva negato di essersi appropriato dei prodotti aziendali per lavare la propria auto ed anche il decreto di archiviazione dava atto di tale circostanza.

Il motivo è inammissibile.

La censura non attiene alla interpretazione delle norme di legge sulla giusta causa del licenziamento né alla violazione delle regole processuali di acquisizione e valutazione delle prove; essa investe, piuttosto, la ricostruzione del fatto storico compiuta in sentenza sicché va correttamente qualificata in termini di vizio di motivazione ex art. 360 nr. 5 cod.proc.civ.

Il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre la allegazione - come prospettata nella specie da parte del ricorrente - di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

Sotto il profilo del vizio di motivazione sussistono le ragioni di inammissibilità della censura già evidenziate in riferimento al primo motivo giacché il ricorrente non indica un fatto storico, controverso e decisivo, non esaminato dal giudice del merito ma si duole della valutazione degli elementi di prova effettuata in sentenza.

3. Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto - ai sensi dell'articolo 360 nr 3 e nr. 5 cod.proc.civ. - violazione ed errata applicazione dell'art. 2119 cod.civ. e degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ nonché inadeguata, illogica e contraddittoria valutazione delle prove, violazione del principio di proporzionalità.

Il ricorrente ha censurato la contraddittorietà della motivazione per avere il giudice dell'appello ritenuto la rilevante gravità dei fatti anche sulla base del decreto penale di archiviazione, che escludeva, invece, la sussistenza del reato di furto.

Ha denunziato la violazione dell'art. 2119 cod.civ. per l'errore di valutazione commesso dal collegio giudicante in punto di proporzionalità della sanzione.

Ha contestato la affermazione in sentenza, in mancanza di ogni acquisizione istruttoria, di una sua condotta di sottrazione di merce e di impossessamento delle chiavi nonché il fatto che egli avesse lasciato aperto il cancello.

Il motivo è inammissibile.

La parte contesta l'accertamento in sentenza delle modalità di svolgimento dei fatti; l'accertamento del fatto storico, che costituisce espressione del potere discrezionale del giudice del merito di valutazione della prova, è censurabile in questa sede di legittimità nei limiti del vizio di motivazione, deducibile, come già rilevato, unicamente in termini di omesso esame di un fatto storico oggetto di discussione e decisivo. Il motivo, senza introdurre alcun fatto storico non esaminato, è invece meramente contrappositivo rispetto alla valutazione degli atti di parte e dei documenti del procedimento penale operata in sentenza.

Nella parte in cui deduce la violazione dell'articolo 2119 cod.civ., per mancata integrazione della giusta causa del licenziamento, il ricorrente si limita, analogamente, a sollecitare questa Corte a compiere un diverso apprezzamento delle circostanze di fatto sotto il profilo della proporzionalità della sanzione, non consentito nella sede di legittimità, piuttosto che denunziare un vizio del giudice del merito nell' individuazione del parametro normativo elastico della giusta causa.

Il ricorso deve essere conclusivamente dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi dell'art. 1 co. 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all'art. 13 DPR 115/2002) - della sussistenza dell'obbligo di versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 200 per spese ed € 3.000 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.