Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 18 ottobre 2018, n. 26244

Gestione Commercianti - Socio amministratore - Obbligo assicurativo - Esclusione della natura commerciale dell'attività svolta dalla società

Fatti di causa

1. La Corte d'appello di Trieste, con sentenza in data 2 agosto 2013, ha rigettato il gravame svolto dall'INPS e, in accoglimento del gravame incidentale svolto da C.G., ha accolto le opposizioni separatamente proposte avverso plurime cartelle di pagamento di somme per contributi previdenziali per la Gestione Commercianti.

2. La Corte territoriale escludeva, sul piano oggettivo, la natura commerciale dell'attività, di import export di macchinari per l'industria manifatturiera e di ricerca tecnologica, svolta dalla s.r.l. S., della quale C. era socio e Presidente del consiglio di amministrazione e, conseguentemente, escludeva l'obbligo d'iscrizione alla gestione commercianti per il socio amministratore; inoltre, sul piano soggettivo, escludeva che l'apporto lavorativo del predetto socio fosse stato prevalente sugli altri fattori della produzione; infine, quanto all'attività svolta da Z.O., componente del consiglio di amministrazione ma non socia della società, e coniuge del predetto C., iscritta dall'INPS alla gestione commercianti come familiare coadiutore, riteneva l'attività della predetta svolta in favore della società, e non del coniuge, così escludendo l'obbligo d'iscrizione sia per l'insussistenza della qualità di familiare coadiutore, sia per la natura industriale e non commerciale dell'attività della società.

3. Avverso tale sentenza ricorre l'INPS, con ricorso affidato ad un motivo, cui resiste C.G., con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

4. L'INPS deduce violazione dell'art. 1, commi 203 e 208 della legge n. 662 del 1996 come interpretato dall'art.12 comma 11 del d.l.n.78 del 2010, convertito in legge n. 122 del 2010, in relazione all'art. 2697 cod.civ., ribadendo sostanzialmente la tesi fatta valere nei gradi di merito, secondo cui l'attività di socio lavoratore espletata dall'attuale intimato, con carattere di abitualità e prevalenza, in aggiunta a quella di socio amministratore, comporta l'obbligo della doppia contribuzione per il C. e della coniuge, come familiare coadiutore.

5. Il ricorso è inammissibile.

6. La sentenza gravata si basa su due rationes decidendi: l'esclusione della natura commerciale dell'attività svolta dalla società e l'insussistenza dell'apporto lavorativo del C. prevalente sugli altri fattori della produzione.

7. Va al riguardo richiamato quanto in più pronunzie affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, enunciando il principio secondo il quale, nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l'accoglimento di tutte le censure, affinché si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, in toto o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l'una o l'altro sorreggano.

8. Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perché il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (v., ex multis, Cass. Sez.U. 8 agosto 2005, n. 16602 e numerose successive conformi).

9. Nel ricorso all'esame la ratio decidendi adottata dalla Corte di merito, per cui l'esclusione della natura commerciale svolta dalla società comporta anche l'insussistenza dell'obbligo di iscrizione alla gestione commercianti, è stata solo genericamente contrastata nell'illustrazione dell'impugnazione, parlando di equivoco in cui sarebbe incorso il giudice del merito, senza una specifica censura, per infirmarne la validità, nell'alveo dei motivi tassativamente indicati dall'art. 360 del codice di rito.

10. La censura svolta in ordine all'ulteriore ratio decidendi, afferente alla riferibilità dell'attività prestata dal C. ad una prestazione d'opera assoggettabile all'obbligo assicurativo verso la gestione commercianti, risulta pertanto inammissibile, per difetto di interesse, in quanto il ricorrente non ha più ragione di avanzare censure che investono l'ulteriore ratio decidendi giacché, ancorché esse fossero fondate, non potrebbero produrre in nessun caso l'annullamento della decisione anzidetta.

11. Tali rilievi concernono anche il capo della sentenza gravata concernente l'attività svolta da Z.O. e le due rationes decidendi - l'insussistenza della qualità di familiare coadiutore e la natura industriale e non commerciale dell'attività della società - delle quali è risultata non censurata, come già detto, la ritenuta natura industriale della società.

12. In conclusione va dichiarata l'inammissibilità del ricorso.

13. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

14. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell'applicabilità del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (sulla ratio della disposizione si rinvia a Cass., Sez. U., 17 ottobre 2014, n. 22035 e alle numerose successive conformi).

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 115/2002, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis.