Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 09 gennaio 2019, n. 259

Licenziamento collettivo - Carattere ritorsivo - Prova

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d'appello di Milano, con sentenza n. 567 depositata il 28.4.2016, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato nulli i licenziamenti intimati il 6.3.2014 ai reclamanti, ha condannato la società datoriale C.D. s.p.a. a reintegrare i predetti nel posto di lavoro prima occupato ed risarcire loro il danno, commisurato alla retribuzione globale di fatto dal giorno della sentenza a quello di effettiva reintegra, oltre rivalutazione e interessi, detratto quanto percepito a titolo di competenze di fine rapporto.

2. La Corte territoriale ha premesso:

- che i lavoratori reclamanti erano dipendenti della S. s.p.a., posseduta al 100% dalla C.D. s.p.a., ed erano addetti al magazzino sito in Segrate;

- che con sentenza del Tribunale di Milano n. 3408/2013 i predetti lavoratori avevano ottenuto l'accertamento dell'imputabilità del rapporto di lavoro in capo alla C.D. s.p.a., con conseguente declaratoria di illegittimità del licenziamento ai medesimi intimato dalla S. s.p.a. nell'ambito della procedura di licenziamento collettivo dell'agosto 2012 ed ordine di reintegra nel posto di lavoro;

- che con lettera del 16.1.2014 i predetti erano stati assegnati in sedi collocate in provincia di Bari, Roma, Treviso e Verona;

- che con lettera del 6.3.2014 erano stati licenziati per assenza ingiustificata protratta per tre giorni.

3. La sentenza impugnata ha dichiarato i licenziamenti intimati dalla C.D. s.p.a. nulli perché ritorsivi.

4. Ha desunto la prova del carattere ritorsivo dei licenziamenti, e prima ancora dell'assegnazione delle sedi ai lavoratori, dai seguenti elementi che ha definito gravi, precisi e concordanti:

- la C.D. s.p.a. era rimasta soccombente nel procedimento instaurato dai lavoratori, di cui alla citata sentenza del Tribunale di Milano n. 3408/2013;

- i predetti lavoratori erano stati reintegrati ed assegnati in sedi tutte molto lontane rispetto a Segrate, ove lavoravano all'epoca del licenziamento, sedi collocate in altre regioni, alcune nel Lazio e in Puglia;

- l'assegnazione dei reclamanti in sedi molto distanti era avvenuta benché le attività che prima si svolgevano nel deposito di Segrate fossero state trasferite presso la sede della C., in Novate Milanese, ed a quest'ultima sede fossero stati adibiti altri lavoratori già in forza a Segrate;

- con sentenza della Corte d'appello di Milano n. 98/2016, richiamata ai fini dell'art. 118 disp. att. c.p.c., era stata accertata, oltre alla unicità del centro d'imputazione costituito dalle due società S. s.p.a. e C.D. s.p.a., la prosecuzione dell'attività presso il magazzino di Novate Milanese;

- in tre delle quattro sedi di destinazione dei lavoratori reclamanti erano stati denunciati esuberi di personale.

5. Ha quindi ritenuto che i licenziamenti, (e prima ancora le precedenti assegnazioni di sede), costituissero la risposta ritorsiva della società all'azione in giudizio dei lavoratori per l'imputazione del rapporto di lavoro in capo alla C., risultando pertanto legittimo il rifiuto dei predetti di prendere servizio nelle sedi di assegnazione (eccezione di inadempimento).

6. Ha respinto l'eccezione di aliunde perceptum e percipiendum sollevata dalla società in quanto sfornita di allegazioni e prove.

7. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la C.D. s.p.a., affidato a cinque motivi, nei confronti dei signori T., D.C. e R., dando atto dell'avvenuta conciliazione della controversia con i signori G. e R.. I lavoratori sono rimasti intimati.

 

Ragioni della decisione

 

1. Col primo motivo di ricorso la società ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 18, L. n. 300 del 1970, n. L. n. 108 del 1990, 2697, 2729 c.c. ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell'art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.

2. Ha richiamato la tesi avversaria secondo cui la società avrebbe "volutamente precostituito le condizioni affinché i lavoratori si trovassero nell'impossibilità di ottemperare all'ordine di trasferimento (rectius, prendere servizio presso le sedi di assegnazione)", dii talché "la mancata presentazione in servizio presso queste sedi (sarebbe) da imputarsi esclusivamente alla volontà aziendale di liberarsi di loro".

3. Ha sostenuto come nell'accogliere tale ricostruzione la Corte territoriale avesse erroneamente applicato gli artt. 2697 e 2729 c.c., data l'assenza di prova, di cui erano onerati i lavoratori, sull'esistenza di un motivo illecito determinante, contraddetto peraltro dall'impossibilità di reintegra dei dipendenti presso il deposito di Segrate, che era stato definitivamente chiuso, e dal coinvolgimento dei medesimi nella scelta delle sedi individuate dalla società come disponibili.

4. Ha censurato la sentenza per omesso esame del fatto decisivo consistente nella impossibilità per la società datoriale di assegnare detti lavoratori al magazzino di Nóvate Milanese e nella necessità di assegnare gli stessi alle sedi loro proposte, fatto che era stato oggetto di discussione tra le parti nelle udienze del giudizio di primo e secondo grado.

5. In particolare, la società ricorrente ha allegato:

- che nel periodo compreso tra la fine del 2013 ed il primo trimestre 2014 presso la sede di Nóvate Milanese non vi erano posizioni lavorative vacanti in linea con i profili professionali dei lavoratori da reintegrare, addetti al magazzino;

- che anzi in detto periodo presso la sede di Nóvate Milanese si era registrato un esubero di personale, tra cui n. 10 addetti al magazzino, tanto che in marzo 2014 la società procedeva al licenziamento e al collocamento in mobilità di n. 7 magazzinieri;

- che ove anche vi fossero state posizioni lavorative vacanti nella sede suddetta, in linea con i profili professionali dei lavoratori intimati, non sarebbe stato possibile offrirle ai predetti in quanto la società, nell'estate 2013 aveva raggiunto un accordo con le RSU, poi formalizzato con accordo sindacale del 20.12.13, impegnandosi a riassorbire con priorità presso Novate Milanese i n. 13 addetti al Call Center che risultavano in esubero;

- che peraltro il successivo accordo sindacale del 28.3.14 dava conto dell'impossibilità, a quella data, e quindi a maggior ragione in precedenza, di ricollocare nel sito di Novate i n. 13 addetti al Call Center;

- che con lettera del 3.10.14 la società aveva avviato una ulteriore procedura di mobilità di carattere nazionale, relativa a n. 50 esuberi, di cui n. 19 provenienti dalla sede di Novate e di questi n. 10 addetti ad attività logistiche di magazzino, analoghe a quelle svolte dai lavoratori intimati;

- che tali esuberi si erano poi ridotti e la procedura si era conclusa con intimazione, nel periodo novembre e dicembre 2014, di licenziamenti individuali a n. 12 dipendenti addetti alla sede di Novate, di cui n. 5 adibiti ad attività logistiche;

- che non sussistevano altre possibili soluzioni occupazionali presso le sedi di Casalecchio di Reno e Torino;

- che presso le sedi di assegnazione dei lavoratori intimati (eccetto quella di Castelletto) erano stati effettivamente dichiarati, a marzo 2013, degli esuberi ma è altrettanto vero che erano successivamente emerse esigenze produttive ed organizzative che avevano reso possibile l'assegnazione delle controparti proprio in tali sedi;

6. La società ha sostenuto come la dimostrata oggettiva impossibilità di assegnare i lavoratori alla sede di Novate Milanese escludesse l'esistenza di un motivo illecito determinante nella condotta datoriale di recesso, adottata unicamente e legittimamente a fronte dell'ingiustificato inadempimento dei lavoratori.

7. Del tutto irrilevante doveva ritenersi, secondo parte ricorrente, il richiamo fatto nella pronuncia impugnata, ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c., alla sentenza n. 98/2016 della Corte d'appello di Milano, atteso che la prosecuzione dell'attività presso il magazzino di Novate Milanese "è stata caratterizzata dalle peculiarità organizzative ed occupazionali sopra descritte, che di fatto hanno escluso un possibile reimpiego dei lavoratori oggi resistenti presso la medesima sede", (ricorso per cassazione, pag. 25).

8. Se anche fosse vero che una parte dell'attività prima svolta a Segrate fosse proseguita presso la sede di Novate Milanese, ciò non avrebbe comportato, secondo la società datoriale, la necessità di individuare il posto di lavoro degli intimati presso la sede di Novate, non essendo mai stato affermato, neanche dalla sentenza n. 98/2016, che nel caso di specie fosse applicabile l'art. 2112 c.c., (ricorso per cassazione, pag. 25).

9. Col secondo motivo di ricorso, la società ha dedotto, in relazione all'art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 c.c., 3, L. n. 108 del 1990, 18, comma 1, L. n. 300 del 1970, 1345, 1418 c.c. nonché omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti.

10. Ha censurato la sentenza per avere erroneamente configurato un trasferimento dei lavoratori, nonostante la mancanza di una sede di provenienza per la chiusura del magazzino di Segrate, essendosi invece la società datoriale limitata ad assegnare ai predetti una sede di lavoro, in esecuzione dell'ordine giudiziale di reintegra.

11. Ha rilevato come la Corte d'appello non avesse preso in considerazione fatti decisivi per il giudizio, opportunamente considerati dall'ordinanza emessa nella fase sommaria, vale a dire la soppressione dell'unità produttiva di Segrate, l'assenza di posizioni lavorative disponibili presso l'unità di Novate Milanese, l'esistenza presso le sedi di assegnazione di effettive esigenze organizzative e produttive in ragione delle quali risultavano vacanti, a far data dall'autunno 2013, alcune posizioni lavorative di addetti al magazzino, elementi idonei dimostrare la correttezza e buona fede nella condotta datoriale e ad escludere ogni intento ritorsivo.

12. Col terzo motivo di ricorso la società ha dedotto, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1460 c.c., 18, comma 1, L. n. 300 del 1970 per insussistenza di qualsiasi inadempimento datoriale tale da consentire ai dipendenti di avvalersi dell'eccezione di inadempimento.

13. Secondo la società ricorrente, la Corte territoriale avrebbe erroneamente applicato l'art. 1460 c.c. non essendo configurabile alcun inadempimento datoriale. Difatti, ove anche si qualificassero i provvedimenti di assegnazione come trasferimenti, gli stessi sarebbero legittimi, data la ricorrenza delle ragioni organizzative e produttive richieste dall'art. 2103 c.c..

14. Non solo, ma se pure i trasferimenti fossero da considerare illegittimi, il rifiuto della prestazione da parte dei lavoratori nelle sedi di assegnazione sarebbe comunque contrario a buona fede. Difatti, secondo la giurisprudenza di legittimità richiamata nel ricorso in esame, il lavoratore può invocare l'art. 1460 c.c. solo se è totalmente inadempiente l'altra parte e non invece se l'asserito inadempimento sia fatto dipendere da una non condivisa scelta organizzativa aziendale (cfr. Cass. n. 25392 del 2013; Cass. 9351 del 2011); inoltre il lavoratore è legittimato a rifiutare la prestazione solo a fronte di gravi inadempimenti del datore che investano diritti inviolabili dell'uomo, costituzionalmente garantiti, (cfr. Cass., S.U., n. 5924 del 2011; Cass. n. 29832 del 2008).

15. Nel caso di specie, a parere della società, difetterebbero i presupposti per l'operare della suddetta eccezione, legati alla proporzionalità dei rispettivi inadempimenti e al rispetto dei doveri di correttezza e buona fede.

16. La violazione e falsa applicazione dell'art. 1460 c.c. sarebbe poi macroscopica con riferimento alla posizione del sig. R., in quanto egli aveva accettato l'assegnazione presso la sede di destinazione proposta dalla società.

17. Col quarto motivo di ricorso la società ha dedotto, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 c.c., 225 CCNL Terziario Distribuzione e Servizi e, in subordine, dell'art. 3, L. n. 108 del 1990 e, in ulteriore subordine, dell'art. 18, comma 1, L. n. 300 del 1970 per assoluta legittimità del licenziamento per giusta causa intimato o, in subordine, per giustificato motivo soggettivo o, in ulteriore subordine, con condanna alla sola tutela risarcitoria di cui all'art. 8, L. n. 604 del 1966.

18. La società ha sostenuto la legittimità dei licenziamenti intimati per sussistenza della condotta contestata, di assenza dal servizio per oltre tre giorni nell'anno solare, ammessa dagli stessi lavoratori e prevista dal CCNL applicato tra quelle che legittimano il recesso senza preavviso.

19. La condotta contestata integrerebbe, in subordine, un grave inadempimento degli obblighi contrattuali, atto a legittimare il licenziamento per giustificato motivo soggettivo o, in ulteriore subordine, l'ipotesi di cui all'art. 18, comma 5, L. n. 300 del 1970, e successive modifiche, quantomeno riguardo alla posizione del sig. R..

20. Col quinto motivo di ricorso la società ha dedotto, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, e 210 c.p.c., 2697 c.c. per omessa detrazione dell'aliunde perceptum e percipiendum nonostante che la società avesse formulato l'eccezione ed articolato specifiche prove nonché richiesta di esibizione di documentazione da parte dei lavoratori, come da all. C al ricorso in cassazione.

21. Con nota del 6.4.2018 i difensori della società ricorrente hanno depositato i verbali di conciliazione in sede sindacale sottoscritti tra le società S. s.p.a., C.D. s.p.a. e ciascuno dei contro ricorrenti, ed hanno chiesto che fosse dichiarata cessata la materia del contendere, con compensazione delle spese di lite.

22. Dai verbali di conciliazione risulta che le parti hanno raggiunto un accordo transattivo sulla controversia in oggetto; tali verbali sono idonei a dimostrare l'intervenuta cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione e la conseguente mancanza di interesse delle parti a proseguire il giudizio.

23. Le spese del giudizio di legittimità sono compensate in relazione all'avvenuta complessiva conciliazione della controversia.

24. Non ricorrono i presupposti di cui all'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228, atteso che l'obbligo di versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato è correlato unicamente alle ipotesi di integrale rigetto, inammissibilità e improcedibilità dell'impugnazione, (Cass. n. 3688/2016; n. 23175/15), nel caso di specie non sussistenti.

 

P.Q.M.

 

Dichiara cessata la materia del contendere tra la C.D. s.p.a. ed i signori T., D.C. e R.

Compensa le spese di lite del presente giudizio di legittimità.