Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 novembre 2016, n. 22487

Licenziamento - Nullità - Vuoto formalismo - Omessa individuazione dell'ufficio competente per i provvedimenti disciplinari

 

Svolgimento del processo

 

1. La sentenza attualmente impugnata (depositata il 15 ottobre 2014 e notificata rii novembre 2014), in riforma della sentenza del Tribunale di Roma n. 29779/2011, dichiara la nullità del licenziamento intimato dall'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (d'ora in poi: ISFOL) a V.M.M. e la prosecuzione del rapporto di lavoro condannando, per l'effetto, l'ISFOL a riammettere in servizio la M. e a corrisponderle l'importo delle retribuzioni dalla data della notifica del ricorso di primo grado fino alla sentenza di appello, oltre agli interessi legali dalla maturazione del diritto al saldo e alle spese processuali del doppio grado di merito del giudizio.

La Corte d'appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:

a) dalle risultanze processuali si evince che l'ISFOL, all'epoca dei fatti, non aveva costituito uno specifico ufficio per i procedimenti disciplinari né aveva attribuito ad un determinato ufficio preesistente la competenza per i procedimenti disciplinari medesimi, avendovi provveduto successivamente soltanto il Commissario straordinario con la delibera 30 gennaio 2012;

b) in mancanza di un atto di specifica individuazione di un ufficio titolare del potere disciplinare, non può ritenersi che le relative competenze spettino al direttore generale sulla base del Regolamento dell'Istituto (art. 8);

c) nella specie, il provvedimento sanzionatorio è stato emesso dal direttore generale ad interim e quindi da un organo incompetente.

2. Il ricorso dell'ISFOL, rappresentato e difeso dal l'Avvocatura generale dello Stato, domanda la cassazione della sentenza per un unico motivo; resiste, con controricorso, V.M.M.

 

Motivi della decisione

 

I - Profili preliminari

1. Preliminarmente vanno esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso proposte dalla controricorrente, in quanto: a) il vizio di violazione di legge indicato nella rubrica dell'unico motivo di ricorso non troverebbe "coerente e valido sviluppo nel testo del ricorso" stesso; b) la sentenza impugnata avrebbe risolto questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità (vedi art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ.).

Entrambe le eccezioni non sono fondate.

1.1. La prima, infatti, non tiene conto dei consolidati orientamenti di questa Corte secondo cui:

- in tema di ricorso per cassazione, la configurazione formale della rubrica del motivo di gravame non ha contenuto vincolante per la qualificazione del vizio denunciato, poiché è solo la esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (vedi, per tutte: Cass. 30 marzo 2007, n. 7981; Cass. 18 ottobre 2011, n. 21484);

- è jus receptum che l'indicazione ai sensi dell'art. 366, n. 4, cod. proc. civ. delle norme che si assumono violate non si pone come requisito autonomo ed imprescindibile ai fini dell'ammissibilità del ricorso per cassazione, ma come elemento richiesto al fine di chiarire il contenuto delle censure formulate e di identificare i limiti della impugnazione, sicché la mancata od erronea indicazione delle disposizioni di legge non comporta l'inammissibilità del gravame ove gli argomenti addotti dal ricorrente, valutati nel loro complesso, consentano di individuare le norme o i principi di diritto che si assumono violati e rendano possibile la delimitazione del quid disputandum (Cass. 16 maggio 2011, n. 10732; Cass. 30 marzo 2011, n. 7281; Cass. 28 marzo 2011, n. 7065; Cass. 25 novembre 2010, n. 23961; Cass. 4 giugno 2007, n. 12929; Cass. 13 gennaio 2006, n. 526; Cass. 26 gennaio 2005, n. 1606; Cass. 22 ottobre 1993, n. 10501).

Dai suddetti principi - condivisi dal Collegio - si desume che non sussistono profili di inammissibilità del motivo di ricorso in oggetto, in quanto, nella parte argomentativa delle censure risulta precisato con chiarezza che ciò che si contesta è la statuizione della Corte d'appello secondo cui il licenziamento disciplinare di cui si tratta è stato dichiarato illegittimo perché disposto dal Direttore generale dell'Istituto e non dall'Ufficio per i procedimenti disciplinari, la cui individuazione è prevista dall'art. 55-bis, comma 4 del d.lgs. n. 165 del 2001 (richiamato nella rubrica).

1.2. Quanto all'eccezione di inammissibilità per pretesa violazione dell'art. 360-bis cod. proc. civ., n. 1, va ricordato che questa Corte ha precisato al riguardo che:

a) il ricorso scrutinato ai sensi dell'art. 360-bis cod. proc. civ., n. 1, deve essere rigettato per manifesta infondatezza e non dichiarato inammissibile, se la sentenza impugnata si presenta conforme alla giurisprudenza di legittimità e non vengono prospettati argomenti per modificarla, posto che anche in mancanza, nel ricorso, di argomenti idonei a superare la ragione di diritto cui si è attenuto il giudice del merito, il ricorso potrebbe trovare accoglimento ove, al momento della decisione della Corte, con riguardo alla quale deve essere verificata la corrispondenza tra la decisione impugnata e la giurisprudenza di legittimità, la prima risultasse non più conforme alla seconda nel frattempo mutata (Cass. SU 16 settembre 2010, n. 19051);

b) in applicazione dell'art. 360-bis cod. proc. civ., n. 1, deve essere dichiarato inammissibile, per contrasto con la suddetta disposizione, il ricorso per cassazione che non solo non è conforme allo schema di cui all'art. 360 cod. proc. civ. (e, per tale ragione, è inammissibile) ma le cui (inammissibili) censure sono prospettate sul presupposto della contestazione dell’interpretazione della normativa applicabile adottata dalla sentenza impugnata - conforme alla consolidata giurisprudenza di legittimità - senza però offrire elementi validi a modificare i suddetti orientamenti (Cass. 17 settembre 2012, n. 15523).

Ne deriva, che l'ambito di dichiarazione di inammissibilità del ricorso per contrasto con l'art. 360-bis cod. proc. civ., n. 1, risulta estremamente ristretto e condizionato alla sussistenza di presupposti che nella specie, con tutta evidenza, non ricorrono e, d'altra parte, neppure ricorrono i presupposti per pervenire, sulla base della medesima disposizione, ad un rigetto del ricorso per manifesta infondatezza, per quel che si dirà più avanti.

II - Sintesi dei motivi di ricorso

2. Con l'unico motivo di ricorso si denuncia, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 55-bis, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001.

Si rileva che la Corte d'appello ha dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare in oggetto perché disposto dal Direttore generale dell'Istituto e non dall'Ufficio per i procedimenti disciplinari.

Si osserva che, in base agli artt. 10, comma 2, dello Statuto dell'ISFOL e all'art. 8 del Regolamento di organizzazione e funzionamento, il Direttore generale, fra l'altro, svolge le attività di organizzazione del personale e adotta gli atti e i provvedimenti amministrativi.

D'altra parte, il Dipartimento della Funzione pubblica, con circolare n. 14/2010, ha chiarito che il suindicato art. 55-bis, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, non ha portata innovativa rispetto all'art. 59 del d.lgs. n. 29 del 1993 e che per la relativa applicazione non è necessaria la costituzione di un apposito ufficio, in quanto la relativa competenza può essere svolta anche nell'ambito di una struttura dotata di più ampie attribuzioni, purché in modo esclusivo.

Di ciò si avrebbe conferma anche nella lettura del citato art. 55-bis, comma 4, che porta anche ad escludere la necessità di un provvedimento espresso per l'individuazione dell'ufficio competente per i procedimenti disciplinari laddove vi sia la certezza dell'esistenza di un unico ufficio cui spetti la gestione amministrativa dell'ente, come accade nel caso dell'ISFOL.

In questa situazione costituirebbe un "vuoto formalismo" ritenere che il licenziamento in oggetto - intimato per una grave mancanza anche penalmente rilevante - sia nullo per omessa individuazione dell'ufficio competente per i provvedimenti disciplinari, ancorché nello Statuto e nel Regolamento dell'ISFOL si attribuisce, con chiarezza, al direttore generale la relativa competenza, nell'ambito della competenza ad emanare gli "atti e i provvedimenti amministrativi".

III - Esame delle censure

3. Il ricorso è da accogliere, per le ragioni e nei limiti di seguito indicati.

3.1. Nell'ambito della disciplina dettata dagli artt. 55 e seguenti (fino al 55-octies) del d.lgs. n. 165 del 2001 - cui il legislatore ha espressamente attribuito la forza di normativa imperativa, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile, da applicare ai rapporti di lavoro di cui all'articolo 2, comma 2, alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2 - si inserisce anche l'art. 55-bis, comma 4 dello stesso d.lgs. che stabilisce:

"Ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari ai sensi del comma 1, secondo periodo. Il predetto ufficio contesta l'addebito al dipendente, lo convoca per il contraddittorio a sua difesa, istruisce e conclude il procedimento secondo quanto previsto nel comma 2, ma, se la sanzione da applicare è più grave di quelle di cui al comma 1, primo periodo, con applicazione di termini pari al doppio di quelli ivi stabiliti e salva l'eventuale sospensione ai sensi dell'articolo 55-ter. Il termine per la contestazione dell'addebito decorre dalla data di ricezione degli atti trasmessi ai sensi del comma 3 ovvero dalla data nella quale l'ufficio ha altrimenti acquisito notizia dell'infrazione, mentre la decorrenza del termine per la conclusione del procedimento resta comunque fissata alla data di prima acquisizione della notizia dell'infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora. La violazione dei termini di cui al presente comma comporta, per l'amministrazione, la decadenza dall'azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall'esercizio del diritto di difesa".

3.2. In base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte:

a) la ratio di tale norma va individuata nella necessità che l'ufficio il quale irroga la sanzione disciplinare - più grave del rimprovero verbale e/o della censura - deve essere in una posizione di "terzietà" rispetto al lavoratore incolpato e all'ufficio che segnala l'addebito (Cass. 3 giugno 2004, n. 10600; Cass. 17 giugno 2010, n. 14628; Cass. 4 dicembre 2015, n. 24731; Cass. 9 dicembre 2012, n. 24828);

b) di conseguenza, in mancanza della individuazione dell'ufficio appositamente competente per i procedimenti disciplinari (UPD), il procedimento disciplinare instaurato da un soggetto diverso dal predetto ufficio è illegittimo e la sanzione è affetta da nullità, risolvendosi in una violazione di norme di legge inderogabili sulla competenza (vedi, per tutte: Cass. 4 dicembre 2015, n. 24731; Cass. 17 giugno 2010, n. 14628; Cass. 25 luglio 2011, n. 16190; Cass. 30 settembre 2009 n. 2098 ed in epoca più risalente Cass. 5 febbraio 2004 n. 2168).

3.3. È stato anche sottolineato che il riferimento normativo alla individuazione dell'UPD da parte di ciascuna amministrazione "secondo il proprio ordinamento", comporta che tale ufficio non debba necessariamente essere articolato e plurisoggettivo, ma possa essere rappresentato anche da una sola persona, interna all'ente (Cass. 12 giugno 2015, n. 12245; Cass. 3 giugno 2004, n. 10600; Cass. 30 settembre 2009, n. 20981).

Nella citata sentenza n. 12245 del 2015 - in una fattispecie simile alla presente - si è pure posto l'accento sulla scarsa articolazione della struttura dell'ente e si è anche rilevata la mancanza di specifiche censure in merito alla assenza di terzietà e di imparzialità dell'organo indicato dall'ente come competente ad esercitare i poteri.

3.4. Tali ultimi elementi ricorrono anche nella presente controversia sicché, pure in questo caso, al fine di dare una interpretazione dell'art. 55-bis, comma 4, non ispirata ad un eccessivo formalismo ma coerente sia con la sua stessa ratio - che è quella di tutelare il diritto di difesa dei dipendenti pubblici, senza alcuna eccezione, anche per i casi più gravi di condotte penalmente rilevanti (come quella di cui si tratta) ma sempre tenendo in considerazione i principi di cui agli artt. 54, 97 e 98 Cost. - sia, in primo luogo, con il dato letterale si precisa quanto appresso.

A tale ultimo riguardo, va rilevato che la norma, oltre a richiamare l'ordinamento proprio di ciascuna amministrazione:

a) fa riferimento alla "individuazione" e non alla obbligatoria "istituzione" di uno specifico ufficio competente per i procedimenti disciplinari;

b) non richiede che tale individuazione sia espressa e debba avvenire con apposito provvedimento.

3.5. Ne deriva che non appaiono conformi alla suindicata norma, come interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte, le affermazioni - su cui è basata la sentenza impugnata - secondo cui:

a) dalle risultanze processuali è emerso che l'ISFOL, all'epoca dei fatti, non aveva costituito uno specifico ufficio per i procedimenti disciplinari né aveva attribuito ad un determinato ufficio preesistente la competenza per i procedimenti disciplinari medesimi, avendovi provveduto successivamente il Commissario straordinario con la delibera 30 gennaio 2012;

b) il licenziamento in oggetto irrogato dal direttore generale ad interim sarebbe da considerare nullo perché emesso da un organo incompetente, non potendo ritenersi che le competenze in materia di procedimenti disciplinari spettassero, all'epoca dei fatti, al direttore generale sulla base del Regolamento dell'Istituto (art. 8).

3.6. In particolare, la Corte romana, avrebbe dovuto, in primo luogo, considerare che poco dopo il provvedimento di licenziamento in oggetto, emesso del direttore generale ad interim in data 24 settembre 2010, l'ISFOL si è dotato prima di un nuovo Statuto (vedi: d.P.C.M. 11 gennaio 2011) in sostituzione di quello di cui al d.P.C.M. 19 marzo 2003, poi di un nuovo Regolamento di organizzazione e funzionamento (delibera n. 6 del 26 ottobre 2011) e, infine, ha provveduto a dotarsi di un apposito UPD e di un Codice disciplinare, con delibera del Commissario straordinario del 30 gennaio 2012.

Quest'ultima delibera pertanto si inserisce in una complessiva modifica di tutta l'organizzazione e il funzionamento dell'Istituto e, quindi, non può certamente dimostrare di per sé l'inadeguatezza della disciplina prevista per i procedimenti disciplinari nella complessiva precedente situazione, visto che tale situazione - nell'ambito di un ente la cui struttura non è particolarmente complessa - comunque si caratterizzava dalla chiara ed univoca attribuzione, in base agli artt. 10, comma 2, dello Statuto 2003 dell'ISFOL e all'art. 8 del Regolamento di organizzazione e funzionamento, al Direttore generale della potestà di gestione del personale attraverso atti di organizzazione ed atti amministrativi.

Diversamente da quanto sostenuto dalla controricorrente - anche nelle "brevi note di replica" alle conclusioni del Procuratore Generale, presentate in udienza - da tale assetto, che è da valutare con riguardo all'epoca dei fatti, non può "automaticamente" evincersi che il direttore generale non potesse, all'epoca, essere considerato un organo dotato di "terzietà" oltre che di "specifica competenza e di autonomia di valutazione" (vedi, sul punto: p. 18 del controricorso).

Pertanto sarà compito della Corte di rinvio esaminare l'intero testo dello Statuto ISFOL 2003 al fine di rinvenire previsioni che possano essere interpretate nel senso di far ritenere compresa nella attribuzione del Direttore Generale quella afferente il potere disciplinare.

IV - Conclusioni

4. In sintesi, il ricorso deve essere accolto, per le ragioni dianzi esposte e con assorbimento di ogni altro profilo di censura.

La sentenza impugnata deve essere, cassata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, che si atterrà, nell'ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati (vedi spec. punti da 3.1 a 3.6).

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione.