Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 settembre 2016, n. 18103

Licenziamento disciplinare - Furti in azienda - Gravità dei fatti addebitati - Lesione del vincolo fiduciario

 

Svolgimento del processo

 

D.F.A. impugnava il licenziamento disciplinare intimatogli dalla G.S. spa perché irrituale e comunque privo di giusta causa chiedendo al Tribunale di Velletri la dichiarazione di illegittimità dello stesso con ordine di reintegrazione nel posto di lavoro e con condanna al pagamento delle retribuzioni maturate; si costituiva la G.S. spa che contestava la fondatezza della domanda. Il Tribunale di Velletri con sentenza del 27.5.2010 rigettava la domanda; la Corte di appello di Roma con sentenza del 23.2.2013 rigettava l'appello del D.F. La Corte territoriale osservava che il recesso non era irrituale come dedotto dal ricorrente perché intimato dopo il termine di 10 giorni previsto dall'art. 84 del CCNL Commercio perché era invece applicabile il CCNL settore terziario (che invece prevedeva il termine di 15 gg. in concreto rispettato) e ciò non solo per le circostanze indicate nella sentenza impugnata, ma perché tale contratto era stato riportato nel contratto Individuale di lavoro. Circa il merito il recesso era legittimo posto che era emerso che il D.F. era stato indicato come responsabile della ricettazione del materiale trafugato alla società dal D.V. che aveva effettuato i relativi furti che aveva reso confessione in sede penale. Durante una perquisizione in casa dell'appellante era stata rinvenuta parte della merce trafugata che alcuni responsabili dell'azienda avevano identificato; comunque durante la perquisizione erano stati rinvenuti interi imballaggi di prodotti, tutti con etichette e codici appartenenti alla società appellata. Comunque l'ingente quantitativo di merce eccedeva di certo le esigenze di una famiglia media. Il fatto era molto grave anche in relazione al disvalore ambientale della condotta del dipendente e tale da rompere il vincolo fiduciario tra le parti.

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il D.F. con quattro motivi; resiste controparte con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo si allega la violazione dell'art. 84 CCNL in relazione all'art. 7 L. n. 300/70 e degli artt. 1362, 1363, 1364, 1366, 1371, 2070 nonché dell'art. 2697 c.c. degli artt 115 e 132 c.p.c. Il datore di lavoro era decaduto dall'intimare il recesso perché erano decorsi i dieci giorni previsti dall'art. 84 del CCNL per i dipendenti da aziende commerciali, contratto richiamato nella lettera di assunzione. La motivazione della sentenza impugnata non indicava i motivi per i quali si era, invece, ritenuto applicabile quello del terziario; si era richiamato il contratto di assunzione che richiamava il CCNL relativo alle aziende commerciali.

Con il secondo motivo si allega l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La lettera di assunzione faceva riferimento al CCNL per le aziende commerciali.

I due motivi, che vanno esaminati congiuntamente essendo tra loro connessi, appaiono fondati e pertanto vanno accolti. Si contesta, in buona sostanza, la motivazione della sentenza impugnata in ordine all'applicabilità del CCNL del terziario: la motivazione della sentenza è la seguente "la circostanza deriva oltre che dalle circostanze elencate nella sentenza impugnata dallo stesso contratto individuale di lavoro. "Va ricordato l'orientamento di questa Corte secondo il quale l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie", purché la motivazione rispetti - ha aggiunto al Corte" il "minimo costituzionale". (Cass. SSUU n. 8053/2014).

Ritiene questo Collegio che la motivazione prima ricordata non soddisfi questi criteri in quanto si compone di due parti, la prima un rinvio per relationem alla sentenza di primo grado contrario ai principi espressi da questa Corte secondo cui il rinvio non può essere "formulato in termini di mera adesione, non consenta in alcun modo di ritenere che alla affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l'esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass., 11 giugno 2014, n. 13148; Cass., 16/12/2013, n. 28113; Cass., 11 maggio 2012, n. 7347; Cass., 12 agosto 2010, n. 18625; Cass., 11 giugno 2008, n. 15483; Cass., 2 febbraio 2006, n. 2268; Cass., 21 ottobre 2005, n. 20454)" (Cass. n. 11508/2016). La seconda parte consiste in un richiamo generico al contratto di assunzione che, invece, fa riferimento proprio al diverso contratto per le aziende commerciali. Nel complesso la motivazione non offre una ricostruzione accettabilmente precisa ed organica del "fatto di cui si discute", ma o rinvia inammissibilmente a quanto accertato in primo grado o offre riscontri palesemente erronei laddove fa riferimento ad elementi più concreti, quindi al di sotto di quello che va ritenuto un "minimo costituzionale" come ritenuto anche dalle Sezioni unite di questa Corte. Come recentemente affermato da questa Corte "Infine, non sembra superfluo ricordare che il dovere di motivazione è imposto al giudice dall'art. 111, comma 6°, Cost., a garanzia del corretto esercizio dei suoi poteri decisori in conformità delle regole fondamentali che lo disciplinano, a partire dal principio di legalità fino alla garanzia della difesa e a tutti gli altri principi che attengono alla giusta e corretta amministrazione della giustizia. Tale dovere trova altresì consacrazione nell'art. 6 CEDU che, nonostante non contenga un riferimento letterate alla motivazione del provvedimenti giurisdizionali, è comunemente considerato come il fondamento normativo dell'obbligo della motivazione nell'ordinamento sovranazionale. L'art. 6, sotto la rubrica "Diritto ad un equo processo", sancisce infatti che "ogni persona ha diritto ad un'equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole,davanti ad un tribunale indipendente ed imparziale, costituito per legge, ai fine della determinazione sia dei suoi diritti e delle sue obbligazioni di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta. La sentenza deve essere resa pubblicamente Ma la Corte di Strasburgo, organo giurisdizionale volto ad assicurare il rispetto della CEDU da parte degli Stati contraenti, competente a pronunciarsi su "tutte le questioni concernenti l'interpretazione e l'applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli" (art. 32, par. 1 CEDU), alla cui giurisdizione l'Unione si assoggetta, afferma che il requisito che la pronuncia della decisione sia pubblica, comporta, quale normale conseguenza, che la decisione debba essere motivata. Tali principi sono ora ribaditi nell'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. La Corte costituzionale italiana, con la sentenza n. 349/2007, cit., ha poi precisato che: "La Corte di Strasburgo garantisce l'esatta ed uniforme applicazione delle norme della Convenzione, essendone ad essa attribuita l'interpretazione centralizzata, ed avendo una competenza che si estende a tutte le questioni concernenti l'interpretazione e l'applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli, ciò che solo garantisce l'applicazione del livello uniforme di tutela all'interno dell'insieme del Paesi membri" (cfr. Cass. n. 11508/2016). Pertanto vanno accolti i due motivi, va cassata la sentenza impugnata con rinvio anche in ordine alle spese alla Corte di appello di Roma in diversa composizione che accerterà quale contratto collettivo fosse effettivamente applicabile al rapporto di lavoro di cui è processo. Gli ultimi due motivi concernenti nel merito la legittimità del recesso si intendono assorbiti dall'accoglimento del primi due.

 

P.Q.M.

 

Accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche in ordine alle spese alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.