Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 28 giugno 2017, n. 16250

Inps - Contribuzione Cigo, Cigs e mobilità - Versamento - Avviso di addebito

 

Rilevato che

 

1. la Corte d'appello di Genova confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato l'opposizione proposta da I. S.p.A. avverso l’avviso di addebito con il quale l'Inps le aveva intimato il versamento contribuzione cigo, cigs e mobilità, e relative sanzioni civili, per il periodo da febbraio 2011 a giugno 2012.

2. Per la cassazione della sentenza I. S.p.A. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi, illustrati anche con memoria ex art. 380 bis c.p.c., cui ha resistito con controricorso l'Inps - SCCI S.p.A. Equitalia Centro s.p.a. è rimasta intimata.

3. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo la società ricorrente, deducendo plurime violazioni di norme di diritto nonché vizio di motivazione, ha censurato la decisione per avere ritenuto dovuti i contributi per cigs e cigo. Ricostruita l’evoluzione normativa in tema di modalità di gestione dei servizi pubblici da parte degli enti locali, rilevato che in base al disposto della legge n. 448 del 2001, art. 35 detti end, per la gestione di servizi, reti, impianti e beni sono tenuti ad avvalersi di soggetti allo scopo costituiti nella forma di società di capitali con la partecipazione maggioritaria degli enti locali, anche associati, ha sostenuto che la partecipazione di soggetti pubblici al capitale sociale comportava che essa ricorrente dovesse essere annoverata nell'ambito delle imprese industriali degli enti pubblici, anche municipalizzate, esonerate, in base al disposto del D.C.P.S. n. 869 del 1947, art 3, dall'applicazione delle norme sull'integrazione dei guadagni degli operai dell'industria. Ha quindi dedotto il vizio di motivazione della decisione impugnata con riferimento alle allegate caratteristiche della società che, in ragione del peculiare oggetto, della presenza di capitale pubblico, della "assoluta dominanza" dell'ente pubblico, dell'assoggettamento al regime di concessione pubblica ed al controllo della Corte dei Conti, non si presta ad essere inquadrate, come invece ha fatto la decisione impugnata, nell'ambito delle normali società per azioni di diritto comune.

2. Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 16, commi 1 e 2, nonché vizio di motivazione, ha censurato la decisione per avere affermato la sussistenza dell'obbligo al pagamento del contributo per mobilità. Ha richiamato le argomentazioni svolte a sostegno del primo motivo, per sostenere che essa ricorrente non rientrava nel campo di applicazione della disciplina dell'intervento di integrazione salariale di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 14 ed era pertanto sottratta anche alla contribuzione per mobilità.

3. I motivi, da valutarsi congiuntamente in quanto connessi, non sono fondati.

La questione qui riproposta è stata esaminata da plurime pronunce di questa Corte (v. da ultimo Cass. 12/05/2016 n. 9816, riferita alla stessa società oggi ricorrente, e Cass. 04/04/2017 n. 8704, oltre ai numerosi precedenti conformi ivi richiamati) in cui si è ritenuto, con soluzione cui occorre dare continuità, che le società a capitale misto, ed in particolare le società per azioni a prevalente capitale pubblico, aventi ad oggetto l'esercizio di attività industriali, sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità. L'applicabilità dell' esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici dal D.L.C.P.S. n. 869 del 1947, art. 3, è stata, infatti, esclusa sul rilievo della natura essenzialmente privata delle società partecipate, finalizzate all'erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l'amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la mera partecipazione — pur maggioritaria, ma non totalitaria - da parte dell'ente pubblico. E’ stato in particolare precisato che la forma societaria di diritto privato è per l'ente locale la modalità di gestione degli impianti consentita dalla legge e prescelta dall'ente stesso per la duttilità dello strumento giuridico, in cui il perseguimento dell'obiettivo pubblico è caratterizzato dall'accettazione delle regole del diritto privato e che la finalità perseguita dal legislatore nazionale e comunitario nella promozione di strumenti non autoritativi per la gestione dei servizi pubblici locali è specificamente quella di non ledere le dinamiche della concorrenza, assumendo rilevanza determinante, in ordine all'obbligo contributivo, il passaggio del personale addetto alla gestione del servizio alle dipendenze di soggetto di diritto privato.

4. Nell’ultimo arresto richiamato si è anche risolta la questione sollevata dalla ricorrente nella memoria ex art. 380 bis c.p.c,., chiarendosi che la soluzione non risulta inficiata dall'entrata in vigore del d.lgs. 14 settembre 2015, n. 148, recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali.

Rileva la ricorrente che, nel disciplinare il campo di applicazione della disciplina dell'integrazioni salariali ordinarie e dei relativi contributi, il decreto legislativo dispone che essa si applichi anche alle "imprese industriali degli enti pubblici, salvo il caso in cui il capitale sia interamente di proprietà pubblica" (art. 10, comma 1°, lett. I). Nel contempo, l'art. 46 del DLGS citato, contempla tra le abrogazioni espresse il d.lgs. del CpS dello Stato 12 agosto 1947, n. 869 (comma primo, lett.b) e dispone altresì l'abrogazione di ogni altra disposizione contraria o incompatibile con il decreto. Assume la ricorrente che la norma dell'art. 10 avrebbe, in base ad una scelta discrezionale del legislatore, disposto solo per l'avvenire, nel senso che solo a far tempo dalla sua entrata in vigore (24 settembre 2015) potrebbe dirsi sorto l'obbligo contributivo per la cassa integrazione ordinaria per le imprese industriali degli enti pubblici il cui capitale non sia interamente di proprietà pubblica. In precedenza la formulazione ampia e generica dell'art. 3 ("imprese industriali degli enti pubblici") non consentiva una tale interpretazione. Ulteriore conferma di tale interpretazione si trarrebbe dalla L. 29 dicembre 2015, n.208, con la quale il legislatore, intervenendo proprio sull'art. 46, ha previsto che l'abrogazione (già disposta alla lett. b) non opera con riguardo all'art. 3 del d.lgs. del C.p.S. n. 869/1947, con ciò confermando di aver voluto "sia escludere che il decreto legislativo n. 148/2015 costituisca un quid novi et ex nunc rispetto all'antecedente art. 3 n. 869-1947, sia che le , dette normative debbano reciprocamente integrarsi".

Questa Corte ha però già confutato tali assunti, osservando che dagli interventi legislativi del 2015 non possono trarsi elementi che inducano ad un ripensamento della consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di obbligo contributivo per cassa integrazione guadagli ordinaria e straordinaria delle società il cui capitale sia parzialmente detenuto da un soggetto pubblico.

Dirimente in proposito è il rilievo, svolto nella sentenza n. 8704 sopra richiamata, che, in ogni caso, abbia o meno natura innovativa il disposto dell’art. 10 del d.lgs. n. 148/2015 - asserzione quest'ultima già confutata da precedenti decisioni di questa Corte, v. Cass. ord. 12 maggio 2016, n. 9816; Cass. 31 dicembre 2015, n. 26202; Cass., 29 dicembre 2015, n. 26016, e numerose altre - l'intervento successivo operato dal legislatore con la legge di stabilità del 2015 abbia comunque ripristinato l'art. 3 del DLGS del CpS n. 869/1947, espressamente escluso dalla disposizione abrogatrice contenuta nell'art. 46.

5. Con il terzo motivo, I. s.p.a. ha dedotto la violazione e falsa applicazione della l. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. a) e commi 10 e 15.

La società in via subordinata deduce che, atteso il contrasto interpretativo in giurisprudenza ed in sede amministrativa, verificatosi nella materia, sussistevano i presupposti per l'applicazione delle sanzioni in misura ridotta ai sensi dell'art. 116 cit., commi 10 e 15.

6. Il motivo non è fondato.

Il decisum della Corte d’appello, che ha escluso l'applicabilità delle sanzioni in misura ridotta sul rilievo che a tal fine la previsione in esame richiedeva l'integrale pagamento dei contributi dovuti, è coerente con la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 01-03-2016 n. 4077, 10/12/2013 n. 27513) secondo la quale la riduzione, come si ricava dal tenore letterale delle disposizioni, presuppone l'integrale pagamento dei contributi e dei premi dovuti alle gestioni previdenziali e assistenziali, nel termine fissato dagli enti impositori.

Né smentisce la ratio decidendi della Corte d’appello la deduzione, formulata solo nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., secondo la quale I. avrebbe eseguito il pagamento della contribuzione in data 26 marzo 2014, nel corso del giudizio di primo grado: trattasi di circostanza dedotta inammissibilmente solo nel corso del giudizio di legittimità, che neppure risulta sia stata prospettata al giudice di merito; inoltre , l’assunto non è comunque idoneo a dimostrare che si sia verificato l’integrale pagamento nel termine fissato dagli enti impositori.

7. Il quarto motivo, con il quale la ricorrente censura la sentenza gravata laddove l’ha condannata al pagamento delle spese processuali per difetto di motivazione e violazione dell’art. 91 c.p.c , è del tutto infondato, considerato che solo la compensazione delle spese dev'essere sorretta da motivazione, e non già l'applicazione della regola della soccombenza cui il giudice si sia uniformato (v. ex plurimis Cass. 23/02/2012 n. 2730).

8. Il ricorso, manifestamente infondato ex art. 375 comma 1 n. 5 c.p.c., deve quindi essere rigettato con ordinanza in camera di consiglio, così confermandosi la proposta formulata dal relatore ex art. 380 bis c.p.c..

9. La regolamentazione delle spese processuali in favore del controricorrente, liquidate come da dispositivo, segue la soccombenza. Nulla per le spese nei confronti della parte rimasta intimata.

10. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Inps, che liquida in € 6.000,00 per compensi, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, co.1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.