Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 12 luglio 2018, n. 18396

Agevolazioni fiscali - Credito d’imposta - Capannone in leasing - Ristrutturazione - Investimenti

 

Fatti di causa

 

1. L'Agenzia delle entrate ricorre, con tre motivi, avverso la B. G. Srl, con sede legale in Crotone, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria (hinc: CTR) n. 22/10/11, che - in controversia avente a oggetto l'impugnazione di tre avvisi di recupero dei crediti d'imposta ex art. 8, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria 2001), relativi agli anni 2002, 2003 e 2004, per mancato riconoscimento dei requisiti dell'agevolazione fiscale connessa all'investimento per la ristrutturazione di un capannone industriale detenuto dalla società a titolo di leasing - in riforma della sentenza di primo grado, annullava la pretesa tributaria.

Il giudice d'appello fondava il proprio convincimento sul presupposto della sussistenza dei requisiti di legge per il riconoscimento del credito d'imposta, in ragione della prevalenza delle spese di ristrutturazione dell'opificio rispetto al costo del bene, testualmente: "acquistato con contratto di leasing".

2. La contribuente resiste con controricorso e deposita memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

 

Ragioni della decisione

 

0. Preliminarmente ritiene la Corte che sia priva di pregio l'eccezione della controricorrente d'inammissibilità, per difetto di specificità, del ricorso per cassazione dell'Ufficio.

Esso, infatti, reca un'esposizione sufficientemente chiara ed esauriente dei fatti di causa e, più in generale, della vicenda processuale che consente alla Corte di avere piena cognizione della controversia e di cogliere il significato, anche sul piano giuridico, dei profili di critica rivolti dall'Amministrazione finanziaria alla complessiva trama argomentativa della sentenza impugnata e, quindi, di valutare appieno il fondamento delle denunciate violazioni; ciò che è dimostrato dalla seguente trattazione di ciascun motivo.

1. Primo motivo di ricorso: "Violazione dell'art. 57, 1° c., Dlgs. n. 546/92 e dell'art. 2730 c.c. (in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c.).".

L'Agenzia delle entrate denuncia due errores in procedendo della sentenza impugnata che - nell'affermare che i lavori di ristrutturazione e di ammodernamento dell'opificio avevano comportato una spesa di euro 476.685,00, notevolmente prevalente rispetto al costo del capannone industriale, pari a euro 413.165,00 - non ha tenuto conto che: a) la contribuente, nei ricorsi introduttivi dei giudizi d'impugnazione dei tre avvisi di recupero dei crediti d'imposta, con dichiarazione avente valore confessorio, ex art. 2730 cod. civ., aveva riconosciuto che i lavori di ristrutturazione ammontavano a euro 377.851,00 e rappresentavano l'82% del costo d'acquisto dell'opificio; b) soltanto in appello, per la prima volta, inammissibilmente (in ragione del divieto dell'art. 57, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546), la società ha quantificato gli stessi costi in euro 475.685,60 ed ha, quindi, sostenuto che essi fossero prevalenti rispetto al (suindicato) costo di acquisto dell'immobile.

1.1. Il motivo, articolato in due diversi profili di critica, è parzialmente fondato.

Il primo profilo di critica (violazione dell'art. 57, comma 1, proc. trib.) va disatteso in virtù del consolidato orientamento della Corte, al quale il Collegio ritiene di uniformarsi, secondo cui: "Si ha domanda nuova - inammissibile in appello - per modificazione della causa petendi quando il diverso titolo giuridico della pretesa, dedotto innanzi al giudice di secondo grado, essendo impostato su presupposti di fatto e su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, comporti il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato e, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, alteri l'oggetto sostanziale dell'azione e i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non si è svolto in quella sede il contraddittorio." (cfr., ex multis, Cass. 24/09/2014, n. 20072).

Nella specie, in appello, non vi è stata alcuna modificazione dell'originaria causa petendi.

Il secondo profilo di critica (violazione dell'art. 2730 cod. civ.), invece, è fondato.

È il caso di ricordare che la Corte, in relazione al tema dell'apprezzamento del valore dei diversi tipi di prova, ha affermato questo principio di diritto: "In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all'art. 360, n. 4, c.p.c., solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all'opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime." (Cass. 10/06/2016, n. 11892).

Nella specie, la CTR ha liberamente apprezzato le allegazioni delle parti e, pertanto, è giunta alla conclusione che i lavori di ristrutturazione hanno comportato una spesa di euro 476.685,00, con ciò trascurando contra legem il valore confessorio (ossia di prova legale, ai sensi dell'art. 2730 cod. civ.), in relazione al thema decidendum, del riconoscimento, da parte della contribuente (non contestato e, comunque, desumibile dal contenuto del suo atto introduttivo del giudizio, riprodotto - per quanto qui rileva - a pag. 15 del controricorso della società) che, a fronte del costo di acquisto dell'immobile (da parte della società di leasing), pari a euro 413.165,00, i lavori di ristrutturazione dell'opificio avevano comportato una spesa di euro 377.851,00.

2. Secondo motivo: "Violazione dell'art. 8, 2° c., L. n. 388/00 - Omessa o comunque insufficiente motivazione (in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.).".

L'Ufficio si duole che la sentenza impugnata abbia illegittimamente riconosciuto l'agevolazione per un bene che non poteva considerasi nuovo, sia perché esso era già utilizzato dalla società contribuente, in qualità di conduttrice, prima dell'entrata in vigore della legge n. 388/2000, sia perché le spese di ristrutturazione dell'opificio (pari a euro 377mila) non erano prevalenti rispetto al costo di acquisto del bene (quantificabile in euro 413 mila).

Soggiunge che, in realtà, il costo dell'immobile che la società contribuente avrebbe acquistato esercitando il riscatto al termine della locazione finanziaria, era addirittura maggiore di euro 413mila, ed era pari a euro 702.480,00, quale somma di tre componenti: euro 413.165,00 (prezzo dell'iniziale acquisto del capannone industriale da parte della società finanziaria concedente); euro 206.682,00 (lavori finanziati dalla società di leasing ed eseguiti dalla società conduttrice per conto della proprietaria-concedente); euro 82.633,10 (prezzo di riscatto dell'immobile al termine della locazione finanziaria).

Contesta, infine, l'insufficiente motivazione del passo della sentenza in cui il costo del bene è stato determinato in euro 413.165,00 e le spese di ristrutturazione sono state quantificate in euro 476.685,00.

2.1. Il complesso motivo è interamente assorbito per effetto dell'accoglimento di una parte del motivo precedente.

3. Terzo motivo: "Ulteriore violazione degli artt. 8, 2° c., L. n. 388/00, 74 TUIR e 934 c.c. (in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.).".

Si deduce che, ai sensi dell'art. 8, comma 2, cit., il credito d'imposta è riconosciuto per i nuovi investimenti, ossia per le acquisizioni di beni strumentali nuovi, con la precisazione che, per gli investimenti effettuati mediante contratti di locazione finanziaria, si assume il costo sostenuto dal locatore per l'acquisto dei beni.

Sicché, secondo la tesi erariale, il beneficio non può coprire le spese sostenute dalla conduttrice (nella specie: la contribuente) sul bene di proprietà della concedente (la società di leasing) in quanto tali spese non si estrinsecano in beni aventi una loro individualità e un'autonoma funzionalità (fruibile dall'utilizzatore anche ove, allo scadere del contratto di leasing, non segua il riscatto dell'immobile cui esse accedono), ossia non incrementano il patrimonio di quest'ultima, ma quello della società di leasing.

Difatti, correttamente, la contribuente non le ha contabilizzate come "immobilizzazioni materiali", ma, capitalizzandole, le ha registrate sotto la voce "altre immobilizzazioni immateriali" che, sul piano fiscale, rappresentano costi deducibili, secondo la disciplina dell'art. 74, terzo comma, TUIR (ratione temporis vigente).

3.1. Il motivo è interamente assorbito per effetto dell'accoglimento di una parte del motivo precedente.

4. In conclusione, il primo motivo va accolto nei limiti sopra indicati e va rigettato per il resto; il secondo e il terzo motivo sono assorbiti dalla parte accolta del primo motivo; la sentenza, pertanto, è cassata, nei limiti della parte accolta del primo motivo, con conseguente rinvio alla CTR, in diversa composizione, per il riesame della controversia, in relazione alla parte accolta del primo motivo, e anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo, nei limiti sopra indicati, e lo rigetta per il resto; dichiara il secondo e il terzo motivo assorbiti dalla parte accolta del primo motivo;

cassa la sentenza impugnata, nei limiti della parte accolta del primo motivo; rinvia alla Commissione tributaria regionale della Calabria, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.