Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 15 novembre 2017, n. 27068

Imposte indirette - IVA - Accertamento - Riscossione - Cartella di pagamento - Tardivi versamenti

Premesso

 

- che con sentenza n. 92 del 31 agosto 2010 la Commissione tributaria regionale della Toscana accoglieva l'appello proposto dall'Agenzia delle entrate e, in riforma dell'impugnata sentenza di primo grado, rigettava il ricorso proposto dalla società contribuente avverso la cartella di pagamento recante iscrizione a ruolo di sanzioni ed interessi conseguenti a tardivi versamenti dell'IVA dovuta per l'anno di imposta 2002, emessa a seguito di controllo formale della dichiarazione presentata dalla predetta società;

- che i giudici di appello ritenevano che la cartella di pagamento impugnata era adeguatamente motivata in quanto la stessa «indica(va) il dettaglio degli addebiti con evidenziazione della sanzione irrogata e degli interessi dovuti», che nella specie non era applicabile la causa di non punibilità prevista dall'art. 6, comma 5, d.lgs. n. 472 del 1997 in quanto «l'omesso o il tardivo pagamento delle imposte da corrispondere in tempo determinato ha una incidenza sostanziale; è espressamente sanzionato e non è prevista, nel caso del suo accertamento, alcuna riduzione o agevolazione»;

- che avverso tale statuizione la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, entrambi articolati in due submotivi, illustrati con memoria, nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze, che rimane intimato, e dell'Agenzia delle Entrate, che replica con controricorso;

 

Considerato

 

- che va preliminarmente dichiarata l'inammissibilità del ricorso incidentale notificato al Ministero dell'Economia e delle Finanze, privo di legittimazione passiva e neanche parte del giudizio di merito, con compensazione delle spese processuali stante la mancata costituzione in giudizio dell'intimato;

- che il primo submotivo del primo mezzo di impugnazione, con cui la società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 17, comma 3, d.lgs. n. 472 del 1997 e 36 bis d.P.R. n. 600 del 1973, in combinato disposto dagli artt. 3 legge 241 del 1990 e 7 legge n. 212 del 2000, per avere la CTR erroneamente ritenuto che la cartella di pagamento fosse adeguatamente motivata, è palesemente inammissibile sotto un duplice profilo; il primo, perché viene dedotta come violazione di legge quelli, che all'evidenza è vizio motivazionale, avendo i giudici di merito espressamente ritenuto la cartella adeguatamente motivata e «la contestazione sulla carenza di motivazione», quindi, «priva di rilievo giuridico» (sentenza, pag. 2), cosicché nella specie non è ravvisabile alcun errore nell'attività interpretativa della fattispecie normativa astratta, che integra il primo tipo di vizio, essendo al più prospettabile una carente attività valutativa della fattispecie concreta emergente dalle risultanze probatorie, in cui si sostanzia il secondo tipo di vizio, nella specie non dedotto (cfr. Cass. n. 6224 del 2002, n. 15499 del 2004, n. 10295 del 2007, n. 16698 del 2010, n. 10385 del 2005, n. 9185 del 2011, n. 8315 del 2013, n. 195 del 2016); il secondo profilo di inammissibilità va, invece, ravvisato nel difetto di autosufficienza del ricorso, avendo la ricorrente del tutto trascurato di trascrivere nel motivo il contenuto della cartella di pagamento, essenziale per consentire a questa Corte, priva della facoltà di accedere agli atti del giudizio di merito, di compiere la necessaria valutazione di fondatezza dell'assunto sostenuto nel motivo in esame;

- che con il secondo submotivo del primo mezzo di impugnazione la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 13 d.lgs. n. 472 del 1997 (rectius: d.lgs. n. 471 del 1997), in combinato disposto dall'art. 7 stesso decreto ed alla luce dei principi di offensività e proporzionalità della sanzione, desumibili dagli artt. 10 legge n. 212 del 2000 e 3, 25, 27 e 53 Cost., sostenendo che nella specie era inapplicabile la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dal citato art. 13 in quanto non sussisteva alcuna omissione nei versamenti dell'imposta, avendo la società contribuente provveduto a corrispondere tutto quanto dovuto per IVA, ancorché con lievi ritardi, ed il danno erariale provocato era irrisorio, tenuto conto della regolarità della dichiarazione annuale; evidenzia, altresì, la ricorrente la sussistenza di una grave sproporzione tra la sanzione prevista per il tardivo versamento dell'imposta ed il danno effettivamente arrecato all'Erario, tanto da dar luogo ad un ingiustificato arricchimento dell'amministrazione finanziaria;

- che il motivo è palesemente infondato, ponendosi in contrasto con il principio più volte ribadito da questa Corte secondo cui «in tema di sanzioni tributarie, dovendo la violazione meramente formale non punibile rispondere a due concorrenti requisiti - non arrecare pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo e, al contempo, non incidere sulla determinazione della base imponibile dell'imposta e sul versamento del tributo - il ritardo nel versamento del tributo», che è l'ipotesi di specie, pacificamente ammessa dalla stessa ricorrente, «integra una violazione sostanziale e non formale ed è sanzionato dall'art. 13 del d.lgs. n.471 del 1997, in quanto incide sul versamento del tributo ed arreca pregiudizio all'incasso erariale» (cfr. Cass. n. 4960 del 2017), nella specie neppure escluso dalla ricorrente, che ne sostiene, pur non dimostrandola, l'irrisorietà, essendosi altresì precisato che «ogni ritardato incasso integra una violazione sostanziale verso il fisco e giammai una violazione solo formale trovando la sanzione dell'art. 13 cit. fondamento nei principi generali del diritto delle obbligazioni e, in particolare, nella mora ex re riguardo alla scadenza del termine per la prestazione "nummaria" da eseguirsi al domicilio del creditore (art. 1219 cod. civ.; v. Cass. 5897/13 cit.). Il che porta ad escludere qualsiasi dubbio di tenuta costituzionale attesa la ratio di certezza e stabilità del gettito fiscale,

che è sottesa alla normativa in esame, a nulla rilevando che il debito d'imposta possa trovare compensazione o elisione in una successiva fase del procedimento tributario, nella specie quella della dichiarazione annuale, atteso il transitorio deficit di cassa che si viene a creare per effetto dell'inadempimento delle parte tenuta al versamento periodico salvo conguaglio» (v., in motivazione, Cass. n. 23755 del 2015);

- che con il secondo motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia sulla domanda di applicazione anche alle sanzioni inflitte per il ritardo nel versamento dell'IVA dovuta per l'anno di imposta 2002, delle agevolazioni previste dall'istituto del ravvedimento operoso nonché sulla domanda di applicazione del cumulo giuridico; - che il motivo è infondato con riferimento alla prima questione posta, in quanto i giudici di appello, dopo aver dato atto che «l'omesso o il tardivo versamento delle imposte da corrispondere in tempo determinato ha una incidenza sostanziale, hanno affermato che per tale violazione «non è prevista, nel caso del suo accertamento, alcuna riduzione o agevolazione» (sentenza, pag. 2), giungendo ad escludere anche il beneficio del pagamento ridotto previsto dagli artt. 17, comma 2, e 16, comma 3, d.lgs. n. 472 del 1997;

- che il secondo profilo di doglianza prospettato nel motivo in esame è inammissibile per difetto di autosufficienza, avendo la ricorrente omesso di indicare il tempo ed il modo di deduzione nel giudizio di merito, e fin dal primo grado, della domanda che assume essere stata pretermessa dai giudici di appello, non essendo all'uopo idonea la trascrizione del contenuto del «punto 4 della comparsa» depositata in appello, in cui la richiesta di applicazione dell'istituto del cumulo giuridico di cui all'art. 12 d.lgs. n. 472 del 1997 è riferito esclusivamente alle «sanzioni del ravvedimento, così come indicato al precedente punto 3» del predetto atto difensivo; in ogni caso, il motivo è infondato impattando con il principio affermato da questa Corte (Cass. n. 1540 del 2017) e condiviso dal Collegio, secondo cui «le violazioni tributarie che si esauriscono nel tardivo od omesso versamento dell'imposta risultante dalla dichiarazione fiscale non sono soggette all'istituto della continuazione disciplinato dall'art. 12, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, perché questo concerne le violazioni potenzialmente incidenti sulla determinazione dell'imponibile o sulla liquidazione del tributo, mentre il ritardo o l'omissione del pagamento è una violazione che attiene all'imposta già liquidata, per la quale l'art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997 dispone un trattamento sanzionatorio proporzionale ed autonomo per ciascun mancato pagamento»;

- che, in estrema sintesi, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo;

 

P.Q.M.

 

dichiara l'inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze, compensando tra le parti le spese processuali; rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente costituita, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.