Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 30 marzo 2017, n. 8262

Licenziamento per giusta causa - Omissioni e irregolarità - Non affidabilità del dipendente - Lesione del vincolo fiduciario

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza n. 3850/2014, depositata il 29 maggio 2014, la Corte di appello di Roma respingeva il gravame di L.D.F. e confermava la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto la domanda volta a far dichiarare l'illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli dalla Banca E. S.p.A. con lettera in data 2/11/2010 a motivo di plurime omissioni e irregolarità nella gestione del programma denominato "Magazzino Affari" creato dalla società a supporto dei private banker che, come il ricorrente, si trovassero in difficoltà nell'esercizio dei compiti assegnati.

La Corte osservava, alla luce del materiale di prova acquisito al giudizio, come dovesse ritenersi provata la reiterata adozione di comportamenti contrari alle istruzioni impartite in relazione a detto programma e, in particolare, l'indicazione nei report di attività mai compiute, concludendo per la correttezza della valutazione datoriale di non affidabilità del dipendente e per la irrimediabile lesione del vincolo fiduciario.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il D.F. con due motivi; la società ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.

 

Motivi della decisione

 

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Con il primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 c.c. e del principio di proporzionalità tra addebito e sanzione, nonché erronea valutazione delle risultanze istruttorie circa la sussistenza di una giusta causa di recesso e comunque incongrua ed insufficiente motivazione sul punto, il ricorrente censura la sentenza di appello per avere la Corte omesso di compiere una valutazione complessiva di tutte le circostanze che avevano portato alla contestazione e della concreta gravità dei fatti addebitati, in particolare tralasciando di considerare sia l'estraneità delle contestazioni disciplinari rispetto alle mansioni proprie del private banker, sia l'assenza di obiettivi nel rapporto di lavoro con la Banca E.

Con il secondo motivo, deducendo il vizio di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c., il ricorrente si duole dell'assoluta genericità della motivazione e del mancato esame, da parte della Corte territoriale, del diverso esito del procedimento disciplinare promosso dalla Banca nei confronti di altro dipendente con mansioni di private banker, procedimento conclusosi con l'applicazione di una sanzione conservativa: ciò che, in presenza di un'assoluta identità di addebiti, avrebbe posto in rilievo la contraddittorietà delle valutazioni operate dal datore di lavoro e la illogicità del percorso logico-giuridico dal medesimo seguito nel pervenire all'irrogazione di sanzioni diverse.

Il ricorso è inammissibile, per essere stato proposto oltre il termine di cui all'art. 327 c.p.c.

Premesso, infatti, che l'atto introduttivo della controversia risulta depositato il 12 aprile 2011 e che, pertanto, trova applicazione nella specie il termine ridotto di sei mesi stabilito con I. 18 giugno 2009, n. 69 per i giudizi instaurati dopo la data (4 luglio 2009) della sua entrata in vigore, si osserva che il ricorso per cassazione è stato inoltrato per la notifica a mezzo del servizio postale in data 14 gennaio 2015, quando il termine in questione, decorrente dalla pubblicazione della sentenza (29 maggio 2014), risultava ampiamente decorso.

Né potrebbe ritenersi la tempestività dell'impugnazione, il cui termine ultimo era il 29 novembre 2014, non computando i 46 giorni corrispondenti alla durata del periodo feriale, posto che - come precisato da questa Corte a Sezioni Unite - "l'esclusione delle controversie di lavoro dalla sospensione feriale dei termini processuali si applica anche con riferimento ai giudizi di cassazione" (sentenza n. 749/2007).

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 3.100,00 di cui euro 100,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.