Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 01 dicembre 2016, n. 24560

Licenziamento - Dirigente - Interpretazione del contratto - Criterio letterale - Comportamento delle parti

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza depositata il 10.7.13 la Corte d'appello di Roma, in totale riforma della sentenza di rigetto (n. 1404/10) del Tribunale di Velletri, dichiarava illegittimo il recesso intimato l'11.7.05 da C.F. S.p.A. al dirigente in prova G.T. e, per l'effetto, la condannava a pagargli la complessiva somma di € 293.154,71 oltre rivalutazione e interessi, a titolo di indennità sostitutiva del preavviso e sua incidenza sul TFR, indennità supplementare ex art. 19 CCNL dirigenti aziende industriali, 50% del premio di incentivazione e rimborso spese.

Per la cassazione della sentenza ricorre C.F. S.p.A. affidandosi a cinque motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.

G.T. resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1 - Il primo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha interpretato il patto di prova semestrale contenuto nel contratto individuale di lavoro stipulato fra le parti come decorrente dal 10 anziché dal 13 gennaio 2005 e, di conseguenza, ha giudicato tardivo il licenziamento intimato con lettera pervenuta all'indirizzo del dirigente l'11 luglio 2005: obietta in proposito la società ricorrente che, sebbene nel documento di assunzione si facesse decorrere il termine semestrale di prova dal 10 gennaio 2005, nondimeno il rapporto medesimo era poi in concreto cominciato solo il 13 gennaio a cagione dell'indisponibilità del precedente datore di lavoro a lasciare libero prima di tale data G.T.. Pertanto - conclude il motivo - i sei mesi di prova scadevano il 13 luglio 2005, termine rispetto al quale la lettera di licenziamento per mancato superamento della prova, pervenuta l'11 luglio al dirigente, era da considerarsi tempestiva.

Il secondo motivo prospetta violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1335 c.c. nella parte in cui la gravata pronuncia ha ricollegato gli effetti del recesso alla data di ricezione della relativa lettera anziché a quella di sua spedizione.

Con il terzo motivo ci si duole di omesso esame d'un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, consistito nell'essere stato il licenziamento per cui è causa già comunicato a G.T. in forma orale fin dal 1° luglio 2005, come confermato dai testi L. e C., circostanza decisiva atteso che il licenziamento del lavoratore in prova non è assoggettato alla forma scritta.

Il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 2909 c.c. e 112 c.p.c. per avere la Corte territoriale riconosciuto a G.T., a titolo di rimborso spese, la somma di € 865,29 nonostante che si trattasse di domanda rigettata dalla sentenza di primo grado e non coltivata in appello con apposita censura.

Il quinto motivo prospetta violazione dell'art. 112 c.p.c. per avere la Corte territoriale riconosciuto in favore di G.T. anche € 20.000,00 pari al 50% del premio di incentivazione previsto dall'art. 5 del contratto individuale, nonostante che sia nell'atto introduttivo di lite che in quello di appello il lavoratore lo avesse chiesto nell'importo totale pari a € 40.000,00 e non nella minore somma accordatagli dai giudici del gravame.

2 - Il primo motivo è fondato.

L'errore in cui è incorsa la pronuncia impugnata consiste nell'aver valorizzato, nell'interpretare il tenore del patto semestrale di prova, esclusivamente il riferimento alla data di scadenza del periodo di prova, individuata in quella del 9.7.05, senza valutare che tale ultima data era stata espressamente indicata come conseguenza d'un inizio del rapporto di lavoro concordato al 10.1.05, come testimoniato dall'uso, nella medesima dichiarazione negoziale, della congiunzione "pertanto".

Invece, l'art. 1362 c.c. richiede che il tenore letterale sia interpretato nella sua interezza e alla luce della comune intenzione delle parti e del loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto.

In altre parole la Corte territoriale, chiamata ad accertare se la volontà delle parti era sempre e comunque quella di dare prevalenza alla durata semestrale della prova oppure quella di far sì che la stessa ad ogni modo non valicasse in nessun caso la data ultima del 9.7.05, avrebbe dovuto tenere conto del contratto nella sua intera formulazione nonché del comportamento delle parti anche successivo ad esso, fra cui il concreto inizio del rapporto de quo a partire dal 13.1.05 (come sostenuto dalla società ricorrente), senza fermarsi al mero - e, per di più, parziale - dato letterale.

In breve, nell'ottica dell'art. 1362 c.c. la comune intenzione delle parti desunta dal loro comportamento anche successivo al contratto è un criterio integrativo di quello letterale (nel senso che serve a chiarirlo), non già ad esso alternativo o, peggio, sussidiario.

Dunque, va data continuità alla giurisprudenza di questa S.C. (cfr., e pluribus, Cass. n. 261/06) secondo cui, nell'interpretazione del contratto, il dato testuale, pur assumendo un fondamentale rilievo, non può essere ritenuto decisivo ai fini della ricostruzione del contenuto dell'accordo, giacché il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito solo al termine del processo interpretativo; quest'ultimo, a sua volta, non può arrestarsi alla ricognizione del tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé chiare e non bisognose di approfondimenti interpretativi.

Infatti, un'espressione prima facie chiara può non apparire più tale se collegata ad altre contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti.

In breve, tali due criteri concorrono fra loro in via paritaria (cfr., ex aliis, Cass. n. 12758/93) nel definire la comune volontà delle parti. Non è esatto porli in competizione o in relazione gerarchica.

È, invece, quello che ha fatto la sentenza impugnata, nel momento in cui ha asserito che sulla formale e successiva regolarizzazione del rapporto debba prevalere la volontà esplicitata nel documento e, in particolare, solo nella parte in cui individuava lo spirare della prova alla data del 9.7.05, senza esaminare la relazione fra il termine semestrale poco innanzi pattuito e l'individuazione di tale data, connessi dalla congiunzione "pertanto".

3 - L'accoglimento del primo motivo assorbe la disamina del secondo e del terzo mezzo.

4 - Il quarto motivo va disatteso: la sentenza impugnata dà atto che G.T. ha coltivato in secondo grado le stesse conclusioni formulate nell'atto introduttivo del giudizio, il che pure la società ricorrente riconosce. Pertanto, l'eventuale assenza di specifico motivo di impugnazione - ove pure, in ipotesi, esistente - si sarebbe dovuta denunciare come error in procedendo per mancata declaratoria di inammissibilità, sul punto, dell'appello per violazione dell'art. 434 c.p.c., non già come vizio di extrapetizione.

5 - Il quinto motivo è infondato. Non incorre in vizio di ultrapetizione la sentenza che accolga una data domanda per un importo inferiore a quello richiesto, essendo quest'ultimo implicitamente ricompreso nel maggior ammontare.

6 - In conclusione, va accolto il primo motivo, con assorbimento del secondo e del terzo, mentre vanno rigettati il quarto e il quinto. Per l'effetto, si cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e si rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione, che dovrà interpretare il patto di prova alla luce dell'intero testo negoziale e della comune intenzione delle parti come desumibile dal loro comportamento anche successivo alla conclusione del contratto, in esso compreso il momento di effettivo inizio del rapporto lavorativo, attenendosi al seguente principio di diritto:

"Nell'interpretazione del contratto il criterio letterale e quello del comportamento delle parti anche successivo al contratto medesimo (v. art. 1362 c.c.) concorrono fra loro in via paritaria a definire la comune volontà dei contraenti. Ne consegue che il dato testuale, pur di fondamentale rilievo, non è di per sé decisivo, atteso che il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito solo al termine del processo interpretativo. Quest'ultimo non può arrestarsi alla ricognizione del tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per chiare e non bisognose di approfondimenti interpretativi, dal momento che un'espressione prima facie chiara può non apparire più tale se collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione ai comportamento complessivo delle parti".

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo, dichiara assorbiti il secondo e il terzo, rigetta il quarto e il quinto motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione.