Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 01 marzo 2017, n. 5280

Esposizione all'amianto - Benefici previdenziali - Cassa integrazione guadagni - Determinazione del periodo complessivo di esposizione

 

Svolgimento del processo

 

1. - Il Tribunale di Crotone riconobbe a N.F., lavoratore alle dipendenze di varie società operanti nello stabilimento M. S.p.A. di Crotone, con la qualifica di operaio e mansioni di meccanico nel reparto "forno-fosforo", i benefici previdenziali previsti dall'art. 13, comma 8°, I. n. 257/1992 e successive modifiche, in conseguenza dell'esposizione all'amianto subita dal lavoratore nel periodo 1987-1997.

2. - La Corte d'appello di Catanzaro, con sentenza pubblicata in data 17/6/2010, in accoglimento dell'appello proposto dall'Inps ha rigettato la domanda del lavoratore.

3. - Contro la sentenza, il lavoratore propone ricorso per cassazione, fondato su due motivi. L'Inps resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. - I motivi di ricorso sono due: il primo fondato sulla violazione e falsa applicazione dell'art. 437, comma 2°, c.p.c. in relazione al disposto di cui all'art. 345 c.p.c.: la parte deduce che l'estratto contributivo da cui risultava il suo collocamento in cassa integrazione era stato depositato dall'Inps solo nel giudizio di appello, in violazione del principio del divieto dei nova in fase d'impugnazione.

2. - Il secondo motivo è invece fondato sulla violazione dell'art. 13, comma 8°, legge n. 257 del 1992, nonché sull'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il computo dei termini utili alla decorrenza decennale di esposizione all'amianto. Con riguardo a quest'ultimo motivo deduce che il periodo di collocamento in cassa integrazione era esiguo ed irrilevante rispetto ad un'esposizione alla sostanza nociva protrattasi per anni.

3. - Il primo motivo presenta un evidente profilo di inammissibilità, dal momento che l'eccezione di tardività della produzione documentale non risulta dotata della necessaria autosufficienza: la parte ha infatti solo genericamente indicato che l'estratto contributivo sarebbe stato depositato nel giudizio di appello ma non supporta questa affermazione con i necessari riscontri documentali, omettendo di trascrivere l'indice dei documenti offerti in comunicazione dall'Inps nel giudizio di primo grado e in appello, e di depositare i relativi atti insieme al ricorso per cassazione, sì da far apprezzare la veridicità dell'eccezione prima ancora della sua fondatezza. E ciò a fronte della specifica deduzione dell'Inps, contenuta nel controricorso, di aver depositato il documento nel giudizio di primo grado, in uno con la memoria difensiva depositata in data 28/4/2005, a fronte dell'udienza di discussione fissata per il 12/5/2005. A ciò deve aggiungersi che elementi di riscontro non possono trarsi dalla sentenza impugnata, in cui non vi è cenno alla questione della tardività della produzione documentale, evidentemente non sollevata dall'odierno ricorrente.

Deve invero ricordarsi che, anche quando si deducono errores in procedendo per i quali sussiste il potere del giudice di legittimità di diretto esame degli atti del giudizio di merito, è necessario che la parte, nel rispetto del principio di autosufficienza, riporti, nel ricorso stesso, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, onde consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell'iter processuale (Cass. Sez. Un., 22 maggio 2012, n. 8077; Cass., 30 settembre 2015, n. 19410; Cass. 8 giugno 2016, n. 11738).

4. - Il secondo motivo è invece infondato. La Corte territoriale ha escluso la ultradecennalità dell'esposizione all'amianto, già fissata temporalmente dal Tribunale nel periodo compreso tra il dicembre 1987 e il dicembre 1997, sulla base di un complesso motivazionale fondato su più elementi di fatto, e - in particolare dalla circostanza che, a partire dal 1993, erano state avviate opere di bonifica nello stabilimenti e che già nel 1992 era cessata la produzione dei fosfati ammonici; infine, che dall'estratto contributivo esibito dall'Inps risultava che egli era stato collocato in cassa integrazione per un periodo complessivo di 14 settimane nell'anno 1993.

Il ricorrente non contesta tali elementi di fatto, ma incentra la sua doglianza unicamente sul fatto che il periodo di cassa integrazione doveva considerarsi esiguo rispetto al più lungo periodo di attività ed esposizione.

Ora, è principio pacifico di questa corte che, in tema di benefici previdenziali in favore dei lavoratori esposti all'amianto, i periodi di collocamento del lavoratore in cassa integrazione guadagni sono soggetti a valutazione ai fini della determinazione del periodo complessivo di esposizione di cui all'art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992, sì da verificare se essi abbiano avuto significativa durata e se, in ragione loro protrarsi e dell'eventuale prossimità ad altre sospensioni della prestazione lavorativa, abbiano comportato, in concreto, l'effettivo venir meno del rischio tutelato (Cass. 29 settembre 2015, n. 19280; Cass. 30 aprile 2014, n. 9457; Cass. 4 agosto 2010, n. 18134).

Si tratta di un'affermazione che involge una valutazione di merito riservata al giudice ed insindacabile in questa sede, in quanto coerente ed esaustiva, ove si consideri che la corte territoriale ha valutato l'ultradecennalità del periodo, escludendola, tenendo conto non solo della sospensione del lavoro conseguente alla cassa integrazione guadagni ma dell'inserimento di tale periodo in un arco temporale più ampio, caratterizzato dalla cessazione della produzione di sostanze nocive e dall'avvio di opere di bonifica all'interno dello stabilimento.

Alla luce di questi principi, il ricorso deve essere rigettato.

5. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. Poiché il giudizio è iniziato nel febbraio 2005 (come si legge in ricorso), ossia in data successiva alla riforma dell'art. 152 disp. att. c.p.c., in mancanza dell'autodichiarazione prevista dalla norma per l'esenzione della parte dal pagamento delle spese del giudizio, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del presente giudizio in applicazione del criterio della soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, e si liquidano in € 2600, di cui € 200,00, per esborsi, oltre al 15% di spese generali e altri accessori di legge.