Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 09 febbraio 2017, n. 3473

Licenziamento per giusta causa - Ausiliari addetti alla viabilità - Interruzione temporanea della prestazione - Proporzionalità della sanzione espulsiva

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza n. 779/2014, depositata il 6 giugno 2014, la Corte di appello di Bologna, in accoglimento del gravame di A.I. S.p.A. e in riforma della sentenza di primo grado del Tribunale di Bologna, rigettava le domande di G.G. e di G.L. per l'annullamento dei licenziamenti per giusta causa loro intimati in data 22/10/2009 per essere rimasti inattivi, per circa tre ore, trascorse presso il Centro di manutenzione di Rimini Sud, durante il turno di lavoro, quali "ausiliari addetti alla viabilità", compreso tra le ore 22.00 del 16/9/2009 e le ore 6.00 del giorno successivo; per non avere dato avviso di tale interruzione di attività alla Sala Radio di A.I.; per avere annotato nel rapporto di servizio un intervento di rimozione di ostacolo sulla sede autostradale in orario incompatibile con la sosta presso il Centro di manutenzione di Rimini Sud, risultando il periodo di inattività dalle registrazioni Telepass di entrata e uscita dal casello autostradale; per avere infine cessato l'esecuzione della prestazione alle ore 5.00 anziché alle ore 6.00 del 17/9/2009.

La Corte di appello osservava come i fatti contestati, anche senza bisogno di esaminare la fondatezza dell'ultima mancanza oggetto di rilievo, fossero idonei a integrare la giusta causa di recesso, sia perché, dal punto di vista oggettivo, accertati nella loro materialità, sia perché, dal punto di vista soggettivo, non risultava che gli appellati avessero mai contattato la Sala Radio per informare di eventuali ragioni che potessero giustificare una sospensione dell'attività di pattugliamento loro affidata, mentre era stata dimostrata la registrazione, nel rapporto di servizio, di un intervento fittizio al solo fine di attestare lo svolgimento dell'attività durante il periodo di sosta. La Corte osservava poi che se era pur vero che il CCNL di settore prevedeva (all'art. 35) la mera sanzione conservativa per alcune delle mancanze contestate (quali osservare l'orario di lavoro e/o attenersi alle direttive fissate con gli ordini di servizio), era altresì vero che nella specie emergeva una pluralità di condotte intenzionalmente poste in essere al fine di sottrarsi ai propri obblighi lavorativi.

Hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza i lavoratori con tre motivi, assistiti da memoria; la società ha resistito con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 7 I. n. 300/1970, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere la Corte territoriale superato il sistema sanzionatorio, che costituisce un limite non valicabile dal datore di lavoro e dal giudice, delineato nell'art. 36 CCNL, il quale prevede, per la principale delle infrazioni contestate (interruzione temporanea della prestazione), una sanzione conservativa (art. 35).

Con il secondo motivo, deducendo la violazione del principio, secondo il quale la buona fede si presume (art. 1147 c.c.), i ricorrenti si dolgono che la Corte abbia ritenuto il carattere intenzionale delle due condotte "concorrenti" con quella (principale) costituita dall'interruzione temporanea della prestazione lavorativa, trascurando di porre in rilievo le eventuali prove evidenti ed indiscutibili di mala fede dei lavoratori nella realizzazione delle condotte suddette.

Con il terzo, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 2106 c.c., i ricorrenti si dolgono che la Corte abbia ritenuto proporzionata la sanzione espulsiva rispetto alle infrazioni contestate, omettendo di considerare la circostanza che, nel pur lungo periodo di lavoro alle dipendenze della società, entrambi non avessero ricevuto alcuna sanzione. Il primo motivo risulta improcedibile, poiché, nell'inosservanza dell'art. 369 n. 4 c.p.c., i ricorrenti non hanno depositato copia del contratto collettivo (né in forma integrale, né per estratto), senza indicare neppure il luogo preciso in cui esso fu depositato nei gradi di merito (Sezioni Unite, n. 25038/2013).

Il secondo motivo è inammissibile, in quanto tende a promuovere una rilettura, da parte del giudice di legittimità, delle risultanze probatorie acquisite al giudizio, e per l'effetto una diversa soluzione del merito della controversia, vale a dire un'attività ed un esito che sono di esclusiva competenza del giudice di merito.

Il terzo motivo è infondato.

La Corte territoriale, infatti, chiamata a valutare se la sanzione fosse proporzionata ai fatti contestati, ha fatto corretta applicazione del consolidato principio di diritto, per il quale, nel compiere tale accertamento, il giudice di merito deve esaminare non soltanto le circostanze, che connotano le condotte sul piano oggettivo, ma anche gli aspetti soggettivi e, in particolare, l'elemento della intenzionalità, pervenendo, a conclusione di un rigoroso esame del materiale istruttorio, al convincimento di una pluralità di condotte dei lavoratori preordinate a sottrarsi all'adempimento dei propri obblighi e, pertanto, contrassegnate da una indubbia e oggettiva gravità, come tale idonea ad escludere la possibile rilevanza di altri eventuali elementi.

Il ricorso deve conseguentemente essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.