Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 13 dicembre 2018, n. 32257

Tributi - Accertamento - Agevolazioni fiscali - Violazioni - Condono tombale

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso del 9 maggio 2007 la C. A. spa ha impugnato un avviso di accertamento relativo a Irpeg, Irap e Iva per l'anno di imposta 2003 emesso in seguito ad una verifica generale effettuata nei suoi confronti dalla Direzione Regionale Toscana Ufficio Controlli Fiscali.

In particolare, l'avviso di accertamento era stato emesso perché durante la verifica erano state riscontrate le seguenti irregolarità: illegittima fruizione delle agevolazioni previste dall'articolo 4 della legge n. 383 del 2001 (cd. Tremonti bis) per un ammontare di € 517.805,00;

indebita deduzione di costi non di competenza, per un totale di € 1.240.445,00;

indebita deduzione di costi non inerenti, per un totale di € 34.649,00; indebita deduzione di costi non documentati, per € 2.600,00; errata contabilizzazione di sopravvenienze passive, per€ 45.155,00; altri costi ed oneri indeducibili, per € 5.548,00.

In sede di accertamento le risultanze della verifica erano state in parte riviste, con la conseguente rideterminazione del debito in € 2.363.873,00, con recupero di maggiori imposte Irpeg di € 627.709,00, Irap di € 56.424,00 ed Iva di € 34.969,99, oltre sanzioni ed interessi.

Con il suo ricorso la C. A. spa ha esposto che: quanto alla rettifica delle agevolazioni ex legge cd. Tremonti bis richieste nell'anno di imposta 2002, l'amministrazione finanziaria non avrebbe potuto contestare la quota della predetta agevolazione riportata nell'anno 2003 poiché essa contribuente aveva aderito al beneficio previsto dall'articolo 9 della legge n. 289 del 2002, cd. condono tombale; in ogni caso, aveva diritto alle predette agevolazioni;

in ordine alla indebita deduzione di costi non di competenza, in particolare merci di viaggio, i rilievi avevano carattere meramente formale, non essendo stata sottratta materia imponibile;

per ciò che riguardava il recupero a tassazione di costi non inerenti relativi a prestazioni rese in favore della società Alba 2000, era subentrata nei rapporti con il fornitore;

per quel che concerneva l'iva, la fattura nei confronti della R. srl era stata emessa senza applicare riva perché l'arrivo e la registrazione della lettera di intenti necessaria per avvalersi della possibilità di compiere operazioni senza imposta per il 2003 era avvenuta in data anteriore all'emissione delle fatture, mentre gli altri documenti erano riconducibili a spese sostenute per nome e per conto ex articolo 15 del Dpr 633 del 1972 e, quindi, erano escluse dall'Iva;

con riferimento alla mancata regolarizzazione delle fatture ricevute senza Iva ai sensi dell'articolo 6, comma 8, del d.lgs. n. 417 del 1997, ma da assoggettare ad imposta, la revoca della dichiarazione di intenti del venditore era avvenuta dopo la ricezione delle fatture;

erano infondate le contestazioni relative al recupero dell'Iva sulle fatture non inerenti.

La CTP di Firenze, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 123/20/2007, ha accolto il ricorso.

L'Agenzìa delle Entrate, con atto depositato il 4 dicembre 2008, ha proposto appello.

La CTR di Firenze, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 124/13/2010, ha respinto l'appello.

L'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione articolato su tre  motivi. 

La C. A. spa ha resistito con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo l'Agenzia delle Entrate lamenta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 4 della legge n. 383 del 2001 e dell'articolo 9 della legge n. 289 del 2002 poiché la CTR avrebbe errato nel negare che l'amministrazione finanziaria avesse un potere di verifica e rettifica in ordine al riporto in anni successivi delle perdite derivanti dalle agevolazioni previste dall'articolo 4 della legge n. 383 del 2001 (che prevede, a certe condizioni, la detassazione del reddito di impresa reinvestito, con possibilità, appunto, di riportare le perdite eventualmente realizzate nei due esercizi successivi) e utilizzate, nella specie, nell'anno 2002, qualora per tale anno il contribuente avesse perfezionato il cd. condono tombale ai sensi dell'articolo 9 della legge n. 289 del 2002.

In particolare, parte ricorrente afferma che il suddetto condono non avrebbe potuto coprire pure il riporto in anni successivi delle perdite di esercizio derivanti dalle agevolazioni de quibus.

La doglianza è infondata.

L'articolo 4 della legge n. 383 del 2001 (cd. Tremonti bis) prescrive, per quanto qui rileva, che:

"i. È escluso dall'imposizione del reddito di impresa e di lavoro autonomo il 50 per cento del volume degli investimenti in beni strumentali realizzati nel periodo d'imposta in corso alla data di entrata In vigore della presente legge successivamente al 30 giugno e nell'intero periodo di imposta successivo, in eccedenza rispetto alla media degli investimenti realizzati nei cinque periodi di imposta precedenti, con facoltà di escludere dal calcolo della media il periodo in cui l'investimento è stato maggiore.

2. Omissis

3. L'incentivo fiscale di cui ai commi 1 e 2 si applica anche alle imprese e ai lavoratori autonomi in attività alla data di entrata in vigore della presente legge, anche se con un'attività d'impresa o di lavoro autonomo inferiore ai cinque anni. Per tali soggetti la media degli investimenti da considerare è quella risultante dagli investimenti effettuati nei periodi d'imposta precedenti a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge o a quello successivo, con facoltà di escludere dal calcolo della media il periodo in cui l'investimento è stato maggiore.

4. Per investimento si intende la realizzazione nel territorio dello Stato di nuovi impianti, il completamento di opere sospese, l'ampliamento, la riattivazione, l'ammodernamento di impianti esistenti e l'acquisto di beni strumentali nuovi anche mediante contratti di locazione finanziaria. L'Investimento immobiliare è limitato ai beni strumentali per natura.

5. Omissis

6. L'incentivo fiscale è revocato se l'Imprenditore o il lavoratore autonomo cedono a terzi o destinano i beni oggetto degli investimenti a finalità estranee all'esercizio di impresa o all'attività di lavoro autonomo entro il secondo periodo di Imposta successivo all'acquisto, ovvero entro il quinto periodo di imposta successivo in caso dì beni immobili.

7. Per II secondo periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, l'acconto dell'IRPEF e dell'IRPEG è calcolato, in base alle disposizioni della legge 23 marzo 1977, n. 97, assumendo come imposta del periodo precedente quella che si sarebbe applicata in assenza delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2.

8. Le modalità di applicazione dell'incentivo fiscale sono, per il resto, le stesse disposte con l'articolo 3 del decreto-legge 10 giugno 1994, n. 357, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1994, n. 489".

Tale agevolazione consiste, quindi, nell'escludere dall'imposizione del reddito il 50 per cento del volume degli investimenti in beni strumentali realizzati nel periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore della presente legge successivamente al 30 giugno e nell'intero periodo di imposta successivo, in eccedenza rispetto alla media degli investimenti realizzati nei cinque periodi di imposta precedenti, con facoltà di escludere dal calcolo della media il periodo in cui l'investimento è stato maggiore.

Il beneficio mira a favorire i soggetti che, per particolari esigenze, hanno effettuato degli investimenti straordinari superiori alle normali necessità.

L'articolo 9 della legge n. 289 del 2002, istitutiva del cd. condono tombale, prescrive, ai commi 1, 7, 9 e 10, che:

"1. I contribuenti, al fine di beneficiare delle disposizioni di cui al presente articolo, presentano una dichiarazione con le modalità previste dai commi 3 e 4 dell'articolo 8, chiedendo, a pena di nullità, la definizione automatica per tutte le imposte e concernente tutti i periodi d'imposta per i quali i termini per la presentazione delle relative dichiarazioni sono scaduti entro il 31 ottobre 2002. Non possono essere oggetto di definizione automatica i redditi soggetti a tassazione separata, nonché i redditi di cui al comma 5 dell'articolo 8, ferma restando, per i predetti redditi, la possibilità di avvalersi della dichiarazione integrativa di cui ai medesimo articolo 8, secondo le modalità ivi indicate.

7. Ai fini della definizione automatica è esclusa la rilevanza a qualsiasi effetto delle eventuali perdite risultanti dalle dichiarazioni originarie...

9. La definizione automatica, limitatamente a ciascuna annualità, rende definitiva la liquidazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione con riferimento alla spettanza di deduzioni e agevolazioni indicate dal contribuente o all'applicabilità di esclusioni.....La definizione automatica non modifica l'importo degli eventuali rimborsi e crediti derivanti dalie dichiarazioni presentate ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali, dell'imposta sul valore aggiunto, nonché dell'imposta regionale sulle attività produttive. La dichiarazione integrativa non costituisce titolo per il rimborso di ritenute, acconti e crediti d'imposta precedentemente non dichiarati, né per il riconoscimento di esenzioni o agevolazioni non richieste in precedenza, ovvero di detrazioni d'imposta diverse da quelle originariamente dichiarate.

10. Il perfezionamento della procedura prevista dal presente articolo comporta:

a) la preclusione, nei confronti del dichiarante e dei soggetti coobbligati, di ogni accertamento tributario;

b) l'estinzione delle sanzioni amministrative tributarie, ivi comprese quelle accessorie;

c) l'esclusione della punibilità per i reati tributari di cui agli articoli 2, 3, 4, 5 e 10 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, nonché per i reati previsti dagli articoli 482, 483, 484, 485, 489, 490, 491-bis e 492 del codice penale, nonché dagli articoli 2621, 2622 e 2623 del codice civile, quando tali reati siano stati commessi per eseguire od occultare i predetti reati tributari, ovvero per conseguirne il profitto e siano riferiti alla stessa pendenza o situazione tributaria;...".

Il comma 7 è stato in seguito modificato dall'articolo 5 bis, comma 1, d.l. n. 282 del 2002, convertito in legge n. 27 del 2003, a decorrere dal 23 febbraio 2003, per cui "Al fini della definizione automatica è esclusa la rilevanza a qualsiasi effetto delle eventuali perdite risultanti dalle dichiarazioni originarie, fatta eccezione di quelle determinate dall'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 4 della legge 18 ottobre 2001, n. 383...".

Dalla normativa in questione, per quanto qui rileva, emerge, perciò, che, al fini della determinazione della somma dovuta per II cd. condono globale, la regola generale è quella dell'irrilevanza delle perdite, ad eccezione, a partire dal 23 febbraio 2003, di quelle di cui proprio all'articolo 4 della legge n. 383 del 2001, le quali, invece, assumono valore nel senso che, per stabilire il quantum dovuto per la definizione automatica, rendono necessario riferirsi non al reddito lordo, ma a quello netto.

Per decidere la controversia occorre tenere conto della più recente giurisprudenza di questa Corte di legittimità, secondo la quale "In tema di cd. "condono tombale", l'Erario può accertare i crediti da agevolazione esposti dal contribuente nella dichiarazione, in quanto il condono - avendo come scopo il recupero di risorse finanziarie e la riduzione del contenzioso e non già l'accertamento dell'imponibile - elide in tutto o in parte, per sua natura, il debito fiscale, ma non opera sui crediti che il contribuente possa vantare nei confronti del fisco, che restano soggetti all'eventuale contestazione da parte dell’ufficio" (Cass., SU, n. 16692 del 6 luglio 2017).

La decisione da ultima citata chiarisce, nella sua parte motiva, le ragioni che inducono ad escludere i crediti del contribuente dall'applicabilità del condono de quo.

Infatti, precisa che il condono, per sua natura, incide sui debiti, ma non sui crediti dei contribuenti perché si traduce in una forma atipica di definizione del rapporto tributario nella prospettiva di recuperare risorse e ridurre il contenzioso, prescindendo dall'accertamento dell'imponibile e senza che il fisco mantenga poteri decisori al riguardo.

Pertanto, da un punto di vista logico, il condono non può che riguardare i debiti e non i crediti, considerato che la sua funzione è solo di consentire un guadagno per l'Erario e non di perseguire finalità transattive o di compensazione dei crediti e dei debiti.

Lo stesso testo del summenzionato comma 9 dell'articolo 9 della legge sul cd. condono tombale suffraga tale impostazione, nello stabilire che "La definizione automatica, limitatamente a ciascuna annualità, rende definitiva la liquidazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione con riferimento alla spettanza di deduzioni e agevolazioni indicate dai contribuente o airapplicabilità di esclusioni".

Infatti, detta definitività riguarda l'imposta lorda, nel senso che ciò che è reso definitivo è l'imponibile, sul quale essa è calcolata, che è, quindi, l'oggetto del condono, menzionando la disposizione non a caso proprio la spettanza di deduzioni, che concernono somme escluse da tale base imponibile, ed esclusioni, che ne definiscono l'ambito applicativo.

Il riferimento alle agevolazioni ivi presente deve essere interpretato in base alle considerazioni finora esposte, con la conseguenza che non potranno essere oggetto di ulteriori accertamenti, una volta definita la procedura di condono, proprio quelle agevolazioni che, come le deduzioni, a cui l'articolo 9, comma 9 suddetto le accomuna, incidono sulla determinazione dell'imponibile.

Al contrario, le agevolazioni che hanno effetto diretto non sulla base imponibile, ma sull'imposta, ad esempio i crediti di imposta destinati ad operare come fattori di compensazione, riducendo la seconda e non la prima, non rientrano nell'ambito di applicazione del cd. condono tombale.

Ciò posto, occorre valutare se le agevolazioni in questione rientrino fra quelle coperte dal cd. condono tombale oppure no.

La riposta deve essere negativa.

Infatti, dette agevolazioni consistono nell'esclusione di alcune voci di spesa dalla base imponibile e, pertanto, esse incidono direttamente sulla determinazione di questa, alla stregua di deduzioni, ma non sull'imposta.

La stessa considerazione vale ove le perdite siano riportate negli anni successivi, concernendo queste i redditi e non i tributi da versare.

Sostiene l'amministrazione ricorrente che dovrebbe darsi rilievo al diverso regime delle perdite ex articolo 4 della legge n. 383 del 2001 rispetto a quelle ordinarie, come previsto dall'articolo 9, comma 7, della legge n. 289 del 2002.

In pratica, principio base del condono cd. tombale dovrebbe essere quello dell'onerosità dei vantaggi spettanti al contribuente.

Pertanto, il condono dovrebbe operare solo dietro pagamento di una somma di denaro a sua volta calcolata su una base imponibile comprensiva degli elementi con riferimento ai quali opererebbe la preclusione dall'accertamento garantita dalla legge in favore del contribuente.

Ne conseguirebbe che, poiché le spese rilevanti come agevolazioni ex legge cd. Tremonti bis non andrebbero a comporre la base imponibile rilevante per la definizione automatica, esse non beneficerebbero degli effetti della stessa.

D'altronde, la stessa possibilità di "riporto a nuovo" delle spese negli anni successivi è subordinata, in via generale, al pagamento di una somma ai sensi dell'articolo 9, comma 7, della legge n. 289 del 2002, nel testo modificato dall'articolo 5 bis, comma 1, d.l. n. 282 del 2002, convertito in legge n. 27 del 2003, a decorrere dal 23 febbraio 2003, in base al quale "Il riporto a nuovo delle predette perdite è consentito con il versamento di una somma pari al 10 per cento delle perdite stesse".

Tale difesa è priva di pregio.

Infatti, la circostanza che le agevolazioni in esame non entrino nella base imponibile rilevante per calcolare la somma dovuta per perfezionare il condono e che il relativo "riporto a nuovo" non necessiti del versamento di somme ulteriori non fa venire meno il fatto decisivo che le dette agevolazioni incidono naturalmente in negativo sulla determinazione della base imponibile ai fini fiscali.

La non inclusione nell'importo sul quale calcolare l'ammontare da versare per la definizione automatica e la non imposizione del contributo aggiuntivo per il "riporto a nuovo", quindi, non sono sintomo della non considerazione di queste spese nella "procedura prevista dal presente articolo", ma sono solo espressione del particolare favore, enunciato con una disposizione derogatoria ad hoc, del legislatore verso le agevolazioni de quibus, l'effetto potenzialmente negativo delle quali è stato integralmente sterilizzato.

Afferma ancora parte ricorrente che, comunque, l'articolo 9, comma 9, della legge n. 289 del 2002 ricollegherebbe la definizione automatica "limitatamente a ciascuna annualità", per cui il beneficio non sarebbe applicabile nel caso di  riporto ad esercizi successivi delle perdite derivanti dalle agevolazioni previste dalla legge n. 383 del 2001, come avvenuto nella specie.

La considerazione è infondata.

Infatti, il riferimento a ciascuna annualità si riferisce alla circostanza che la definizione automatica non può che avvenire con riferimento alle risultanze delle dichiarazioni dei contribuenti che sono, appunto, annuali.

La tesi della parte ricorrente non tiene conto che, se è divenuta incontestabile la determinazione della base imponibile, come riportata nella dichiarazione sulla base del quale è stato perfezionato il cd. condono tombale, inevitabilmente non può essere più sindacato neanche l'effetto diretto di tale determinazione, vale a dire l'esistenza e l'entità delle spese per agevolazioni che, poi, saranno riportate "a nuovo".

L'impostazione della amministrazione ricorrente non considera che il prelievo da condono sostituisce quello ordinario, ma che è la precedente dichiarazione originaria la base sulla quale si innesta la successiva definizione agevolata, con tutte le conseguenze che ne derivano.

D'altronde, non si comprende come il "riporto a nuovo" non dovrebbe rilevare ai sensi della legge n. 289 del 2002 quando è proprio detta legge a renderlo possibile in via generale dietro versamento di una somma ulteriore (almeno per le spese diverse da quelle in esame).

È, anzi, proprio la circostanza che tale "riporto a nuovo" avvenga solo dietro corresponsione di un ammontare ulteriore a palesare come, nel sistema generale del condono, pure lo spostamento agli anni successivi delle perdite avvenga dietro un pagamento di denaro all'erario e, dunque, possa godere del beneficio in questione.

Ne consegue il rigetto della doglianza.

2. Con il secondo motivo, l'amministrazione ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 109 e dell'articolo 7 del TUIR, nonché dell'articolo 21 del d.lgs n. 546 del 1992 in quanto la CTR avrebbe errato nell'affermare che fosse onere di essa amministrazione, qualora avesse agito per il recupero di costi contabilizzati in un esercizio non di competenza,  procedere alla contestuale rettifica del reddito relativo all'esercizio di competenza.

La doglianza è inammissibile per difetto di interesse.

Infatti, la CTR ha chiarito che, nella specie, non sussisteva alcuna "sottrazione di materia imponibile".

Ciò perché, nonostante l'avvenuta imputazione dei costi relativi alle merci in questione fosse avvenuta nell'esercizio sbagliato, vale a dire nel 2003, alla fine tale importo, qualora fosse stato riferito al 2002, sarebbe entrato nelle rimanenze finali del 2002 e, pertanto, sarebbe stato, poi, contabilizzato fra le rimanenze iniziali del 2003, per essere trattato come un costo del 2003.

L'amministrazione ricorrente non ha contestato la ratio della decisione impugnata, rappresentata dalla non "sottrazione di materia imponibile", ma, al contrario, ha sempre ammesso questa circostanza, come emerge dalla lettura dell'avviso di accertamento.

3. Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta la motivazione omessa ed insufficiente in ordine ad un fatto decisivo e controverso poiché la CTR, con riferimento ai rilievi Iva indicati con i numeri 1, 2 e 3 dell'avviso di accertamento, oggetto di specifiche censure in appello, aveva respinto tali censure perché riteneva corrette "le controdeduzioni di parte appellata, così come indicate in "Fatto" alle quali si rinvia integralmente", ove, peraltro, erano semplicemente riportate fra virgolette le difese del contribuente.

Al riguardo, si rileva che, nel processo civile e in quello tributario, la sentenza la cui motivazione riproduca il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari) senza alcuna aggiunta non è nulla se le ragioni della decisione siano attribuibili all'organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, al giudice non è imposta l'originalità né dei contenuti né delle modalità espositive (Cass., Sez. U, n. 642 del 16 gennaio 2015).

Nella specie, la CTR ha motivato la sua decisione facendo proprie le argomentazioni dell'appellata, a sua volte trascritte nella parte in fatto della sentenza della medesima CTR. Non può ritenersi che questa modalità di redazione sia vietata di per sé dall'ordinamento, ma occorre valutare se detta motivazione, del tutto priva di un apporto valutativo della corte di merito ulteriore rispetto all'affermazione dell'adesione alle argomentazioni della parte, chiarisca l'iter logico seguito per respingere le doglianze dell'amministrazione.

Nel suo ricorso l'Agenzia delle Entrate ha censurato la decisione impugnata con riferimento alle modalità con cui erano stati esaminati tre specifici rilievi ai fini Iva contrassegnati con i numeri 1, 2 e 3 dell'avviso di accertamento.

Bisogna esaminare, quindi, queste doglianze singolarmente, in modo da accertare se le difese di parte appellata, come fatte proprie dalla CTR, siano qualificabili come motivazione esistente e sufficiente.

Quanto al primo punto, l'Agenzia delle Entrate espone che, in ordine alla fattura 139 emessa dalla società controricorrente per € 4.804,63, con Iva pari ad € 960,93, quest'ultima aveva intrattenuto rapporti commerciali con la ditta R. srl, esportatrice abituale. Ai sensi dell'articolo 8, comma 1), lettera c, del d.P.R. n. 633 del 1972, la R. srl aveva emesso il 18 dicembre 2002 una dichiarazione d'intenti per compiere operazioni senza applicare l'Iva per l'anno 2003. Tale dichiarazione era, però, stata inviata il 28 gennaio 2003, tanto che, nell'apposito registro delle dichiarazioni di intenti di cui alla legge n. 17 del 27 febbraio 1984, tenuto dalla Alba spa, l'annotazione della ricezione della suddetta dichiarazione aveva la data del 30 gennaio 2003, con numero di registrazione 85 (la fattura era del 31 gennaio 2003).

Peraltro, il documento di trasporto allegato alla fattura contestata indicava come data di consegna il 27 gennaio 2003, con la conseguenza che la consegna e spedizione della merce erano avvenute prima della ricezione della lettera d'intento da parte della controricorrente ed anteriormente all'invio della relativa comunicazione della ditta esportatrice abituale. Inoltre, il rilievo de quo concerneva pure fatture emesse dalla società controricorrente in favore delle ditte Delhi spa e Pegaso spa per un totale di € 31.598,78 (ed Iva di € 6.319,74) e non sottoposte ad Iva ex articolo 15 del d.P.R. n. 633 del 1972.

La CTR, nel fare proprie le difese della C. A. spa, ha ritenuto che:

a) quanto alla tematica della dichiarazione di intento, la non applicazione dell'Iva non costituisse evasione d'imposta poiché non vi era stato "splafonamento" e, comunque, il contribuente disponesse della dichiarazione d'intento già il 18 dicembre 2002;

b) in ordine alle fatture per le ditte Delhi spa e Pegaso spa, si trattasse di riaddebiti che "Alba ha effettuato per le spese sostenute per la fiera Linea Pelle. Dai documenti si evince che il riaddebito andava assoggettato ad Iva....Tutti i documenti di spesa sono intestati all'Alba e quindi nessuna anticipazione è stata fatta trattandosi di spese di spettanza dell'Alba. Imposta recuperata su imponibile di 31.598,70 = 6.319,74".

La controversia concerne il ruolo della dichiarazione di intenti ex articolo 8 del d.P.R. n. 633 del 1972 ed il suo rapporto con il cd. plafond, essendo stato anche chiesto di chiarire se detta dichiarazione assuma efficacia al momento della sua emissione o se debba essere comunicata formalmente al destinatario.

Il sistema de quo individua per l’esportatore abituale nel cd. plafond, costituito dall’ammontare complessivo dei corrispettivi delle esportazioni, il limite quantitativo monetario utilizzabile nell'anno successivo, ai fini della possibilità di effettuare acquisti senza applicazione dell'imposta.

La giurisprudenza di legittimità subordina, però, la non imponibilità delle cessioni all'esportazione fatte nei confronti di esportatori abituali - prevista dall'articolo 8, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 633 del 1972 - nella disciplina del d.l. n. 746 del 1983, all'emissione di specifica dichiarazione d'intento da parte del l'esportatore medesimo, mentre il soggetto cedente, una volta riscontratane la conformità alle disposizioni di legge, non è tenuto ad altri controlli, rimanendo a carico di chi emette tale dichiarazione la responsabilità dell'eventuale falsità (Cass., Sez. 5, n. 21956 del 27 ottobre 2010). Pertanto, unicamente ove la dichiarazione stessa esista e non sia falsa o il cedente non sia consapevole della sua falsità l'operazione non è imponibile (Cass., Sez. 6-5, n. 176 del 9 gennaio 2015), altrimenti essendo dovuta la fatturazione dell'imposta (Cass., Sez. 5, n. 5174 del 28 febbraio 2017, non massimata).

La normativa, quindi, ha previsto una ipotesi di sospensione dell'imposta nella quale la dichiarazione de qua non incide sulla procedura di accertamento del tributo, ma su quella di riscossione, individuando l'esistenza del cd. plafond e, dunque, le condizioni in presenza delle quali il pagamento dell'imposta è sospeso per chi sia nelle condizioni di legge e lo dichiari sotto la propria responsabilità (Cass., Sez. 5, n. 3623 del 20 febbraio 2006). Il rispetto del cd. plafond, infatti, esclude un diverso accertamento dell'Iva, ma non ne impedisce la riscossione se la dichiarazione di intento si riveli falsa o manchi.

Perciò, la CTR non ha motivato la sua decisione, avendo escluso la recuperabilità dell'Iva per il solo fatto che non vi era stato " spia fona mento", nonostante l'amministrazione chiedesse di esaminare il profilo relativo alla dichiarazione di intento, e solo questo fosse oggetto del contendere. In particolare, assumeva rilievo la questione, posta dall'Agenzia delle Entrate, se detta dichiarazione acquisisse efficacia al momento dell'emissione o se dovesse, al contrario, essere pure stata comunicata al destinatario prima dell'operazione interessata. Ciò soprattutto alla luce della giurisprudenza per la quale la dichiarazione di intento va consegnata o spedita prima del compimento dell'operazione e l'epoca di tale compimento va individuata ex articolo 6 del d.P.R. n. 633 del 1972, disposizione che, ad esempio, stabilisce al comma 1 che "/e cessioni di beni si considerano effettuate nel momento della stipulazione se riguardano beni immobili e nel momento della consegna o spedizione se riguardano beni mobili" (Cfr. Cass., Sez. 5, n. 18072 del 2 luglio 2008, pur se concernente un caso di somministrazione di energia elettrica).

La decisione della CTR è, quindi, non motivata perché ha omesso, benché l'appello vertesse su tali aspetti, di valutare il profilo dell'avvenuta spedizione e ricezione della dichiarazione di intento dopo il completamento dell'operazione.

Quanto alle fatture per le ditte Delhi spa e Pegaso spa, la motivazione della CTR è del tutto non comprensibile, poiché afferma che si tratterebbe di riaddebiti che "Alba ha effettuato per le spese sostenute per la fiera Linea Pelle" e che, dunque, dai documenti si evincerebbe anche il riaddebito andava assoggettato ad Iva....Tutti i documenti di spesa sono intestati all'Alba e quindi nessuna anticipazione è stata fatta trattandosi di spese di spettanza dell'Alba. Imposta recuperata su imponibile di 31.598,70 = 6.319,74".

Dalla lettura non risulta chiaro se la stessa appellata abbia ammesso la fondatezza della contestazione ed abbia accettato il recupero dell'lva, il che escluderebbe il rigetto dell'appello dell'Agenzia delle Entrate sul punto.

Deve essere esaminata, quindi, la parte del ricorso dell'Agenzia delle Entrate in cui la decisione impugnata è censurata con riferimento al rilievo concernente l'iva contrassegnato con il numero 2 dell'avviso di accertamento.

Afferma l'amministrazione procedente che la società controricorrente aveva acquistato beni e servizi tramite degli esportatori abituali, che avevano emesso delle fatture con indicazione della non imponibilità ex articolo 8 del D.P.R. n. 633 del 1972 in base alle dichiarazioni di intento della società medesima. Tali dichiarazioni di intento, però, erano state tutte revocate in seguito con decorrenza retroattiva al 1° luglio 2003. L'Agenzia delle Entrate, perciò, ha contestato che, per tali operazioni, perché avvenute fra il 1° luglio 2003 e la revoca della dichiarazione di intento, I fornitori avrebbero dovuto emettere fatture con addebito Iva. Non essendo ciò avvenuto, la C. A. spa sarebbe stata tenuta a regolarizzare le fatture e, non avendolo fatto, a corrispondere l'iva non versata e pagare le sanzioni di legge, ai sensi dell'articolo 6, comma 8, del d.lgs n. 471 del 1997.

La CTR ha respinto l'appello perché non vi sarebbe stato "splafonamento".

Per le ragioni sopra esposte, deve essere considerata assente la motivazione. Infatti, la CTR non ha affrontato la questione, oggetto del gravame, dell'inefficacia sopravvenuta (sotto forma di revoca) della dichiarazione di intento, che era un presupposto indefettibile per l'operatività del meccanismo dell'articolo 8 del d.P.R. n. 633 del 1972, alla luce della recente giurisprudenza di legittimità, per cui la revoca della dichiarazione di intento produce l'effetto immediato (o decorrente, almeno, dalla ricezione della revoca stessa) di rendere applicabile l'iva, con la conseguenza che la fatturazione successiva deve tenere conto che l'operazione segue il regime ordinario (Cass., Sez. 5, n. 5174 del 28 febbraio 2017, non massimata).

Infine, deve essere esaminato il ricorso dell'Agenzia delle Entrate laddove censura la decisione impugnata quanto al rilievo, concernente l'iva, contrassegnato con il numero 3 dell'avviso di accertamento.

La doglianza va accolta poiché nella parte in fatto della sentenza non sono state riportate le difese della società controricorrente sul punto.

4. Il ricorso va, pertanto, accolto, limitatamente al terzo motivo, e la decisione impugnata va cassata con rinvio alla CTR di Firenze, diversa sezione, per decidere la causa nel merito, anche sulle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

- accoglie il ricorso, limitatamente al terzo motivo, e cassa con rinvio ad altra sezione della CTR di Firenze.