Giurisprudenza - CORTE DI GIUSTIZIA CE-UE - Sentenza 14 luglio 2016, n. C-335/15

"Rinvio pregiudiziale - Politica sociale - Articolo 119 del Trattato CE (divenuto articolo 141 CE) - Direttiva 75/117/CEE - Parità delle retribuzioni tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile - Direttiva 92/85/CEE - Misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento - Articolo 11, punti 2, lettera b), e 3 - Normativa nazionale che prevede per i magistrati ordinari un’indennità in relazione agli oneri che gli stessi incontrano nello svolgimento della loro attività professionale - Assenza di diritto a detta indennità, in capo a una magistrata ordinaria, per i periodi di congedo di maternità obbligatorio anteriori al 1° gennaio 2005"

 

1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 119 del Trattato CE (divenuto articolo 141 CE), dell’articolo 120 del Trattato CE (divenuto articolo 142 CE), dell’articolo 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dell’articolo 11 della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE) (GU 1992, L 348, pag. 1), nonché degli articoli 2, 14 e 15 della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (GU 2006, L 204, pag. 23).

2. Detta domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Maria Cristina Elisabetta Ornano e il Ministero della Giustizia, Direzione Generale dei Magistrati del Ministero (Italia; in prosieguo: il "Ministero della Giustizia") in merito al rifiuto opposto a una magistrata ordinaria di beneficiare, con riferimento a periodi di congedo di maternità obbligatorio fruiti anteriormente al 1° gennaio 2005, di un’indennità correlata agli oneri che i magistrati ordinari incontrano nello svolgimento della loro attività professionale.

 

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

Direttiva 75/117/CEE

3. All’articolo 1, la direttiva 75/117/CEE del Consiglio, del 10 febbraio 1975, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile (GU 1975, L 45, pag. 19), enuncia:

"Il principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile, previsto dall’articolo 119 del Trattato [CEE], denominato in appresso "principio della parità delle retribuzioni", implica, per uno stesso lavoro o per un lavoro al quale è attribuito un valore uguale, l’eliminazione di qualsiasi discriminazione basata sul sesso in tutti gli elementi e le condizioni delle retribuzioni.

In particolare, qualora si utilizzi un sistema di classificazione professionale per determinare le retribuzioni, questo deve basarsi su principi comuni per i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile ed essere elaborato in modo da eliminare le discriminazioni basate sul sesso".

4. Detta direttiva è stata abrogata dalla direttiva 2006/54, con effetto dal 15 agosto 2009. I fatti del procedimento principale sono anteriori, tuttavia, all’abrogazione della direttiva 75/117.

 

Direttiva 76/207/CEE

5. I considerando secondo e terzo della direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU 1976, L 39, pag. 40), recitano:

"considerando che, in materia di retribuzioni, il Consiglio ha adottato, in data 10 febbraio 1975, la direttiva 75/117;

considerando che un’azione della Comunità appare altresì necessaria per attuare il principio della parità di trattamento tra uomini e donne sia per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e promozione professionali, sia per quanto riguarda le altre condizioni di lavoro; che la parità di trattamento tra i lavoratori di sesso maschile e quelli [di] sesso femminile costituisce uno degli obiettivi della Comunità, in quanto si tratta in particolare di promuovere la parificazione nel progresso delle condizioni di vita e di lavoro della manodopera; che il trattato non ha previsto i poteri di azione specifici necessari a tale scopo".

6. La direttiva 76/207 è stata abrogata dalla direttiva 2006/54, con effetto dal 15 agosto 2009. I fatti del procedimento principale sono anteriori, tuttavia, all’abrogazione della direttiva 76/207.

 

Direttiva 92/85

7. Ai sensi del nono, del sedicesimo, del diciassettesimo e del diciottesimo considerando della direttiva 92/85:

"considerando che la protezione della sicurezza e della salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento non deve svantaggiare le donne sul mercato del lavoro e non pregiudica le direttive in materia di uguaglianza di trattamento tra uomini e donne;

(...)

considerando che le misure di organizzazione del lavoro a scopo di protezione della salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento non avrebbe[ro] un effetto utile se non fossero accompagnate dal mantenimento dei diritti connessi con il contratto di lavoro, compreso il mantenimento di una retribuzione e/o il versamento di un’indennità adeguata;

considerando d’altronde che le disposizioni concernenti il congedo di maternità sarebbero anch’esse senza effetto utile se non fossero accompagnate dal mantenimento dei diritti connessi con il contratto di lavoro, compreso il mantenimento di una retribuzione e/o dal versamento di un’indennità adeguata;

considerando che la nozione di indennità adeguata in caso di congedo di maternità deve essere considerata come un elemento tecnico di riferimento per fissare il livello della protezione minima e non dovrebbe in alcun caso essere interpretato nel senso di un’analogia tra la gravidanza e la malattia".

8. L’articolo 2 di detta direttiva, rubricato "Definizioni", enuncia:

"Ai fini della presente direttiva si intende per:

a) lavoratrice gestante, ogni lavoratrice gestante che informi del suo stato il proprio datore di lavoro, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali;

b) lavoratrice puerpera, ogni lavoratrice puerpera ai sensi delle legislazioni e/o prassi nazionali che informi del suo stato il proprio datore di lavoro, conformemente a dette legislazioni e/o prassi;

c) lavoratrice in periodo di allattamento, ogni lavoratrice in periodo di allattamento ai sensi delle legislazioni e/o prassi nazionali, che informi del suo stato il proprio datore di lavoro, conformemente a dette legislazioni e/o prassi".

9. L’articolo 8 della medesima direttiva, rubricato "Congedo di maternità", prevede:

"1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le lavoratrici di cui all’articolo 2 fruiscano di un congedo di maternità di almeno quattordici settimane ininterrotte, ripartite prima e/o dopo il parto, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali.

2. Il congedo di maternità di cui al paragrafo 1 deve includere un congedo di maternità obbligatorio di almeno due settimane, ripartite prima e/o dopo il parto, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali".

10. L’articolo 11, punti da 1 a 3, di questa stessa direttiva, rubricato "Diritti connessi con il contratto di lavoro", dispone:

"Per garantire alle lavoratrici ai sensi dell’articolo 2 l’esercizio dei diritti di protezione della sicurezza e della salute riconosciuti nel presente articolo:

1) nei casi contemplati agli articoli 5, 6 e 7, alle lavoratrici di cui all’articolo 2 devono essere garantiti, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, i diritti connessi con il contratto di lavoro, compreso il mantenimento di una retribuzione e/o il versamento di un’indennità adeguata;

2) nel caso contemplato all’articolo 8, devono essere garantiti:

a) i diritti connessi con il contratto di lavoro delle lavoratrici di cui all’articolo 2, diversi da quelli specificati nella lettera b) del presente punto;

b) il mantenimento di una retribuzione e/o il versamento di un’indennità adeguata alle lavoratrici di cui all’articolo 2;

3) l’indennità di cui al punto 2), lettera b) è ritenuta adeguata se assicura redditi almeno equivalenti a quelli che la lavoratrice interessata otterrebbe in caso di interruzione delle sue attività per motivi connessi allo stato di salute, entro il limite di un eventuale massimale stabilito dalle legislazioni nazionali".

 Diritto italiano

11. L’articolo 3, primo comma, della legge del 19 febbraio 1981, n. 27, Provvidenze per il personale di magistratura (GURI n. 52 del 21 febbraio 1981; in prosieguo: la "legge n. 27/81"), prevede il versamento di una speciale indennità giudiziaria a favore dei magistrati ordinari italiani, in relazione agli oneri che gli stessi incontrano nello svolgimento della loro attività professionale (in prosieguo: la "speciale indennità giudiziaria").

12. Fino al 31 dicembre 2004, le magistrate ordinarie in congedo di maternità obbligatorio non erano ammesse al beneficio di detta indennità. Al riguardo, l’articolo 3, primo comma, della legge n. 27/81 (in prosieguo: la "versione iniziale dell’articolo 3, primo comma, della legge n. 27/81"), enunciava:

"Fino all’approvazione di una nuova disciplina del trattamento economico del personale di cui alla legge 2 aprile 1979, n. 97, è istituita a favore dei magistrati ordinari, in relazione agli oneri che gli stessi incontrano nello svolgimento della loro attività, a decorrere dal 1° luglio 1980, una speciale indennità non pensionabile, pari a L. 4.400.000 annue, da corrispondersi in ratei mensili con esclusione dei periodi di congedo straordinario, di aspettativa per qualsiasi causa, di assenza obbligatoria o facoltativa previsti negli articoli 4 e 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 e di sospensione dal servizio per qualsiasi causa".

13. Detta disposizione è stata modificata dall’articolo 1, comma 325, della legge del 30 dicembre 2004, n. 311, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005) (supplemento ordinario alla GURI n. 306 del 31 dicembre 2004), il quale ha esteso il diritto alla speciale indennità giudiziaria al caso di congedo di maternità obbligatorio dei magistrati ordinari (in prosieguo: la "versione modificata dell’articolo 3, primo comma, della legge n. 27/81"). Tale disposizione è entrata in vigore il 1° gennaio 2005.

 

Procedimento principale e questione pregiudiziale

14. Il 23 febbraio 2007, la sig.ra Ornano, giudice presso il Tribunale di Cagliari (Italia), ha chiesto al Ministero della Giustizia la corresponsione, in particolare, della speciale indennità giudiziaria relativamente a due periodi di congedo di maternità obbligatorio dei quali aveva beneficiato nel corso degli anni 1997/1998 e 2000/2001.

15. Con provvedimento del 30 marzo 2007, il Ministero della Giustizia ha respinto l’istanza della sig.ra Ornano, considerando che detti due periodi di congedo di maternità erano anteriori alla data di entrata in vigore della versione modificata dell’articolo 3, primo comma, della legge n. 27/81, ossia il 1° gennaio 2005, e che la modifica di legge non aveva carattere retroattivo.

16. Il 30 luglio 2007, la sig.ra Ornano ha impugnato detto provvedimento proponendo un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (Italia). Nell’ambito di un tale ricorso, l’organo giurisdizionale competente è il Consiglio di Stato (Italia).

17. Nell’ambito di detto suo ricorso, la sig.ra Ornano ha sostenuto che la versione modificata dell’articolo 3, primo comma, della legge n. 27/81 si applicava alle fattispecie verificatesi prima della data di entrata in vigore di quest’ultima e per le quali, come nel suo caso, la prescrizione non si era ancora maturata.

18. Il 9 ottobre 2007, il Ministero della Giustizia ha escluso l’applicazione retroattiva della versione modificata dell’articolo 3, primo comma, della legge n. 27/81. Esso ha osservato che il Consiglio di Stato aveva sollevato questione di legittimità costituzionale di detta versione modificata e che, a più riprese, in particolare in un’ordinanza del 13 aprile 2007, la Corte costituzionale (Italia) ha considerato che tale disposizione non era contraria alla Costituzione italiana.

19. Con nota del 13 aprile 2015, il Ministero della Giustizia ha trasmesso al Consiglio di Stato un’ordinanza della Corte costituzionale, del 14 maggio 2008, che dichiarava manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della versione iniziale dell’articolo 3, primo comma, della legge n. 27/81 nella parte in cui questa escludeva il diritto alla speciale indennità giudiziaria durante un congedo di maternità obbligatorio. Al riguardo, tale ultimo organo ha dichiarato che la versione modificata dell’articolo 3, primo comma, della legge n. 27/81 non poteva trovare applicazione a periodi anteriori all’entrata in vigore della stessa.

20. Secondo il Consiglio di Stato, va tuttavia ancora accertato se la versione iniziale dell’articolo 3, primo comma, della legge n. 27/81 sia compatibile con il diritto dell’Unione nelle varie disposizioni volte a tutelare la maternità e a garantire l’assenza di discriminazioni tra i sessi, anche sotto il profilo retributivo riferito al lavoro dipendente.

21. Al riguardo, il giudice remittente rileva che la giurisprudenza della Corte è intesa a garantire che la maternità non ponga le lavoratrici interessate in una situazione meno favorevole di quella dei loro colleghi di sesso maschile nell’ambito del rapporto di lavoro.

22. Esso aggiunge che, sempre secondo la giurisprudenza della Corte, per quanto concerne specificamente la retribuzione, la lavoratrice in congedo di maternità, benché non possa pretendere il mantenimento dell’intera retribuzione, deve conservare, oltre allo stipendio di base, il diritto a percepire le integrazioni che si ricollegano al suo status professionale.

23. Orbene, nella fattispecie, la speciale indennità giudiziaria sarebbe stata implicitamente riconosciuta dal legislatore italiano come una "componente non eventuale" della retribuzione dei magistrati ordinari, e comunque del tutto indipendente dal collocamento in congedo obbligatorio, come enuncia la legge del 30 dicembre 2004, n. 311, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005), la quale ha appunto esteso tale indennità ai periodi di servizio trascorsi in congedo di maternità obbligatorio.

24. Alla luce di quanto sopra, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

"1) Se l’art. 11, paragrafo 1 nn.1, 2 lett. b), 3 e l’ultimo e penultimo considerando della direttiva [92/85], nonché [l’art. 119 del Trattato CE (divenuto articolo 141 CE), l’art. 120 del Trattato CE (divenuto articolo 142 CE)], ove prescrive che "gli Stati membri si adoperano a mantenere l’equivalenza esistente nei regimi di congedo retribuito"; gli artt. 2, paragrafo 2, lettera c), e 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva [2006/54], in combinato disposto tra loro, nonché l’art. 15 ed il 23° e 24° considerando della direttiva [2006/54], ed infine l’art. 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (...), ostino ad una normativa nazionale che, ai sensi dell’art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27, nel testo anteriore alla modifica introdotta dall’art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, non consenta di corrispondere l’indennità ivi prevista per i periodi di congedo obbligatorio per maternità anteriori al 1° gennaio 2005".

25. Con ordinanza del presidente della Corte del 12 agosto 2015, la domanda del giudice remittente diretta a sottoporre il presente rinvio pregiudiziale a un procedimento accelerato ai sensi dell’articolo 23 bis dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e dell’articolo 105 del regolamento di procedura della Corte è stata respinta.

 

Sulla questione

26. Con la sua questione il giudice remittente domanda, in sostanza, se il diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, ai sensi della quale, nell’ipotesi di un periodo di congedo di maternità obbligatorio anteriore al 1° gennaio 2005, una magistrata ordinaria è esclusa dal beneficio di un’indennità relativa agli oneri che i magistrati ordinari incontrano nello svolgimento della loro attività professionale.

27. In limine, occorre rilevare che, come risulta dall’ordinanza di rinvio, i fatti del procedimento principale si sono svolti nel corso degli anni 1997/1998 e 2000/2001, durante i quali la sig.ra Ornano ha beneficiato di congedi di maternità obbligatori. La questione deferita va esaminata, pertanto, alla luce delle disposizioni del diritto dell’Unione in vigore in quei lassi di tempo, segnatamente la direttiva 92/85, l’articolo 119 del Trattato CE (divenuto articolo 141 CE) e la direttiva 75/117.

 

Sulla direttiva 92/85

28. Nella fattispecie, avendo la sig.ra Ornano beneficiato dei due congedi obbligatori a titolo di maternità, occorre interpretare i punti 2, lettera b), e 3 dell’articolo 11 della direttiva 92/85, relativi al congedo di maternità, ma non il punto 1 del medesimo articolo 11, parimenti menzionato dal giudice remittente. Infatti, tale ultimo punto, che fa riferimento agli articoli da 5 a 7 della direttiva in parola, riguarda le lavoratrici gestanti e quelle in periodo di allattamento, ossia fattispecie differenti da quella oggetto del procedimento principale.

29. Al riguardo, l’articolo 11, punto 2, lettera b), della direttiva 92/85 prevede che, in caso di congedo di maternità, debba essere garantito alle lavoratrici il mantenimento di una retribuzione e/o il versamento di un’indennità adeguata. L’articolo 11, punto 3, della medesima direttiva precisa che la prestazione di cui al punto 2, lettera b), è ritenuta adeguata se assicura redditi perlomeno equivalenti a quelli che la lavoratrice interessata otterrebbe in caso di interruzione delle sue attività per motivi connessi allo stato di salute, nei limiti di un eventuale massimale stabilito dalle legislazioni nazionali.

30. La nozione di "retribuzione" espressa all’articolo 11 della direttiva 92/85 include, alla stregua della definizione enunciata all’articolo 119 del Trattato CE (ora articolo 141 CE), i vantaggi che il datore di lavoro paga direttamente o indirettamente, durante il congedo di maternità, in ragione dell’impiego della lavoratrice. La nozione di "indennità", anch’essa espressa in detto articolo 11, comprende, invece, qualsiasi reddito la lavoratrice percepisca durante il congedo di maternità e non le sia versato dal datore di lavoro in forza del rapporto di lavoro (v., in tal senso, sentenze del 27 ottobre 1998, Boyle e a., C‑411/96, EU:C:1998:506, punto 31, nonché del 1° luglio 2010, Parviainen, C‑471/08, EU:C:2010:391, punto 35).

31. Secondo costante giurisprudenza della Corte, le lavoratrici non possono, tuttavia, utilmente evocare il beneficio delle disposizioni di cui all’articolo 11, punti 2 e 3, della direttiva 92/85 per rivendicare il mantenimento della loro retribuzione integrale, durante il congedo di maternità, come se fossero effettivamente presenti sul posto di lavoro, al pari degli altri lavoratori (v., in tal senso, sentenze del 13 febbraio 1996, Gillespie e a., C‑342/93, EU:C:1996:46, punto 20; del 30 marzo 2004, Alabaster, C‑147/02, EU:C:2004:192, punto 46, nonché del 1° luglio 2010, Gassmayr, C‑194/08, EU:C:2010:386, punto 82).

32. Occorre perciò distinguere la nozione di "retribuzione" di cui all’articolo 11, punti 2 e 3, della direttiva 92/85 dalla nozione di "retribuzione integrale" percepita quando la lavoratrice è effettivamente presente sul posto di lavoro e che, eventualmente, comprende la speciale indennità giudiziaria, la quale è correlata agli oneri che i magistrati ordinari incontrano nello svolgimento della loro attività professionale.

33. Al riguardo, come emerge dalla direttiva 92/85 e dalla giurisprudenza della Corte, il legislatore dell’Unione ha voluto garantire che la lavoratrice fruisca, durante il congedo di maternità, di un reddito di importo perlomeno equivalente a quello della prestazione prevista dalle normative previdenziali nazionali in caso di interruzione dell’attività lavorativa per motivi di salute (v., in tal senso, sentenze del 27 ottobre 1998, Boyle e a., C‑411/96, EU:C:1998:506, punto 32; del 1° luglio 2010, Gassmayr, C‑194/08, EU:C:2010:386, punto 83, nonché del 13 febbraio 2014, TSN e YTN, C‑512/11 e C‑513/11, EU:C:2014:73, punto 36).

34. Quando una lavoratrice è assente dal lavoro perché fruisce di un congedo di maternità, la tutela minima imposta dall’articolo 11, punti 2 e 3, della direttiva 92/85 non comporta, quindi, il mantenimento integrale della retribuzione dell’interessata (sentenza del 1° luglio 2010, Gassmayr, C‑194/08, EU:C:2010:386, punto 86).

35. Tuttavia, tale direttiva, che contiene prescrizioni minime, non esclude affatto la facoltà degli Stati membri di garantire a dette lavoratrici una tutela più elevata, mantenendo o introducendo misure di tutela più favorevoli alle lavoratrici, a condizione che queste siano compatibili con le disposizioni del diritto dell’Unione. Nessuna disposizione della direttiva 92/85 impedisce, dunque, agli Stati membri o, eventualmente, alle parti sociali di prevedere il mantenimento di tutti gli elementi della retribuzione ai quali la lavoratrice gestante aveva diritto prima della sua gravidanza e del suo congedo di maternità (sentenze del 1° luglio 2010, Gassmayr, C‑194/08, EU:C:2010:386, punto 88, nonché del 13 febbraio 2014, TSN e YTN, C‑512/11 e C‑513/11, EU:C:2014:73, punto 37).

36. Di conseguenza, risulta dall’articolo 11, punti 2, lettera b), e 3, della direttiva 92/85 che, qualora lo Stato membro interessato non abbia previsto il mantenimento di tutti gli elementi della retribuzione ai quali una magistrata ordinaria aveva diritto prima del suo congedo di maternità, nell’ipotesi di un periodo di congedo di maternità obbligatorio anteriore al 1° gennaio 2005, il datore di lavoro di detta lavoratrice non è tenuto a corrisponderle un’indennità relativa agli oneri che i magistrati ordinari incontrano nello svolgimento della loro attività professionale; ciò a condizione che tale lavoratrice abbia ricevuto durante detto periodo un reddito di importo perlomeno equivalente a quello della prestazione, prevista dalla normativa previdenziale nazionale, che avrebbe percepito in caso di interruzione delle sue attività professionali per motivi di salute, circostanza che spetta al giudice remittente verificare.

 Sull’articolo 119 del Trattato CE (divenuto articolo 141 CE) e sulla direttiva 75/117

37. In limine, occorre rilevare che, durante i periodi di congedo di maternità della sig.ra Ornano, era in vigore l’articolo 119 del Trattato CE, divenuto, dal 1° maggio 1999, l’articolo 141 CE.

38. Come enunciato al punto 30 della presente sentenza, essendo fondati sul rapporto di lavoro, i vantaggi che il datore di lavoro paga, in forza delle disposizioni di legge o di un contratto di lavoro, a una lavoratrice durante il congedo di maternità costituiscono una retribuzione ai sensi dell’articolo 119 del Trattato CE (divenuto articolo 141 CE) e dell’articolo 1 della direttiva 75/117 (sentenze del 13 febbraio 1996, Gillespie e a., C‑342/93, EU:C:1996:46, punto 14, nonché del 27 ottobre 1998, Boyle e a., C‑411/96, EU:C:1998:506, punto 38).

39. Tuttavia, secondo una costante giurisprudenza della Corte, sussiste una discriminazione quando si applicano norme diverse a situazioni comparabili oppure la stessa norma a situazioni diverse (sentenza del 13 febbraio 1996, Gillespie e a., C‑342/93, EU:C:1996:46, punto 16 e giurisprudenza citata). Ebbene, le donne che fruiscono di un congedo di maternità previsto dalla normativa nazionale si trovano in una situazione specifica che implica che venga loro concessa una tutela speciale, ma che non può essere assimilata a quella di un uomo né a quella di una donna effettivamente presente sul posto di lavoro (sentenza del 13 febbraio 1996, Gillespie e a., C‑342/93, EU:C:1996:46, punto 17).

40. Pertanto, il principio della parità delle retribuzioni tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile, sancito dall’articolo 119 del Trattato CE (divenuto articolo 141 CE) e precisato dalla direttiva 75/117, non impone l’obbligo di mantenere la retribuzione integrale delle lavoratrici durante il loro congedo di maternità né stabilisce criteri specifici per determinare l’importo delle indennità che vengono loro corrisposte durante detto periodo, sempre che tale importo non sia stabilito a un livello che comprometta la finalità del congedo di maternità. Nondimeno, se il calcolo di dette indennità si fonda sullo stipendio riscosso dalla lavoratrice prima dell’inizio del congedo di maternità, il loro importo dovrà comprendere, dal momento della loro entrata in vigore, gli aumenti di stipendio decisi tra l’inizio del periodo retribuito con gli stipendi di riferimento e la fine del congedo di maternità (sentenza del 13 febbraio 1996, Gillespie e a., C‑342/93, EU:C:1996:46, punto 25).

41. Risulta da detta giurisprudenza che il mero fatto che una magistrata ordinaria non benefici della speciale indennità giudiziaria durante un periodo di congedo di maternità obbligatorio, a differenza dei colleghi di sesso maschile in attività, non costituisce una discriminazione basata sul sesso, ai sensi dell’articolo 119 del Trattato CE (divenuto articolo 141 CE) e dell’articolo 1 della direttiva 75/117.

42. Occorre aggiungere che, alla luce della giurisprudenza citata al punto 40 della presente sentenza, nel caso in cui la lavoratrice interessata abbia beneficiato di un reddito di importo perlomeno equivalente a quello della prestazione, prevista dalla normativa previdenziale dello Stato membro interessato, che avrebbe percepito in caso di interruzione delle sue attività per motivi di salute, ai sensi dell’articolo 11, punti 2, lettera b), e 3, della direttiva 92/85, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare, non si può ritenere che tale reddito sia stato stabilito a un livello che compromette la finalità del congedo di maternità.

43. Peraltro, nei limiti in cui, come ricordato al punto 38 della presente sentenza, i vantaggi che il datore di lavoro paga durante un congedo di maternità costituiscono una retribuzione ai sensi dell’articolo 119 del Trattato CE (divenuto articolo 141 CE) e dell’articolo 1 della direttiva 75/117, tale retribuzione non può essere compresa nella sfera d’applicazione della direttiva 76/207. Infatti, come emerge in particolare dal suo secondo considerando, quest’ultima direttiva non riguarda la retribuzione (v., in tal senso, sentenze del 13 febbraio 1996, Gillespie e a., C‑342/93, EU:C:1996:46, punto 24, nonché del 27 ottobre 1998, Boyle e a., C‑411/96, EU:C:1998:506, punto 38). Non vi è dunque luogo a esaminare la presente controversia in riferimento alla direttiva 76/207.

44. Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 119 del Trattato CE (divenuto articolo 141 CE), l’articolo 1 della direttiva 75/117 nonché l’articolo 11, punti 2, lettera b), e 3, della direttiva 92/85 devono essere interpretati nel senso che, qualora lo Stato membro interessato non abbia previsto il mantenimento di tutti gli elementi della retribuzione ai quali una magistrata ordinaria aveva diritto prima del suo congedo di maternità, essi non ostano a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, ai sensi della quale, nell’ipotesi di un periodo di congedo di maternità obbligatorio anteriore al 1° gennaio 2005, una magistrata ordinaria è esclusa dal beneficio di un’indennità relativa agli oneri che i magistrati ordinari incontrano nello svolgimento della loro attività professionale; ciò a condizione che tale lavoratrice abbia beneficiato durante detto periodo di un reddito di importo perlomeno equivalente a quello della prestazione, prevista dalla normativa previdenziale nazionale, che avrebbe percepito in caso di interruzione delle sue attività per motivi di salute, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare.

 

Sulle spese

45. Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

P.Q.M.

 

Dichiara:

L’articolo 119 del Trattato CE (divenuto articolo 141 CE), l’articolo 1 della direttiva 75/117/CEE del Consiglio, del 10 febbraio 1975, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile, nonché l’articolo 11, punti 2, lettera b), e 3, della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE), devono essere interpretati nel senso che, qualora lo Stato membro interessato non abbia previsto il mantenimento di tutti gli elementi della retribuzione ai quali una magistrata ordinaria aveva diritto prima del suo congedo di maternità, essi non ostano a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, ai sensi della quale, nell’ipotesi di un periodo di congedo di maternità obbligatorio anteriore al 1° gennaio 2005, una magistrata ordinaria è esclusa dal beneficio di un’indennità relativa agli oneri che i magistrati ordinari incontrano nello svolgimento della loro attività professionale; ciò a condizione che tale lavoratrice abbia beneficiato durante detto periodo di un reddito di importo perlomeno equivalente a quello della prestazione, prevista dalla normativa previdenziale nazionale, che avrebbe percepito in caso di interruzione delle sue attività per motivi di salute, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare.