Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 07 novembre 2016, n. 22545

Lavoro - Licenziamento - Indennità supplementare - CCNL per i dirigenti del terziario - Sstato di crisi della società al tempo del licenziamento

Svolgimento del processo

 

Con sentenza n. 7862/2012, depositata il 13/2/013, la Corte di appello di Roma respingeva il gravame proposto da S.P. nei confronti della sentenza del Tribunale di Roma che ne aveva respinto la domanda diretta all'accertamento del carattere ingiustificato del licenziamento intimatogli in data 24/10/2008 dalla S.I. s.r.l. e alla condanna della società al pagamento dell'indennità supplementare di cui al CCNL per i dirigenti del terziario.

La Corte considerava raggiunta, alla luce delle produzioni documentali e delle testimonianze assunte, la prova dei fatti posti a giustificazione del recesso, e cioè dell'esistenza nel periodo 2007-2008 di una situazione congiunturale dell'azienda gravemente sfavorevole, in particolare osservando come le rilevanti perdite emergenti da successivi conti profitti e perdite avessero determinato la controllante S.L. a rinunciare a propri crediti nei confronti di S.I., contabilmente attuata mediante emissione di note di credito che avevano riportato in pareggio il bilancio della società controllata.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il P. con sei motivi, assistiti da memoria; la società ha resistito con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo, deducendo la violazione dell'art. 2697 c.c. anche in relazione all'art. 416 c.p.c. nonché agli artt. 1175 e 1375 c.c. in ordine alla "giustificatezza" del recesso (art. 360 n. 3 c.p.c.), il ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia ritenuto dimostrato un effettivo stato di crisi della società al tempo del licenziamento, conferendo rilievo a tal fine ai documenti mensili concernenti l'andamento dei profitti e delle perdite e alle note di credito emesse dalla società controllante inglese e così erroneamente attribuendo autonomo rilievo probatorio ad atti interni, che potevano e dovevano invece valutarsi solo come elementi destinati naturalmente a confluire nel più generale resoconto dello stato economico costituito dal bilancio di esercizio, il quale aveva posto in evidenza, per l'anno 2008, un risultato di sostanziale pareggio. Con il secondo motivo, deducendo omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (art. 360 n. 5), il ricorrente si duole che la sentenza impugnata sia pervenuta al rigetto dell'appello senza che in alcun punto della sua motivazione risultasse accertato che la società datrice di lavoro versava realmente in una situazione di crisi, come descritto nella lettera di comunicazione del licenziamento, e senza considerare che l'emissione delle note di credito da parte della società madre, oltre che irrilevante perché destinata a confluire nelle vicende formative del bilancio, rappresentava un'operazione svolta da un soggetto terzo ed espressione della libertà imprenditoriale di formulare accordi tra società distinte.

Con il terzo motivo, deducendo la violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all'art. 2425 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.), il ricorrente lamenta il difetto di prova circa l'effettiva esistenza delle note di credito nel bilancio della società e altresì di sostegno probatorio in ordine alla conclusione, secondo la quale le relative operazioni fossero tali da determinare un utile di bilancio, incidendo esse sui costi di gestione e non sui proventi aziendali.

Con il quarto motivo il ricorrente, deducendo la violazione dell'art. 2722 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.), si duole che sia stato dato ingresso alla prova testimoniale sulle ragioni che avevano condotto all'emissione delle note di credito, in quanto tali documenti integravano accordi di contenuto differente e precedente rispetto a quanto emerso dal bilancio.

Con il quinto motivo il ricorrente, deducendo omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti (art. 360 n. 5 c.p.c.), lamenta che la Corte di appello non si sia avveduta che i testi sentiti in relazione alle ragioni della emissione delle note di credito non avevano conoscenza diretta dei fatti e che le deposizioni dagli stessi rese erano smentite dalla prova contraria e documentale rappresentata dal bilancio.

Con il sesto motivo, deducendo la nullità della sentenza in relazione all'art. 112 c.p.c., il ricorrente si duole infine che la Corte non si sia pronunciata su diverse censure proposte con il ricorso in appello.

Il secondo e il quinto motivo, che possono esaminarsi congiuntamente, per identità di questioni connesse con il vizio dedotto, risultano inammissibili.

Entrambi i motivi in esame, infatti, non si conformano allo schema normativo del nuovo art. 360 n. 5 c.p.c., quale risultante dalla modifica introdotta con il decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito in I. 7 agosto 2012, n. 134, pur in presenza di sentenza di appello depositata in data 13/2/2013 e, pertanto, in data posteriore all'entrata in vigore della novella legislativa (11 settembre 2012).

Come precisato da questa Corte a Sezioni Unite con le sentenze 7 aprile 2014 n. 8053 e n. 8054, l'art. 360 n. 5, così come riformulato, introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4 c.p.c., il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

I motivi primo e terzo devono ritenersi egualmente inammissibili, posto che le ragioni, sulle quali si fondano, implicano l'esame e la risoluzione di questioni che, attenendo al merito della controversia (valore da attribuirsi, in relazione alle risultanze del bilancio di esercizio, ai documenti di conto economico e alle note di credito; prova dell'effettiva esistenza di queste ultime e loro incidenza), sono estranee alla competenza di questa Corte di legittimità.

Non risulta, d'altra parte (e, per la verità, non risulta neppure dedotto dal ricorrente), che la Corte territoriale sia incorsa in una violazione delle regole di riparto dell'onere della prova stabilite dall'art. 2697, richiamato nelle rubriche di entrambi i motivi, come è da escludere, quanto al primo, che il giudice di appello si sia discostato dai principi di diritto elaborati in tema di licenziamento del dirigente, dovendosi in ogni caso rilevare, sul punto, come il motivo non proceda ad enucleare, come pur necessario, i passaggi motivazionali della sentenza in cui tale scostamento si sarebbe manifestato.

Il quarto motivo è infondato.

E', infatti, consolidato l'orientamento, secondo il quale "il potere del giudice del lavoro di ammettere mezzi di prova in deroga ai limiti posti dal codice civile (quale specificamente il divieto di cui all'art. 2722 di ammissione di prova per testimoni su patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento), previsto dall'art. 421, co. 2°, c.p.c., ha carattere discrezionale e quindi la determinazione assunta dal giudice di merito di ammettere o meno la prova, così come quella di tenere conto o no della prova assunta al di fuori dei suddetti limiti, si sottrae al sindacato di legittimità": Cass. n. 10739/1996; conformi Cass. n. 6245/1999 e n. 588/2002.

Il sesto motivo è inammissibile, risolvendosi - al di là della formale deduzione di un error in procedendo - in una critica della completezza e congruità logica del percorso motivazionale seguito dal giudice di appello e cioè del ragionamento che lo ha condotto alla decisione adottata: critica che, ricorrendone i presupposti (quali sopra precisati, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte), avrebbe potuto trovare ingresso esclusivamente nell'ambito del "nuovo" vizio motivazionale.

Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.