Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 15 giugno 2017, n. 14873

Licenziamento - Soppressione del posto di lavoro - Crisi aziendale - Sussistenza - Accertamento

 

Rilevato

 

che con sentenza 7 luglio 2014, la Corte d'appello di Cagliari dichiarava legittimo il licenziamento intimato il 29 aprile 2005 a D. A. da S. L. s.r.l.: così parzialmente riformando la sentenza di primo grado, per la parte di accertamento della sua illegittimità e di pronuncia delle coerenti condanne reintegratoria e risarcitone, ritenendo effettiva la sussistenza di una crisi aziendale, ben giustificante la soppressione del suo posto di lavoro; e confermandola invece nella condanna della società datrice al pagamento, in favore della lavoratrice, della complessiva somma di € 3.631,25 oltre accessori, a titolo di differenze retributive (€ 3.156,31 per maggiore qualifica contrattuale, corrispondente alle mansioni svolte) e di straordinario prestato (€ 474,94);

che avverso tale sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso con sette motivi, cui la datrice ha resistito con controricorso;

che è stata depositata memoria dalla lavoratrice ricorrente;

 

Considerato

 

che la ricorrente deduce omesso esame di fatti decisivi e controversi, quali lo sviluppo positivo della situazione economico-finanziaria della società datrice e la relazione fisiologica tra l'aumento del fatturato e il proporzionale conforme aumento dei costi nel periodo 2002 - 2005, con una progressiva riduzione dell'incidenza dei secondi sul primo (primo motivo); violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per mancata considerazione delle nozioni di fatto, di comune esperienza, del proporzionale e coerente aumento dei costi con quello dell'attività produttiva e della situazione sfavorevole non contingente di un'impresa in caso di riduzione dei ricavi a parità di costi o di maggior incremento di questi rispetto a quelli, anche per costi straordinari o imprevisti non assorbibili nel normale ciclo dell'attività caratteristica, oltre che per omessa valutazione dell'aumento dei ricavi in misura maggiore dei costi (secondo motivo); omesso esame dei seguenti fatti decisivi: investimento sul piano occupazionale con assunzione nel 2002 di sei tecnici e di un altro nel 2003 con contratti di formazione e lavoro, trasformati nel 2004 (i primi sei) in rapporti di lavoro a tempo indeterminato e l'ultimo nel 2005 (terzo motivo); molteplicità di mansioni svolte dalla lavoratrice, desumibili dall' Istruzione Operativa IOP n. 7.5.8 e dall'Organigramma S. s.r.l. e marginalità e accessorietà della fatturazione per PE 92 (quarto motivo); persistenza dell'attività produttiva di S. nella zona di Sassari e dell'impegno ivi dei tecnici anche dopo la rinuncia ad un locale di servizio ed appoggio, loro costante riferimento per le questioni amministrative sempre alla sede di Cagliari e caricamento dalla ricorrente dei loro rapporti sugli interventi nella zona di Sassari, in cui mai è stata ubicata né una sede né una filiale (quinto motivo); collegamento di S. L. s.r.l. con Promos, altra ditta del suo amministratore, comportanti a carico della prima un costo di personale a servizio esclusivo della seconda, implicante un doveroso accertamento, omesso, del rapporto tra relativi costi e benefici e della sua incidenza sulla situazione di S. (sesto motivo); nullità della sentenza per inesistenza o apparenza della motivazione, in violazione dell'art. 132, n. 4 c.p.c., considerati i limiti di denuncia del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., in riferimento ai fatti decisivi di crisi aziendale, chiusura del locale in Sassari, mansioni della lavoratrice a servizio di PE 92, soppressione della sua posizione lavorativa, onerosità del collegamento della datrice con Promos (settimo motivo); che ritiene il collegio che tutti i motivi, congiuntamente esaminabili, siano inammissibili;

che, infatti, quelli denuncianti omissione di esame di fatti decisivi difettano di decisività, come provato dalla stessa loro concorrente molteplicità (sintomatica dell’esclusione per ognuno dell'idoneità ex se alla risoluzione della controversia): esame neppure omesso, avendolo in realtà la Corte territoriale puntualmente compiuto (al quarto e quinto capoverso di pg. 6 della sentenza di quello oggetto del primo motivo; dal primo periodo al secondo capoverso di pg. 7 di quelli oggetto del terzo e quarto; all'ultimo capoverso di pg. 6 di quello oggetto del quint’ultimo capoverso di pg. 7 al primo di pg. 8 di quello oggetto del sesto); che essi esorbitano (in realtà riguardando, non già l'omesso esame di un fatto storico, ma piuttosto la valutazione derivante dalla lamentata pretermissione degli elementi istruttori scrutinati con i vari mezzi, compreso il secondo, sostanzialmente inteso a sollecitare una rivisitazione nel merito dell'accertamento in fatto e della sottostante valutazione probatoria, insindacabili in sede di legittimità, ove, come nel caso di specie, congruamente motivati: Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 7 gennaio 2009, n. 42; Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412) dal perimetro di denunciabilità delimitato dal novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., applicabile ratione temporis;

che esso è, infatti, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (nel senso che, qualora esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie: con la conseguente preclusione nel giudizio di cassazione dell'accertamento dei fatti ovvero della loro valutazione a fini istruttori;

che detta riformulazione deve allora essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicché è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale (che si esaurisce in particolare nella "motivazione apparente", oltre che nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione), che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439);

che tale profilo di risultanza dell'apparenza di motivazione esclusivamente dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, rende evidente l'inammissibilità anche del settimo motivo, di censura in tale senso per violazione dell'art. 132, n. 4 c.p.c., inconfigurabile per la piena idoneità delle argomentazioni a rivelare la ratio decidendi, con ciò ribadendo l'insussistenza di una mera apparenza della motivazione (Cass. 8 gennaio 2009, n. 161): pure in linea con l'indirizzo di questa Corte;

che, infatti, ritiene legittimo il licenziamento per ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento della stessa, in esse comprese anche quelle attinenti ad una migliore efficienza gestionale o produttiva ovvero dirette ad un aumento della redditività di impresa (anche se nel caso di specie rappresentata comunque una condizione di crisi), una volta che ne sia stata verificata l'effettività del ridimensionamento e del nesso causale tra la ragione addotta e la( soppressione del posto di lavoro del dipendente licenziato: nella pertinenza al sindacato giudiziale di un tale accertamento di ricorrenza (e non pretestuosità) delle ragioni stabilite dall'art. 3 I. 604/1966, senza alcuna indebita interferenza sull'insindacabile autonomia imprenditoriale (Cass. 7 dicembre 2016, n. 25201); che pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che le spese vengono regolate secondo il regime di soccombenza come da dispositivo; che sussistono la condizioni di cui all’art. 13 comma 1 quater d.p.r. 115 del 2002;

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna D. A. alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre il rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma l quater d.p.r. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.