Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 20 giugno 2019, n. 16576

Tributi - PREU - Evasione - Apparecchi intrattenimento e divertimento di cui all'art. 110, co. 6, del TULPS privi di nulla osta e non collegati alla rete telematica - Responsabilità solidale dell’esercnte - Socio accomandatario illimitatamente responsabile

 

Rilevato che

 

- con sentenza n. 403/36/2016, depositata in data 22 gennaio 2016, la Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l'appello proposto da P.A.E., nella sua qualità di ex socio, illimitatamente e solidalmente responsabile per le obbligazioni della L.D.C. s.a.s. di P.A.E. & C. nei confronti dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano n. 1631/15/2015 che aveva rigettato il ricorso proposto dalla società L.D.C. s.a.s. di P.A.E. & C. avverso l'avviso di accertamento n. 7886 del 31 gennaio 2012 con il quale l'Amministrazione aveva recuperato nei confronti di quest'ultima, quale esercente i locali nei quali erano stati installati due apparecchi Star Gate di intrattenimento e divertimento di cui all'art. 110, comma 6, del TULPS risultati privi del prescritto nulla osta e non collegati alla rete telematica, l'evaso prelievo erariale unico (PREU), oltre a interessi e sanzioni, per l'anno 2008;

- la CTR, nel rigettare l'appello, confermando la sentenza di primo grado, aveva ribadito, ai sensi dell'art. 39-quater, comma 2, del d.l. n. 269 del 2003, convertito dalla legge n. 326 del 2003, la responsabilità solidale per il tributo evaso dell'esercente i locali nel quale erano stati installati i macchinari e aveva, altresì, aggiunto, quanto all'eccepita buona fede dell'esercente, che l'appellante non poteva non sapere che i due apparecchi in questione erano privi del nulla osta di esercizio, stante la inesistenza delle relative targhette identificatrici, tenuto conto che, come risultato dal verbale del 12 maggio 2008, nella rivendita intestata alla società, erano presenti altri tre apparecchi perfettamente regolari;

- avverso la sentenza della CTR, P.A.E., nella sua qualità di ex socio, illimitatamente e solidalmente responsabile per le obbligazioni della L.D.C. s.a.s. di P.A.E. & C., propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui resiste, con controricorso, l'Agenzia delle dogane;

- il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale U.D.A. ha depositato conclusioni scritte per il rigetto del ricorso;

- il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 375, secondo comma, e dell'art. 380-bis.1 cod. proc. civ., introdotti dall'art. 1-bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.

 

Considerato che

 

- con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l'illogicità della motivazione della sentenza impugnata, per avere la CTR escluso la buona fede dell'esercente i locali nei quali erano stati rinvenuti i due apparecchi da gioco, risultati privi di nulla osta e non collegati alla rete telematica, sulla base della circostanza che nei detti locali fossero presenti come da verbale del 12 maggio 2008 - altri tre apparecchi perfettamente regolari, senza che tale fatto conducesse necessariamente all'asserita mancanza di buona fede;

- con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. l'omessa e insufficiente motivazione in ordine alle prove (dichiarazioni rilasciate dal P. al momento della verifica fiscale in data 12 maggio 2008 e in sede di lettura degli apparecchi il 23 giugno 2011; le fatture quietanzate a V. Giochi, nel corso del 2008, e relative a tutti gli apparecchi installati presso i locali dell'esercente; il contratto stipulato tra esercente e gestore V. Giochi etc.) addotte dall'appellante a sostegno della propria buona fede e alle ragioni che avevano indotto la CTR a disattenderle;

- i motivi- da trattare congiuntamente per connessione - sono inammissibili;

- in primo luogo, i motivi si profilano inammissibili, in quanto le censure formulate in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. sotto il profilo della illogicità della motivazione (primo motivo) e della omessa/insufficiente motivazione (il secondo motivo) non risultano rispondenti all'archetipo del nuovo n. 5 del comma 1 dell'art. 360 c.p.c., (come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie, per essere stata la sentenza di appello depositata in data 22 gennaio 2016) - secondo cui è denunciabile "l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti";

- invero, anche a volere ricondurre la formulazione del secondo motivo al vizio specifico di cui all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., nuova formulazione, va ribadito che quest'ultimo concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. e dell'art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c. il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015).

- nella specie, il motivo è inammissibile, in quanto il ricorrente non ha assolto il suddetto onere, essendo stato, peraltro, dedotto l'omesso esame non già di un "fatto storico", ma bensì di profili attinenti alle risultanze probatorie, la rivalutazione delle quali è preclusa a questa Corte;

- in ogni caso, la censura è inammissibile, stante l'applicabilità alla sentenza impugnata della regola della pronuncia c.d. «doppia conforme» di cui all'art. 348 ter cod. proc. civ. (applicabile ratione temporis poiché il gravame è stato proposto il 20 ottobre 2015), e della nuova formulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (essendo stata la sentenza di appello depositata il 22 gennaio 2016);

- in conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile;

- le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 2.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito;

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.