Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 27 giugno 2017, n. 15976

Licenziamento - Impugnazione - Rito Fornero - Identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza del 14.5.2015 la Corte di appello di L'Aquila dichiarava inammissibile l'appello proposto avverso il provvedimento emesso dal Tribunale di Teramo in funzione di Giudice del lavoro. La Corte territoriale ricordava che la società P.V. srl aveva proposto appello avverso la sentenza n. 1063 del 2014 che, in accoglimento del ricorso proposto da B.C., aveva annullato il recesso intimato a quest'ultima. Ora il procedimento era stato promosso ex legge n. 92/2012 e il provvedimento emesso dal Tribunale, pur definito come una sentenza, in realtà aveva la natura di ordinanza e che non era stato opposto nei termini previsti dalle cosiddetta legge Fornero che costituiva il rimedio tipico per l'impugnazione del provvedimento, con conseguente inammissibilità dell'appello anche per ragioni di ordine sistematico.

2. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la società con tre motivi; resiste controparte con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo si allega la violazione dell'art. 1 comma 51 ss. L. n. 92/0212 in relazione agli artt. 433 ss. cod. civ. proc.Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al n. 3 360 cod. civ. proc. La disciplina dell'art. 1 L. n. 92/2012 commi 58 e ss. deve essere necessariamente integrata dalle norme sull'appello.

2. Con il secondo motivo si allega la falsa applicazione dell'art. 1 comma 51 L. n. 92/2012 anche in relazione all'art. 111 Cost. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all'art. 360 n. 3 cod. civ. proc. Il comma 51 dice che si "può" proporre opposizione e la legge, ove vuole stabilire che un'ordinanza non sia impugnabile con atto di appello, lo dice in genere espressamente.

3. Con il terzo motivo si allega la violazione dell'art. 1 comma 51 e ss. in relazione agli artt. 3, 24, 25 e 111 Cost. Violazione dell'art. 100 cod. civ. proc. Error in procedendo. La seconda fase dell'opposizione è meramente eventuale ed ha la funzione di integrare un'istruttoria che si riveli carente; nel caso di specie l'istruttoria era stata espletata e tale fase non appariva di certo necessaria. Difettava un interesse ad agire.

4. I tre motivi devono essere esaminati congiuntamente in quanto con essi si contesta l'interpretazione offerta dalla Corte di appello in ordine alla necessità di un preventiva opposizione al provvedimento emesso dal Tribunale per poter proporre appello (nel cosiddetto Rito Fornero) e risultano fondati. Il Collegio richiama quanto osservato in una recente sentenza di questa Corte (Cass. n. 8467/2017) in una fattispecie del tutto analoga che si condividono e cui si intende dare continuità <<Va condiviso il principio di diritto invocato dal ricorrente a fondamento della critica formulata - risalente nella giurisprudenza di questa Corte, e che va qui ribadito - secondo cui al fine di stabilire se un provvedimento abbia natura di ordinanza o di sentenza, occorre aver riguardo, non già alla forma adottata, ma al suo contenuto, alla stregua del cosiddetto principio di prevalenza della sostanza sulla forma (vedi ex plurimis, Cass. S.U. 24/02/2005, n. 3816, Cass. 7/4/2006 n. 8174, Cass. S.U. 11/12/2007 n. 25837, Cass. 19/12/2014 n. 21217). Ed infatti secondo i numerosi dieta di questa Corte, ai fini della corretta identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale, laddove la forma adottata diverga rispetto a quella prescritta dal legislatore, non rivestono rilievo preminente le caratteristiche formali del provvedimento giurisdizionale, bensì il suo contenuto sostanziale, trattandosi di sentenza ogni qualvolta il giudicante nell'esercizio del suo potere giurisdizionale, definisca - come nel caso scrutinato - la controversia con i caratteri della decisività e definitività (cfr. ex plurimis oltre le sentenza già richiamate, più di recente Cass. 6/7/2015 n. 13923, ord.; e da ultimo Cass. 12/7/2016 n. 14222, che evidenzia anche come il provvedimento che abbia natura di sentenza e sia impropriamente denominato "ordinanza" è affetto da errore materiale ma non è nullo quale sentenza, attesi i principi di prevalenza della sostanza sulla forma e la tassatività delle nullità). Orbene la Corte distrettuale, pur muovendo da tale corretto principio, non è pervenuta a conclusioni coerenti con esso laddove ha argomentato che il provvedimento, ai sensi dell'art. 1 comma 49 l. 92 del 2012, era da ritenersi ordinanza emessa all'esito della fase sommaria di cognizione. L'assunto appare apodittico e non sorretto da adeguata ricognizione dei dati che concorrono a definire il profilo contenutistico del provvedimento scrutinato. Tale provvedimento, nello specifico, non solo reca la veste formale di sentenza, ma ne possiede anche gli elementi sostanziali qualificativi, decidendo totalmente il merito delle questioni ad essa devolute, all'esito di una cognizione che non si configura come sommaria, e che non consente quindi di conferire ad essa natura di una ordinanza, quale quella ex art. 1 comma 50 l. 92 del 2012, pur potenzialmente idonea ad acquistare una stabilità decisoria. Il primo giudice, nel pervenire alla reiezione delle domande attoree, ha infatti esplicato un'ampia ed articolata motivazione con la quale, dopo aver argomentato in ordine alla intervenuta decadenza del lavoratore dalla impugnazione del licenziamento, è addivenuto anche alla reiezione nel merito della pretesa, procedendo alla analitica disamina delle deposizioni testimoniali raccolte ed interpretate non ai fini della elaborazione di un giudizio probabilistico di verosimiglianza, ma di un giudizio di approfondita ricognizione del materiale probatorio raccolto che si sostanzia in un procedimento a cognizione piena. La circostanza che, nello specifico, il giudicante abbia inteso rendere una pronuncia avente contenuto decisorio a conclusione di una fase istruttoria a cognizione piena, e non sommaria come prospettato dalla Corte di merito, è, del resto, fatta palese dall'iter procedimentale seguito dal giudice adito il quale, escussi i testimoni addotti, ha concesso alle parti termine per note difensive sino all'udienza di discussione (in coerenza coi dettami di cui al comma 57 dell'art. 1 l. 92 del 2012 che disciplina, per l'appunto, la fase di cognizione piena del cd. rito Fornero). Del resto, il fatto che la fase sommaria e la fase di cognizione piena previste dalla legge citata costituiscano un unico giudizio la cui cognizione è devoluta anche ad un unico magistrato che ha la possibilità di conoscerle entrambe, è dato acquisito dalla giurisprudenza di questa Corte (vedi Cass. 17/2/2015 n. 3136 cui adde Cass. 3/3/2016 n. 4223), e confermato anche dal Giudice delle Leggi che, con ordinanza 20/5/2015 n. 78, dopo avere richiamato la giurisprudenza di legittimità "in termini di diritto vivente", ha evidenziato come "il fatto che entrambe le fasi di detto unico grado del giudizio possano essere svolte dal medesimo magistrato non confligge con il principio di terzietà del giudice e si rivela, invece, funzionale all'attuazione del principio del giusto processo, per il profilo della sua ragionevole durata." Sotto tale aspetto, va rimarcato come la soluzione della questione delibata nei termini descritti, sia coerente con i principi ispiratori del disegno riformatore di cui alla legge n. 92 del 2012, volto alla riduzione dei tempi necessari alle decisioni sulla legittimità dei licenziamenti; non vulneri il diritto delle parti costituzionalmente protetto, all'esercizio del diritto di difesa, che rinviene tutela a mezzo di una attività istruttoria svolta con cognizione piena e non meramente sommaria; non alteri la distribuzione degli affari fra gli uffici giudiziari, essendo comunque rispettate le regole in tema di competenza per materia e per territorio. Né i descritti approdi, appaiono in contrasto con il principio della cd. apparenza, pure invocato dalla società controricorrente e richiamato dalla Corte distrettuale a sostegno del decisum, giacché l'impugnazione della pronuncia, avente veste formale di sentenza, oltre che sostanziale, per quanto sinora detto, non si pone in discontinuità con il rispetto della procedura del rito cd. Fornero, di guisa che l'impugnazione innanzi alla Corte d'Appello va qualificata quale corretto rimedio avverso la pronuncia emessa in primo grado. Conclusione questa che appare consona - nella linea di quanto statuito dal giudice delle leggi e nel rispetto del principio della ragionevole durata del processo - alle fattispecie quali quella in esame, in cui attraverso una unificazione delle due fasi del giudizio di primo grado del cd.rito Fornero il giudice sia pervenuto - nel rispetto del diritto del contraddittorio e della difesa delle parti ad una cognizione piena ed approfondita della intera controversia, definita con pronuncia avente la forma ed il contenuto della sentenza>>.

5. Ora anche nella fattispecie in esame il provvedimento in questione è stato denominato come "sentenza" e ne possiede concretamente gli elementi sostanziali essendo stato emesso sulla base di un'istruttoria ed offrendo una chiara decisione di merito assunta in base alla detta istruttoria: dovendosi, quindi, applicare i corretti principi prima elencati cui questa Corte non ritiene di aggiungere altri elementi si deve, pertanto accogliere il ricorso e cassare la sentenza impugnata con rinvio, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di L'Aquila in diversa composizione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di L'Aquila in diversa composizione.