Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 09 gennaio 2019, n. 371

Imposte indirette - IVA - Accertamento - Riscossione - Cartella di pagamento - Notificazione

 

Rilevato che

 

- con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria Regionale ha respinto l'appello dell'Agenzia delle Entrate così confermando la pronuncia di prime cure che aveva annullato la cartella di pagamento emessa per interessi sugli importi illegittimamente compensati per IVA 2005;

- avverso la sentenza di secondo grado propone ricorso per cassazione l'Amministrazione Finanziaria con atto affidato a due motivi; resiste con controricorso la società contribuente; la stessa ha anche depositato memoria;

- con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 17 e 25 d. Lgs. n. 241 del 1997; in combinato disposto con gli artt. 8 d.P.R. 542 del 1999; 13 d. Lgs. n. 471 del 1997; 16 e 17 d. Lgs. n. 472 del 1997 tutti in relazione all'art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per aver la CTR erroneamente ritenuto non dovuti gli interessi su IVA dovuta, come richiesti nella cartella di pagamento notificata al contribuente, per superamento del c.d. "plafond" previsto in materia di compensazioni IVA, alla luce della Ris. Min. n. 218E del 5 dicembre 2003 dell'Agenzia delle Entrate, non potendo ritenersi mutato il parere dell'Amministrazione Finanziaria a seguito dell'emissione del comunicato stampa del 20 luglio 2004, che in quanto atto più difficilmente reperibile per il contribuente e comunque sprovvisto della veste di Risoluzione Ministeriale, non poteva valere quale strumento di correzione e ripensamento delle valutazioni dell'Amministrazione Finanziaria stessa;

- con il secondo motivo parte ricorrente deduce vizio motivazionale, avendo la CTR reso la decisione senza adeguato esame delle prospettazioni e argomentazioni addotte dall'Ufficio;

 

Considerato che

 

- i primi motivi possono esaminarsi congiuntamente, stante la stretta connessione logica che li avvince; gli stessi sono infondati;

- va premesso che questa Corte ha da tempo, quanto ai principi generali in tema di sanzioni come di interessi, opportunamente chiarito che (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17576 del 10/12/2002

; conforme Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 537 del 14/01/2015) in tema di legittimo affidamento del contribuente di fronte all'azione dell'Amministrazione finanziaria, ai sensi dell'art. 10, commi 1 e 2, dello Statuto del contribuente, costituisce situazione tutelabile quella caratterizzata: a) da un'apparente legittimità e coerenza dell'attività dell'Amministrazione finanziaria, in senso favorevole al contribuente; b) dalla buona fede del contribuente, rilevabile dalla sua condotta, in quanto connotata dall'assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza gravante sul medesimo; c) dall'eventuale esistenza di circostanze specifiche e rilevanti, idonee a indicare la sussistenza dei due presupposti che precedono;

- i casi di tutela espressamente enunciati dal comma secondo del cit. art. 10 (attinenti all'area della irrogazione di sanzioni e della richiesta di interessi, profilo quest'ultimo che qui ci occupa), riguardanti situazioni meramente esemplificative e legate a ipotesi ritenute maggiormente frequenti non limitano peraltro la portata generale della regola, idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti;

-si è quindi ulteriormente precisato come (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10195 del 18/05/2016

) proprio le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti ed obblighi, sicché, ove il contribuente si sia conformato ad un'interpretazione erronea fornita dall'Amministrazione finanziaria, è esclusa soltanto l'irrogazione delle relative sanzioni e degli interessi, senza alcun esonero dall'adempimento dell'obbligazione tributaria, in base al principio di tutela dell'affidamento, espressamente sancito dall'art. 10, comma 2, della I. n. 212 del 2000;

- da tali pronunce discende quindi la centralità nel sistema sanzionatorio, connesso alla richiesta degli interessi, quanto ai rapporti tra debenza delle stesse e indicazioni dell'Amministrazione Finanziaria, dell'art. 10 della legge 27 luglio 2000 n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente) - che reca la rubrica: "Tutela dell'affidamento e della buona fede. Errori del contribuente" e il quale dispone, al comma 1, che "i rapporti tra contribuente ed amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede"; la sentenza, invero, sia pur in forma assai sintetica, centra la ratio decidendi della propria motivazione proprio sulla sussistenza della buona fede del contribuente;

- il secondo comma della ridetta disposizione stabilisce, poi, che "non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell'amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall'amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell'amministrazione stessa"; pare chiaro a questa Corte che tali disposizioni debbono essere interpretate ed applicate alla luce di quanto affermato nell'art. 1 della stessa legge: "le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell'ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali" (comma primo);

- in particolare l'autoqualificazione delle disposizioni della legge come "principi generali dell'ordinamento tributario" trova puntuale rispondenza nella effettiva natura della maggior parte delle disposizioni stesse, quale si desume dal loro contenuto normativo, dal loro oggetto, dal loro scopo e dalla loro incidenza nei confronti di altre norme della legislazione e dell'ordinamento tributari, nonché dei relativi rapporti;

-con riferimento poi all’IVA, tributo armonizzato, anche la Corte di Giustizia delle Comunità europee ha da tempo e costantemente affermato che quelli della tutela del legittimo affidamento e della

certezza del diritto costituiscono principi generali del diritto e dell'ordinamento comunitari (cfr., e pluribus, CGUE, sentt. 3 maggio 1978, Gesellschaft mbH in Firma August Tòpfer & Co. ; in causa 112/77, e 21 settembre 1983; Deutsche Milchkontor GmbH e altri contro Repubblica federale di Germania; e domande di pronuncia pregiudiziale: Verwaltungsgericht Frankfurt am Main, in cause riunite 205-215/82);

- proprio in particolare attuazione di tali principi, e con specifico riferimento alla fattispecie, la Corte comunitaria - sulla base della premessa, secondo cui il diritto di esigere la tutela del legittimo affidamento si estende a chiunque si trovi in una situazione dalla quale risulti che l'amministrazione comunitaria gli ha dato aspettative fondate (CGUE, sent. 19 maggio 1983, Vassilis Mavridis contro Parlamento europeo, in causa 289/81; nonché Tribunale di primo grado, sent. 17 dicembre 1998, in causa T- 203/96) - ha stabilito, tra l'altro, che la revoca di un atto amministrativo favorevole è generalmente soggetto a condizioni molto rigorose; sicché - pur se è innegabile che ogni istituzione comunitaria, la quale accerta che un atto da essa emanato è viziato da illegittimità, ha il diritto di revocarlo entro un termine ragionevole con effetto retroattivo - tale diritto può essere limitato dalla necessità di rispettare il legittimo affidamento del destinatario dell'atto, che può aver fatto affidamento sulla legittimità dello stesso, allorquando nessun interesse di ordine pubblico prevale sull'interesse del destinatario a conservare una situazione che egli poteva considerare stabile e nulla attesta che il destinatario abbia provocato l'atto mediante indicazioni false o incomplete;

-tornando ora al sistema di diritto interno, va poi considerato quanto chiarito da questa Corte con riferimento proprio alla collocazione di un provvedimento atipico (o meglio di un non provvedimento) nei rapporti Fisco-Contribuente quale è il comunicato stampa; esso invero non si colloca, nella gerarchia delle fonti, in alcun gradino logico, e certamente è quindi sottordinato - in quanto escluso dalla piramide kelseniana della fonti - rispetto alle risoluzioni Ministeriali e alle circolari, non ammettendosi in materia tributaria invero neppure alcuna rilevanza agli usi, anche a voler in tal ultima categoria collocare il comunicato stampa;

-centrale resta infatti nel sistema il principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino-contribuente, che guardi con diligenza e in buona fede alle affermazioni dell'Amministrazione Finanziaria, specialmente quelle rese in sede di documenti di prassi amministrativa; esso trova origine, non tanto - e non solo - nell'art. 10 dello Statuto del contribuente, che lo esplicita sul piano legislativo, quanto - e soprattutto - in principi costituzionali di portata generale (artt. 3, 23, 53, 97) richiamati dalla disciplina statutaria (art. 1), ed è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico ivi compresi quelli tributari in particolare; detti principi costituiscono uno dei fondamenti dello Stato di diritto, limitandone l'attività legislativa e amministrativa (Cass. n. 21513 del 2006

), e dell'ordinamento dell'UE nelle materia armonizzate, unitamente ai principi di neutralità fiscale e proporzionalità (CGUE, sent. 31 gennaio 2013, in causa C-642/11, Stroy-trans EOOD); -questa Corte ha anche precisato come pure precedentemente all'entrata in vigore dello Statuto dei diritti del contribuente, questi principi siano stati introdotti nel sistema delle sanzioni tributarie; infatti si è statuito (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16751 del 24/08/2004) che integra il caso della obbiettive condizioni di incertezza, da considerarsi esimenti in ordine alla condotta omissiva o infedele del contribuente, in base al principio generale stabilito nell'art. 6, comma 2, D.Lgs. n. 472 del 1997, poi ribadito proprio nella disposizione ricitata dello Statuto dei diritti del contribuente (art. 10 Legge n. 212 del 2000), il comportamento di colui che, anteriormente all'emanazione della risoluzione dell'Amministrazione finanziaria del 17 ottobre 1997, n. 209/E, stante l'incertezza assoluta circa la debenza dell'ICI sulle aree fabbricabili, in rapporto alla non chiara formulazione della disposizione contenuta nell'art. 2 D. Lgs. n. 504 del 1992, applicabile al caso, non abbia provveduto al pagamento dell'imposta in un anno d'imposta anteriore all'emanazione della citata risoluzione;

-quanto poi in dettaglio con riferimento proprio alle circolari come alle risoluzioni, è nota la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale (Cass. Sez. U., Sentenza n. 23031 del 2007

) "la circolare non vincola addirittura la stessa autorità che l'ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere e anche completamente disattendere l'interpretazione adottata. Ciò è tanto vero che si è posto il problema della eventuale tutela del contribuente di fronte al mutamento di indirizzo (interpretativo) adottato dall'amministrazione e si è escluso che tale tutela sia possibile anche sotto il profilo dell'affidamento, stante la evidente collisione che si determinerebbe con il principio - coniugato secondo un diverso lessico, ma riferito ad un unico concetto - di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell'obbligazione tributaria, di vincolatezza della funzione di imposizione, di irrinunciabilità del diritto di imposta. Non si può, al riguardo, non concordare con quella dottrina secondo la quale ammettere che l'amministrazione, quando esprime opinioni interpretative (ancorché prive di fondamento nella legge), crea vincoli per sé e i Giudici tributari, equivale a riconoscere all'amministrazione stessa un potere normativo che, a tacer d'altro, è in palese conflitto con il principio costituzionale della riserva relativa di legge codificato dall'art. 23 Cost. Tutt'al più, come è stato pure affermato, potrebbe ammettersi che il mutamento da parte dell'amministrazione di un precedente indirizzo (interpretativo) sul quale il contribuente possa aver fatto affidamento, eventualmente rilevi (o possa esse valutato) ai fini della applicazione delle sanzioni come della richiesta degli interessi

- della quale in questa sede trattiamo - sulle somme dovute a titolo di imposta;

-e proprio nel presente caso, a fronte di un possibile dubbio interpretativo, introdotto dalle indicazioni fornite dalla Ris. N. 218/E del 5 dicembre 2003, il contenuto del comunicato stampa del 20 luglio 2004 costituisce, come si evince anche se non senza difficoltà dalla succinta motivazione, elemento non completamente sufficiente a rimuovere ogni oscurità interpretativa;

- invero, quanto al diritto eurounitario, è solo con la recente decisione della Corte di Giustizia, 16 marzo 2017, Bimotor Spa, in C-211/16, secondo la quale «l'articolo 183, primo comma, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 2010/45/UE del Consiglio, del 13 luglio 2010, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che limita la compensazione di taluni debiti tributari con crediti d’imposta sul valore aggiunto a un importo massimo determinato, per ogni periodo d’imposta, a condizione che l’ordinamento giuridico nazionale preveda comunque la possibilità per il soggetto passivo di recuperare tutto il credito d’imposta sul valore aggiunto entro un termine ragionevole» (tale possibilità, consistente nel diritto di presentare istanza di rimborso, è nel sistema italiano ben presente) che si è fatta chiarezza sul punto; -anche questa Corte, dal canto suo, ben dopo l'insorgere della presente lite ha stabilito definitivamente che «in tema di IVA, l’art. 34 della I. n. 388 del 2000, nel testo applicabile ratione temporis, sancendo che, a decorrere dall’1 gennaio 2001, il limite massimo dei crediti d’imposta e dei contributi compensabili ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. n. 241 del 1997, per i soggetti intestatari di conto fiscale, è fissato in lire 1 miliardo (euro 516.546,90) per ciascun anno solare, ha inteso introdurre, per ogni periodo d’imposta, al fine di non squilibrare eccessivamente le previsioni di gettito fiscale annuale, un limite invalicabile alla possibilità del contribuente di porre in compensazione crediti fiscali e debito IVA, che non può essere superato anche in sede di liquidazioni periodiche IVA» (v. Cass. n. 8101 del 2017) e «il limite massimo dei crediti di imposta e dei contributi compensabili ... non può che riferirsi a tutte le ipotesi di legge, così come testualmente chiarisce la I. n. 388 del 2000, art. 34, comma 1» (v. Cass. n. 2215 del 2014; Cass. n. 22833 del 2013; Cass. n. 7994 del 2016 ed infine Cass. 22962 del 2018);

è evidente quindi che all'epoca in cui il contribuente tenne il comportamento sanzionato con l'atto qui impugnato, ancora era dibattuta e comunque non era certo risolta in un senso o nell'altro la questione relativa alla legittimità delle compensazioni in parola; ciò consente quindi di ritenere all'epoca sussistente, come nella sostanza ha correttamente ritenuto la CTR, anche se con motivazione effettivamente assai stringata, specialmente alla luce delle problematiche sottese alla soluzione della controversia, la buona fede del contribuente;

-conseguentemente, il ricorso va respinto;

- la particolarità della vicenda giustifica la compensazione delle spese di tutti i gradi del giudizio;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; compensa le spese.