Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 13 dicembre 2018, n. 32258

Imposte dirette - IRPEF - Dichiarazioni dei redditi - Accertamento - Riscossione - Cartella di pagamento

 

Rilevato che

 

G.B., con due motivi, ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 358/45/10, depositata il 26.11.2010 dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania;

ha riferito che a seguito di rettifica della dichiarazione dei redditi ex art. 36 ter del d.P.R. n. 600 del 1973, relativa all'anno d'imposta 2002, gli era notificata la cartella di pagamento n. 071/2006/01066480/83/000, con la quale si chiedeva il pagamento di € 20.570,26 a titolo di Irpef. La rettifica aveva ad oggetto la tassazione degli oneri deducibili dal reddito complessivo relativi ai contributi previdenziali e assistenziali obbligatori versati dal ricorrente, di professione avvocato, alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza forense.

Nel contenzioso che ne seguiva il contribuente eccepiva l'inesistenza della notifica della cartella, la nullità dell'atto impugnato per carenza di motivazione, l'infondatezza della pretesa creditoria.

Con sentenza depositata il 25.05.2008 la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli accoglieva il ricorso. L'Agenzia appellava la sentenza e la Commissione Tributaria Regionale della Campania, con la sentenza ora impugnata, accoglieva l'appello.

Il ricorrente censura la sentenza:

con il primo motivo per nullità della sentenza per omessa pronuncia e violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato, ex art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., per non essersi pronunciato il giudice regionale sulla inesistenza della notifica della cartella esattoriale, sulla carenza di motivazione della cartella medesima, nonché sulla inammissibilità dell'appello per l'aspecificità dei motivi d'impugnazione;

con il secondo motivo per violazione e falsa applicazione degli artt. 10, co. 1, lett. i) e 50 del d.P.R. n. 917 del 1986, in relazione all'art. 360 co. 1, n. 3, c.p.c., per aver erroneamente escluso che i contributi previdenziali corrisposti alla CNPA potessero essere dedotti dal reddito complessivo.

Ha chiesto pertanto la cassazione della sentenza.

Si è costituita l'Agenzia, che con controricorso ha sostenuto l'inammissibilità dei motivi perché ripetitivi di quanto già proposto nei giudizi di merito; si è costituita anche Equitalia, che ha ribadito la ritualità della notifica della cartella, eseguita con agenzia privata di recapiti espressi, e la validità della cartella.

 

Considerato che

 

con il primo motivo il contribuente denuncia la nullità della sentenza del giudice regionale campano per l'omessa pronuncia sia sulla eccepita nullità della notifica della cartella esattoriale, sia sulla carenza di motivazione della cartella medesima.

Il motivo è infondato. La sentenza nella parte dedicata alla esposizione dei fatti processuali riporta che <<nel confermare tutte le eccezioni ampiamente illustrate in primo grado l'appellato [il contribuente] reitera: 1) la eccezione della notifica della cartella; 2) l'eccezione di nullità della cartella>>. Successivamente, nella parte motiva, argomenta l'accoglimento dell'appello. La giurisprudenza di legittimità, con orientamento consolidato dal quale questo collegio non intende discostarsi, ha affermato che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un'espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l'impostazione logico-giuridica della pronuncia (cfr. Cass., ord. n. 24155/2017; sent. n. 20311/2011). Nel caso di specie la decisione adottata dal giudice d'appello mostra consapevolezza delle eccezioni sollevate ma decide sulla controversia, accogliendo l'impugnazione con argomentazioni implicanti una statuizione implicita di rigetto delle medesime, sicché manca l’error in procedendo di cui il contribuente si duole.

Il secondo motivo è infondato e va rigettato.

Il contribuente assume l'erroneità della decisione impugnata, con la quale il giudice regionale ha negato la deducibilità dei contributi assistenziali e previdenziali da lui versati obbligatoriamente alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza forense.

Le ragioni esposte dal ricorrente si infrangono sul dato letterale dell'art. 50 del TUIR, secondo il quale dal compenso del professionista sono esclusi i contributi previdenziali e assistenziali stabiliti dalla legge a carico del soggetto che li corrisponde (mentre concorrono a formare la sola base imponibile ai fini Iva). È pacifico che l'importo del 2% (ora del 4%) del fatturato riportato nella parcella sia a carico del cliente, sicché il relativo importo non fa parte delle componenti del compenso e nulla pertanto va dedotto, esulando dalla fattispecie prevista dall'art. 10 del TUIR. Né il caso di specie rientra nelle ipotesi di versamenti eseguiti dal contribuente (professionista) senza che il costo sia ribaltato sul cliente, come ad esempio nel caso in cui il contributo integrativo minimo sia stato versato alla Cassa forense a prescindere dalla fatturazione di prestazioni, perché necessario al raggiungimento dell'Importo minimo richiesto per la permanenza della iscrizione alla medesima Cassa (in questa ipotesi deducibile).

Considerato che

il ricorso è infondato e non trova accoglimento. Le spese del giudizio seguono la soccombenza nella misura specificata in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura di € 2.400,00 per ciascuna delle controricorrenti, oltre spese prenotate a debito se dovute.