Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 18 novembre 2016, n. 23526

L. n. 223 del 1991 - Riduzione di personale - Licenziamento - Comunicazione - Vizi procedimentali

Svolgimento del processo

 

La Corte d'appello di Roma, con la sentenza n. 6659 del 2014, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, rigettava l'impugnazione proposta da L. S. avverso il licenziamento comunicatogli con lettera del 18.9.2008, come effetto della procedura di riduzione di personale ex L. n. 223 del 1991 avviata con comunicazione del 14.7.2008 per n. 1397 unità, seguita dall'accordo sindacale del 22.7.2008.

La Corte territoriale riteneva che non sussistessero i plurimi vizi procedimentali lamentati dal lavoratore (quali l'inadeguatezza della comunicazione di apertura di cui all'art. 4 comma 3 della L. n. 223 del 1991, l’omissione della comunicazione prevista dall'art. 4 comma 9 alla Commissione regionale tripartita per il Lazio, l'incompletezza delle comunicazioni di chiusura agli organi preposti, l'intempestività del loro invio), né che manifestasse l'insussistenza delle esigenze di riduzione di personale l'avere proceduto a nuove assunzioni dopo il licenziamento.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso L. S., affidato ad otto motivi, cui ha resistito con controricorso Intesa San Paolo S.p.A. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

1. Come primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 4 comma 9 della L.n. 223 del 1991 e dell'art. 4 del D.lgs 23 dicembre 1997 n. 469, per avere la Corte territoriale erroneamente affermato che la Commissione regionale permanente tripartita del Lazio non faceva parte degli uffici pubblici cui dev'essere inviata la comunicazione di chiusura della procedura.

2. Il motivo non è fondato.

Con riferimento all'art. 4, comma 9, nella formulazione vigente ratione temporis , anteriore alle modifiche apportate dalla L. 92 del 2012 e dal D.lgs n. 81 del 2015, in analoghe fattispecie di azienda esercente l'attività di credito, questa Corte in numerosi arresti (v. da ultimo Cass. n. 17103 del 2016, n.12588 del 2016), cui occorre dare continuità, ha ritenuto l'irrilevanza dell'omissione della comunicazione in esame alla Commissione regionale tripartita di cui agli artt. 4 e 5 del D.Lgs. 23 dicembre 1997, n. 469. Sulla base di un approccio ermeneutico che valorizza l’idoneità dello svolgimento della procedura al fine di garantire la proficua partecipazione delle 00.SS. alla cogestione della crisi e la trasparenza del processo decisionale del datore di lavoro, ha rilevato che la ratio della suddetta comunicazione è strettamente correlata al compito attribuito a quest'ultima di approvare le liste di mobilità, essendo la Commissione regionale tripartita inclusa fra i destinatari delle comunicazioni di cui all'art. 4, comma 9, perché, in base all'art. 6 della legge n. 223 del 1991, svolge la rilevante funzione di approvare le liste di mobilità. Ebbene, in base all'art. 16 della L. n. 223 del 1991, il presupposto di carattere oggettivo per l'indennità di mobilità è che l'impresa rientri nel campo dì applicazione della disciplina dell'intervento straordinario di integrazione salariale e, a sua volta, la facoltà di giovarsi di tale intervento spetta soltanto in caso in cui sia espressamente prevista dalla relativa legislazione, la quale, laddove ne risulta la limitazione del campo di applicazione alle imprese industriali in senso stretto, si pone in rapporto di specialità rispetto alla normativa (L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 49) riguardante l'inquadramento delle imprese ai fini previdenziali (vedi, per tutte: Cass. SU 10 dicembre 2004, n. 23078 e Cass. 25 gennaio 2007, n. 1675). Ne risulta che le aziende che esercitano l'attività di credito, non essendo contemplate, ai suddetti fini, tra le imprese industriali in senso stretto e non essendo specificamente incluse tra quelle cui si applica la CIGS, non rientrano neppure tra quelle ai cui dipendenti è attribuibile l'indennità di mobilità, ai sensi del combinato disposto della L. n. 223 del 1991, artt. 7 e 16. Pertanto, nella procedura di cui si tratta, la suddetta Commissione non era chiamata a svolgere alcuna specifica funzione, mentre la sanzione di inefficacia prevista dall'art. 4, comma 12, della legge n. 223 del 1991, presuppone che sia risultata mancante una comunicazione essenziale per fare sì che la procedura di licenziamento collettivo per riduzione del personale possa raggiungere lo scopo cui è preordinata, rappresentato dal consentire ai lavoratori interessati, alle organizzazioni sindacali e agli organi amministrativi di controllare la correttezza e trasparenza della complessiva operazione e la rispondenza ad eventuali accordi raggiunti.

3. Come secondo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 4 comma 9 della L. 23 luglio 1991 n. 223, per avere la Corte territoriale erroneamente affermato che la comunicazione di chiusura poteva essere inviata successivamente al licenziamento.

Riferisce che il licenziamento era stato intimato il 18 settembre 2008 e la comunicazione era stata inviata il 2 ottobre 2008, quindi a 14 giorni di distanza, senza rispettare la regola espressa di contestualità.

4. La Corte territoriale ha ritenuto la tempestività della comunicazione conclusiva di cui all'art. 4 comma 9 agli organi preposti, rilevando che il 5 agosto 2008 la società aveva comunicato alle organizzazioni sindacali ed agli uffici competenti l'accordo quadro dell'8 luglio 2008, che prevedeva espressamente la risoluzione dei rapporti di lavoro del personale dipendente che alla data del 31 marzo 2008 avesse conseguito i requisiti previsti per il diritto alla pensione; aveva fatto seguito la missiva del 29 settembre 2008, con la quale erano stati comunicati i nominativi dei lavoratori destinatari dei provvedimenti di risoluzione del rapporto, con indicazione dei dati anagrafici, dell'anzianità di servizio, del livello di inquadramento e della sede di assegnazione. Nell'occasione, la società aveva precisato che l'accordo sindacale del 22 luglio 2008 aveva previsto che i dipendenti potessero far pervenire all'azienda fino al 30 settembre 2008 richiesta di risoluzione consensuale e di accettazione dell'incentivo all'esodo pari a "un importo onnicomprensivo lordo corrispondente alla retribuzione annua lorda in atto al momento della risoluzione del rapporto", sicché nessuna definitiva comunicazione poteva essere inviata dalla società prima della scadenza del termine sopra indicato e, ciò nonostante, Intesa San Paolo aveva inviato la comunicazione del recesso alle organizzazioni sindacali e alle missive indicate quando ancora era pendente il termine, alle quali aveva poi fatto seguito la comunicazione conclusiva del 2 ottobre 2008.

4.1. Tale soluzione non è coerente con l'interpretazione che questa Corte ha dato del requisito della "contestualità" tra comunicazione del recesso e comunicazione ai soggetti individuati dell'elenco dei lavoratori collocati in mobilità previsto dall'art. 4 comma 9 della L. n. 223. Con riferimento alla disciplina antecedente alle modifiche introdotte con la legge 28 giugno 2012, n. 92, che all'art. 1 comma 44 ha quantificato in sette giorni dalla comunicazione dei recessi il suddetto termine, questa Corte infatti ancora di recente ribadito (v. Cass. n. 8680 del 29/04/2015, n. 2206 del 4/2/2016, n. 157 del 8/1/2016) che la contestualità fra comunicazione del recesso al lavoratore e comunicazione dell'elenco dei dipendenti licenziati e dei criteri di scelta alle organizzazioni sindacali e ai competenti uffici del lavoro, è richiesta, a pena di inefficacia del licenziamento, dall'art. 4, comma 9, della legge 23 luglio 1991, n. 223, al fine di consentire alle 00.SS. (e, tramite queste, anche ai singoli lavoratori) il controllo sulla correttezza nell'applicazione dei menzionati criteri da parte del datore di lavoro, anche al fine di sollecitare, prima dell'impugnazione del recesso in sede giudiziaria, la revoca del licenziamento eseguito in loro violazione. Ne consegue che la funzione di tale ultima comunicazione implica che non possa accedersi ad una nozione "elastica" di contestualità, dovendosi ritenere irragionevole che, per non incorrere in una decadenza dal termine di cui all'art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il lavoratore debba impugnare il licenziamento senza la previa esplicitazione delle modalità di applicazione dei criteri di scelta.

4.2. Alla soluzione adottata dalla giurisprudenza di questa Corte, cui occorre dare continuità, consegue che nella valutazione della tempestività della comunicazione non potevano incidere valutazioni diverse da quelle che attenevano la specifica posizione del lavoratore interessato, quali la scadenza del termine per la comunicazione all'azienda delle risoluzioni consensuali valorizzata dalla Corte territoriale, considerato che al S. era stata già inoltrata la comunicazione di recesso, sicché nei suoi confronti non aveva giustificazione il ritardo, dovendosi le ragioni dell'individuazione della sua persona tra i licenziandi concretizzare ed esplicitare in quel momento.

5. Come terzo motivo. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 4 comma 3 della L. 23 luglio 1991 n. 223, per avere erroneamente la Corte territoriale affermato che la comunicazione di avvio della procedura poteva essere integrata da atti precedenti attinenti al personale eccedente.

Riferisce che la comunicazione di apertura indicava solo genericamente (peraltro con riferimento alla data del 31 marzo anziché a quella di apertura della procedura) il numero di lavoratori esuberanti per ciascuna regione rispetto al numero complessivo degli occupati, senza specificarne le posizioni, mentre la precisa individuazione delle posizioni effettivamente esuberanti era assolutamente necessaria per verificare la congruenza dei licenziamenti rispetto alle ragioni dell'eccedenza.

6. Come quarto motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 4 comma 3 della L. n. 223 del 1991, per avere la Corte territoriale ritenuto sufficiente la comunicazione che si era totalmente carente sotto questo aspetto, limitandosi ad affermare "non vi è soluzione alternativa", con formula del tutto insufficiente rispetto agli obblighi di legge. Nel caso, peraltro, la convenuta ben avrebbe potuto far fronte al denunziato esubero di 1397 unità accettando le 1750 domande di accesso volontario al fondo di solidarietà del settore del credito "sospeso in attesa di nuove determinazioni" appena qualche mese prima.

7. Il terzo e quarto motivo, che possono essere valutati congiuntamente in quanto connessi, non sono fondati.

La Corte territoriale ha ritenuto che la comunicazione ex art. 4 comma 3 rispondesse ai requisiti contenutistici di legge, argomentando che alle Organizzazioni sindacali erano stati offerti in comunicazione tutti gli elementi necessari per svolgere in modo consapevole la funzione di controllo riconosciuta dalla legge, e che la sua completezza andava valutata considerando le precedenti comunicazioni, il confronto già avvenuto con le organizzazioni sindacali, il contenuto degli accordi richiamati nella missiva; ha aggiunto che la società, attraverso il richiamo ai documenti "sostenuto da ampio ed approfondito contraddittorio tra le parti", aveva indicato le ragioni dell'esubero ed i motivi tecnici ed organizzativi che rendevano necessaria la riduzione del costo del personale, provvedendo, poi, a ripartire il personale eccedente per aree territoriali e profili professionali.

7.1. La soluzione adottata è coerente con la giurisprudenza di questa Corte, anche riferita alla procedura qui in esame (Cass. n. 13794 del 2915).

Si è ivi riaffermato, e ribadito da ultimo da Cass. n. 9061 del 5 maggio 2016 che, in tema di verifica del rispetto delle regole procedurali per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui alla L. 23 luglio 1991 1 n. 223, art. 4, comma 3, dev'essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, che restano sottratti al controllo giurisdizionale, cosicché, ove il progetto imprenditoriale sia diretto a ridimensionare l'organico dell'intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, com'è nel caso, l’imprenditore può limitarsi all'indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso tra i diversi profili professionali previsti dalla classificazione del personale occupato nell'azienda, senza che occorra l'indicazione degli uffici o reparti con eccedenza, e ciò tanto più se si esclude qualsiasi limitazione del controllo sindacale e in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati all'esito della procedura che, nell'ambito delle misure idonee a ridurre l'impatto sociale dei licenziamenti, adotti il criterio della scelta del possesso dei requisiti per l'accesso alla pensione.

Inoltre, occorre ribadire che la L. n. 223 del 1991, nel prevedere agli artt. 4 e 5 la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato ex post nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell'iniziativa imprenditoriale, concernente il ridimensionamento dell'impresa, devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, sicché è all'idoneità in concreto della comunicazione a rendere effettivamente edotte le organizzazioni sindacali degli aspetti individuati nel citato comma 3 dell'art. 4 che occorre avere riguardo, onde escludere maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali (v., in tal senso, ex multis, Cass. 21541/2006, n 2516/2012).

In relazione poi alla necessità che il datore di lavoro, per assolvere l'onere imposto dall'art. 4 comma 3 della L. n. 223 del 1991, deduca e dimostri la non programmabilità di eventuali azioni per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale della procedura, basta qui rilevarsi che la Corte territoriale, nell'ambito della corretta valutazione sostanzialistica dell'idoneità delle comunicazioni sopra richiamata, ha escluso che la comunicazione fosse idonea in concreto a fuorviare o ledere l'esercizio dei poteri di controllo preventivo attribuiti alle organizzazioni sindacali, con ricadute pregiudizievoli per i lavoratori, considerato che la comunicazione costituiva l'esito di una procedura avviata il 14 luglio 2008, avente ad oggetto l'analisi delle ricadute occupazionali dei processi di riorganizzazione conseguenti all'intervenuta fusione per incorporazione di San Paolo Imi in Banca intesa, nel corso della quale il confronto sindacale aveva avuto ad oggetto sia le possibili forme di riduzione del costo del lavoro anche mediante ricorso su base volontaria alle prestazioni straordinarie di cui all'art. 5 Dm 158 del 2000 e 226 del 2006, sia l'ambito delle conseguenti necessità di riduzione strutturale col ricorso alle procedure di quella legge 223 del 1991.

8. Come quinto motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 4 comma 9 della L. 23 luglio 1991 n. 223, per avere la Corte territoriale erroneamente affermato che la comunicazione di chiusura della procedura poteva non prevedere i criteri di scelta applicati tra tutti i dipendenti dell'azienda prossimi alla pensione, anche se tanti di questi erano stati mantenuti in servizio. Riferisce che la comunicazione suddetta non dava conto di come i lavoratori licenziati fossero stati in concreto individuati, visto che non tutti i pensionabili erano stati licenziati e tanto più che il C.C.N.L. prevede espressamente la "piena fungibilità" tra i quadri direttivi.

9. Il motivo è infondato.

La comunicazione di cui all’art. 4 comma 9 come effettuata nel caso, risulta coerente con il contenuto dell'accordo del 22 luglio 2008, valorizzato dalla Corte territoriale e non oggetto di censura con riferimento all'individuazione dei criteri di scelta, che dava modo alla Banca di individuare, nell'ambito delle 1397 unità in possesso dei requisiti di legge previsti per avere diritto alla pensione di anzianità o vecchiaia, fino ad un massimo di 12 dipendenti, allo scopo di salvaguardare la funzionalità delle strutture operative ed organizzative. Sicché rispondeva al criterio concordato con le parti sindacali quello che valorizzava nella scelta di un numero non superiore a 12 lavoratori le esigenze aziendali, non suscettibile di esprimersi come risultato di una graduatoria rigida.

10. Come sesto motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli art. 4 e 24 della L. 23 luglio 1991 n. 223, per avere la Corte territoriale erroneamente affermato che il giudice non può controllare l'esistenza o l'inesistenza dell'esubero dichiarato negli atti della procedura. Sostiene che nel caso l'effettuazione di migliaia di nuove assunzioni da parte della Banca dopo il licenziamento e la stabilizzazione di centinaia di contratti di lavoro a termine, unitamente alla notizia dell'apertura di nuove filiali e l'aumento dei profitti, escludevano l'esistenza di qualsiasi effettivo esubero di personale, con conseguente illegittimità del licenziamento collettivo.

11. Il motivo non è fondato.

La Corte territoriale ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 1253 del 20/01/2011 e n. 24263 del 2013), cui occorre dare continuità, secondo la quale in tema di ridimensionamento dell'attività imprenditoriale che legittima il ricorso alla procedura di mobilità ex art. 24 della legge n. 223 del 1991, condotte datoriali, quali la richiesta di svolgimento di lavoro straordinario, l'assunzione di nuovi lavoratori o la devoluzione all'esterno dell'impresa di parte della produzione, successive al licenziamento collettivo, non sono suscettibili di incidere sulla validità del licenziamento stesso, una volta che la procedura di mobilità si sia svolta nel rispetto dei vari adempimenti previsti dagli artt. 4 e 5 della legge n. 223 del 1991, ove non risulti la necessità di colmare vuoti di organico originati ingiustificatamente dal processo di ristrutturazione, e ove non si sia in presenza di un ampliamento dell'attività economica dell'impresa, non giustificata sulla base delle ragioni che hanno portato alla riduzione del personale. Ne consegue che non è sufficiente dedurre che vi sia stata l'assunzione di nuovi lavoratori per escludere "sic et simpliciter" la legittimità del ricorso alla procedura di mobilità.

La Corte di merito ha quindi escluso che si fosse verificata tale evenienza fattuale, considerato che l'avvenuta assunzione di apprendisti non contraddiceva l'esigenza di riduzione degli organici.

11.1. Le conclusioni dissenzienti formulate dalla parte ricorrente non sono supportate da una diversa interpretazione della normativa, ma si pongono in modo meramente contrappositivo della ricostruzione fattuale, sulla base delle medesime risultanze già esaminate dalla Corte territoriale.

E difatti, vengono richiamati (pg. 6 e 7) un comunicato stampa che preannuncia appunto l'assunzione di apprendisti, e un doc. 18 (di cui peraltro non è puntualmente riportato il contenuto) che preannuncia assunzioni nel Gruppo Intesa San Paolo, che costituisce una realtà imprenditoriale più ampia della società da cui il S. dipendeva. Risultano pertanto disattesi i limiti che incontra la formulazione delle censure nel giudizio di legittimità, secondo i principi che sono stati formulati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 8053 del 07/04/2014, considerato che al presente giudizio si applica ratione temporis la formulazione dell'art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. introdotta dall'art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, ed il motivo si traduce nella richiesta di riesame dell'intero materiale probatorio, senza prospettazione di elementi decisivi il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte di merito.

12. Come settimo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 112 c.p.c. e dell'articolo 2110 comma 2 c.c., per avere la Corte territoriale omesso la pronunzia sulla domanda subordinata di inefficacia del licenziamento in quanto intimato in periodo di malattia. Riferisce di avere riproposto nella memoria difensiva in appello la domanda subordinata con la quale si deduceva che il licenziamento poteva produrre effetti estintivi del rapporto solo al termine del periodo di malattia, che sospende il decorso del preavviso per il periodo di comporto ex art. 2110 comma 2 c.c., rilevato che la malattia era già in corso dal 3 settembre 2008, epoca anteriore al licenziamento del 18 settembre 2008, e poi è proseguita ed era stata regolarmente documentata sino all'8 marzo 2009. Poiché la società ha cessato di pagare la retribuzione al ricorrente in data 30 settembre 2008, sostiene che in caso di rigetto della domanda principale dovrebbe comunque pagare tutte le retribuzioni dal 1 ottobre 2008 sino all'8 marzo 2009, data di cessazione della malattia, per un importo di € 46.334,66 quale trattamento retributivo ordinario e di € 3.432,20 al titolo di trattamento di fine rapporto per il medesimo periodo.

13. Come ottavo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 112 c.p.c. e degli articoli 15, comma 6, della L. n. 264 del 1949, dell'art. 8, comma 1, della L. n. 223 del 1991 e dell'art. 6, comma 4, del D.lgs n. 297 del 2002, per avere la Corte territoriale omesso la pronunzia sulla domanda subordinata relativa al diritto del ricorrente di precedenza nelle successive assunzioni effettuate entro sei mesi dal licenziamento. Sostiene che tale diritto non sarebbe stato rispettato dalla convenuta, considerato che la Banca ha assunto nei sei mesi successivi diversi lavoratori con la medesima professionalità del ricorrente, a ciò non ostando che le assunzioni potessero essere state fatte per i livelli di inquadramento meno elevati. Ne deriverebbe il diritto del ricorrente alla costituzione di un nuovo rapporto di lavoro ex articolo 2932 c.c. a far data dalla prima assunzione, in violazione del diritto di precedenza ed il conseguente diritto, in ogni caso, al trattamento economico corrispondente, ove occorra anche titolo di risarcimento della mora accipiendi.

14. L'esame del settimo e ottavo motivo resta assorbito per effetto dell'accoglimento del secondo motivo, in quanto, avendo ad oggetto questioni attinenti le domande subordinate originariamente proposte, esse potrebbero venire in rilievo solo per il caso di rigetto della domanda principale.

15. Segue la cassazione della sentenza in relazione al secondo motivo ed il rinvio alla Corte territoriale, che dovrà attenersi all'esame della legittimità della procedura adottando il criterio rigido sopra affermato nella valutazione della contestualità della comunicazione e provvedere ai successivi occorrendi, nonché alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta il primo, il terzo, il quarto, il quinto, il sesto motivo, dichiara assorbiti i motivi settimo e ottavo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione.