Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 26 settembre 2017, n. 22376

Licenziamento disciplinare - Aggressione fisica di un collega - Lesioni gravi - Provvedimento espulsivo proporzionato ai fatti contestati - Testimonianze - Elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento nei contratti collettivi - Valenza meramente esemplificativa e non preclusiva di un’autonoma valutazione del giudice - Grave inadempimento - Contrarietà alle norme della comune etica o del comune vivere civile

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 327/15, ha rigettato l'appello proposto da D.G. avverso la sentenza del locale Tribunale che aveva respinto impugnativa del licenziamento irrogato al ricorrente dalla datrice di lavoro, F. 2000 s.r.l.

2. Al D. era stato addebitato di avere, in data 1° luglio 2009, all'interno dei locali aziendali, violentemente aggredito e percosso la collega M.V., provocandole traumi ed escoriazioni di tale gravità da rendere necessaria la sottoposizione a cure mediche, all'esito delle quali era stata formulata una prognosi di guarigione di giorni dieci. Il D., replicando all'addebito, aveva sostenuto che la V. si era schiaffeggiata da sola, urlando e minacciandolo.

Tale tesi veniva disattesa dal Tribunale sulla base delle risultanze testimoniali e soprattutto della cartella clinica recante la diagnosi - formulata nell'immediatezza dei fatti - di trauma cranio-facciale escoriato, contusione dorso lombare, contusione spalla destra e toraco-addominali, diagnosi incompatibile con il solo gesto descritto dalla testimone F. (la cui testimonianza era peraltro inattendibile, in quanto non coerente e contraddittoria) di graffiarsi il volto. Nessun valore poteva attribuirsi alla perizia di parte, che aveva ipotizzato la compatibilità delle lesioni riscontrate con una caduta al suolo, atteso che tale ricostruzione dei fatti non era stata riferita da alcuno dei testi e nemmeno dalla difesa dell'appellante.

3. La Corte territoriale riteneva che il provvedimento espulsivo fosse del tutto proporzionato ai fatti contestati, attesa la gravità degli stessi, rilevanti anche sotto il profilo penale; che occorreva anche tenere conto del ruolo di caposquadra ricoperto dal ricorrente, che in tale posizione era tenuto a tutelare i suoi collaboratori e a garantire la correttezza del comportamento proprio e dei suoi subordinati nei confronti dell'azienda; che dunque il D., in virtù del ruolo ricoperto, aveva l'obbligo di comportarsi in modo esemplare proprio nei confronti di coloro che rispetto a lui erano in posizione subordinata; che l'avere usato violenza, verbale e fisica, anche aggravata dall'uso di un corpo contundente, nei confronti di una collega, costituivano altrettanti elementi atti a definire il disvalore morale della condotta posta in essere dall'appellante, idonea a compromettere in via definitiva il rapporto fiduciario; che, inoltre, i fatti erano avvenuti sul luogo di lavoro e nell'orario di servizio e l'accaduto aveva determinato l'intervento di colleghi, costretti a dividere i contendenti, con evidente incidenza, quanto meno in termini di turbamento, sul servizio e sui turni di lavoro.

4. Per la cassazione di tale sentenza D.G. ha proposto ricorso affidato a tre motivi, cui resiste la società F.2000 con controricorso.

5. In allegato alla memoria ex art. 378 c.p.c. parte ricorrente ha prodotto copia della sentenza penale di assoluzione del D. dai reati di ingiuria e lesioni personali in danno di V.M., contestati in relazione all'episodio per cui è causa.

Tale sentenza è stata altresì notificata alla controparte ex art. 372 c.p.c.

La società resistente ha eccepito la inammissibilità e comunque l'irrilevanza di tale documento.

 

Ragioni della decisione

 

1. Il primo motivo di ricorso denuncia omessa o insufficiente motivazione su fatti decisivi della controversia, travisamento del fatto storico, omessa valutazione di risultanze probatorie e documentali, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. Si contesta la ricostruzione fattuale, l'omessa considerazione della consulenza tecnica di parte e il carattere contraddittorio delle deposizioni testimoniali invece utilizzate.

2. Il secondo motivo verte su violazione e falsa applicazione dell'art. 1455 c.c. e dell'art. 5 I. n. 604/66, violazione e falsa applicazione degli artt. 47 e 49 C.C.N.L. dei dipendenti da imprese esercenti servizi di pulizia, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.; mancanza di proporzionalità tra presunta infrazione e sanzione espulsiva.

3. Con il terzo motivo ci si duole di vizi del procedimento e della sentenza, incompatibilità del giudice di primo grado in relazione all'articolo 51 c.p.c. Il giudice che aveva emesso la sentenza di primo grado era lo stesso che aveva già esaminato l'intera vicenda in fase cautelare.

4. Preliminarmente, quanto alla produzione delle sentenza penale di assoluzione in sede di memoria difensiva ex art. 378 c.p.c., va osservato che il principio secondo cui, nel giudizio di cassazione, l'esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d'ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell'ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, con correlativa inopponibilità del divieto di cui all'art. 372 c.p.c., non può trovare applicazione laddove la sentenza passata in giudicato venga invocata, ai sensi dell'art. 654 c.p.p., unicamente al fine di dimostrare l'effettiva sussistenza (o insussistenza) dei fatti. In tali casi il giudicato non assume alcuna valenza enunciativa della "regula iuris" alla quale il giudice civile ha il dovere di conformarsi nel caso concreto, mentre la sua astratta rilevanza potrebbe ravvisarsi soltanto in relazione all'affermazione (o negazione) di meri fatti materiali, ossia a valutazioni di stretto merito non deducibili nel giudizio di legittimità. Ne consegue che va in questi casi ritenuta l'inammissibilità della produzione della sentenza penale, siccome estranea all'ambito previsionale dell'art. 372 c.p.c. (Cass. n. 23483 del 2010).

5. Il primo motivo è inammissibile. Nell'ipotesi di "doppia conforme" prevista dal quinto comma dell'art. 348 ter c.p.c., il ricorrente in cassazione, per evitare l'inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell'art. 360 c.p.c.., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell'appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528 del 2014, n. 19001 del 2016, n. 26774 del 2016). Tale onere non è stato in alcun modo assolto nella specie.

6. Quanto al secondo motivo, che verte sull'interpretazione del CCNL di categoria, deve rilevarsi che copia di tale contratto non è riprodotta in allegato al ricorso, né è indicata la sede del suo rinvenimento in atti. Nel giudizio di cassazione, l'onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi - imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall'art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., nella formulazione di cui al d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 - può dirsi soddisfatto solo con la produzione del testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l'applicazione del canone ermeneutico previsto dall'art. 1363 c.c.; né, a tal fine, può considerarsi sufficiente il mero richiamo, in calce al ricorso, all'intero fascicolo di parte del giudizio di merito, ove manchi una puntuale indicazione del documento nell'elenco degli atti (Cass. n. 4350 del 2015, n. 195 del 2016).

7. A ciò aggiungasi che l'elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi ha, al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, valenza meramente esemplificativa, sicché non preclude un'autonoma valutazione del giudice di merito in ordine all'idoneità di un grave inadempimento, o di un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore (tra le più recenti, Cass. n. 2830 del 2016).

8. Anche il terzo motivo è inammissibile. La Corte d'appello ha respinto l'eccezione formulata in appello ex art. 51 c.p.c. per insussistenza dei relativi presupposti. L'attuale ricorrente reitera tale eccezione senza prendere in esame la soluzione posta a base della sentenza impugnata. Il ricorso dunque difetta di specificità rispetto al decisum, in relazione alle previsioni di cui all'art. 366 n. 4 c.p.c. Il vizio della sentenza previsto dall'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dev'essere dedotto, a pena d'inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell'art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l'indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (v. Cass. 24298 del 2016, n. 5353 del 2007).

9. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell'art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

10. Sussistono i presupposti processuali (nella specie, inammissibilità/rigetto del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.