Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 settembre 2016, n. 18099

Pubblica amministrazione - Collocamento a riposo - Risoluzione del rapporto di lavoro - Raggiungimento dell'anzianità massima contributiva di 40 anni

 

Svolgimento del processo

 

1. La Corte d'Appello di Milano, con la sentenza n. 1651 del 2012, depositata il 13 agosto 2013, confermava la sentenza n. 214/10 emessa dal Tribunale di Como nella controversia promossa da G.A. nei confronti del Comune di Campione d'Italia.

2. G.A., dipendente del Comune di Campione d'Italia fino al 31 marzo 2010, aveva adito il Tribunale Di Como impugnando il provvedimento (delibera n. 168 del 27 agosto 2009) di collocamento a riposo, prima del compimento dei 65 anni di età, adottato in applicazione dell'art. 72, comma 11, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, che consentiva alla Pubblica amministrazione di risolvere il rapporto di lavoro dei propri dipendenti al raggiungimento, da parte degli stessi, dell'anzianità massima contributiva di 40 anni (40 anni e mesi 1).

Il ricorrente chiedeva accertarsi l'illegittimità della risoluzione, con la conseguente reintegra, con la qualifica e le mansioni espletate al momento del licenziamento, oltre corresponsione delle retribuzioni non percepite, maggiorate di interessi e rivalutazione.

3. Il giudice di primo grado riteneva che il collocamento a riposo trovasse piena giustificazione nella richiamata normativa, nel testo vigente all'epoca della risoluzione, che richiedeva come unico requisito la maturazione dell'anzianità massima contributiva di 40 anni e non richiedeva la prova del risparmio gestionale.

4. La Corte d'Appello confermava quanto statuito dal Tribunale.

Rilevava, in particolare, che non potevano trovare applicazione le disposizioni sul procedimento amministrativo, e poneva in evidenza come, pur non dubitandosi che il comportamento gestionale della pubblica Amministrazione deve essere informato ai canoni di buona fede e correttezza, l'art. 72 cit. non richiedeva nessun obbligo di motivazione circa la rideterminazione del fabbisogno e la riduzione del costo del personale, poiché era il raggiungimento dei limiti di anzianità la motivazione che giustificava il recesso, senza che assumessero rilievo ulteriori condizioni.

Infine, la Corte d'Appello riteneva che la questione di legittimità costituzionale prospettata dai lavoratori non superasse il vaglio di non manifesta infondatezza.

5. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello, ricorre G.A., prospettando cinque motivi di ricorso.

6. Resiste con controricorso il Comune di Campione d'Italia.

7. Entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità dell'udienza pubblica.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, in relazione all'art. 360, n. 3, cpc, la violazione per falsa applicazione dell'art. 72, comma llI del d.l. n. 112 del 2008, come sostituito dall'art. 17, comma 35, nonies, del d.l. n. 78 del 2009, conv. dalla legge n. 102 del 2009; violazione e mancata applicazione degli artt. 2 e 5, del d.lgs. n. 165 del 2001; violazione per mancata applicazione della legge n. 241 del 1990.

Erroneamente, la sentenza di appello aveva escluso che il recesso dovesse essere motivato, in ragione del richiamo contenuto nell'art. 72 , all'art. 5 del d.lgs. n. 165 del 2001, che a sua volta richiama l’art. 2 del medesimo. Ciò al fine di garantire il buon andamento e l'imparzialità dell'Amministrazione.

Il Comune avrebbe dovuto valutare le singole posizioni nell'ambito della rideterminazione del fabbisogno del personale, come si poteva rilevare anche dalla circolare n. 10/2008 del Dipartimento della funzione pubblica. Assumevano, altresì, rilievo i canoni di correttezza e buona fede, come sembrava evincersi, comunque, dalla stessa sentenza di appello.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotto l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360, n. 5, cpc. Violazione per falsa applicazione dell'art. 345 cpc, in relazione all'art. 360 n. 4, cpc. Violazione dell'art. 97 Cost.

Espone il ricorrente che prova della violazione del principio di imparzialità risiedeva nel fatto che altri due dipendenti del Comune, collocati a riposo contemporaneamente al ricorrente, poi erano stati riassunti senza alcuna spiegazione dei relativi atti di recesso e riassunzione.

Tale vicenda, invece, non condivisibilmente, era stata ritenuta non rilevante dalla Corte d'Appello in quanto relativa a circostanze sopravvenute, mentre proprio l'esame dei documenti prodotti avrebbe palesato la disparità do trattamento intervenuta.

3. Con il terzo motivo di ricorso, in relazione all'art. 360, n. 3, cpc, è prospettata la violazione dell'art. 2697 cc, dell'art. 34-bis del d.lgs. n. 165 del 2001.

La mancata motivazione dell'atto di recesso non consentiva di valutare la illogicità della risoluzione del rapporto di lavoro con il ricorrente, intervenuta con la contemporanea assunzione di altro dipendente, non potendosi, in merito, fare carico al lavoratore dell'onere della prova circa la possibilità di essere trasferito nel posto messo a concorso.

4. Con il quarto motivo di ricorso la sentenza di appello è censurata per la mancata applicazione dell'art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, in relazione all'art. 360, n. 3, cpc.

Il Comune di Campione d'Italia, disattendo la suddetta disciplina, procedeva a due nuove assunzioni, senza vagliare la concreta possibilità di trasferire il G. in uno dei due posti.

5. Con il quinto motivo di ricorso è prospettata questione di legittimità costituzionale della disciplina in esame per contrasto con gli artt. 3, 4 e 97 Cost.

Sussisterebbe disparità di trattamento tra la posizione del lavoratore privato e di quello alle dipendenze della Pubblica amministrazione, nonché l'ingiustificata temporaneità della norma in questione (art. 3 Cost).

Il collocamento a riposo senza idonea giustificazione violerebbe l'art. 4 Cost. (è richiamata la sentenza Corte cost., n. 60 del 1991, nonché la sentenza n. 153 del 1993).

Anche l’art. 97 Cost., infine sarebbe leso poiché la disciplina in esame non garantirebbe l'imparzialità dell'Amministrazione.

6. Tanto premesso, può passarsi all'esame dei motivi del ricorso che si incentrano sulle modalità e sulle condizioni di esercizio della facoltà di recesso attribuita alle Pubbliche amministrazioni dall'art. 72, comma 11, del d.l. n. 112 del 2008, in presenza del raggiungimento dell'anzianità contributiva di 40 anni.

Gli stessi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.

7. I motivi sono fondati e devono essere accolti facendosi applicazione del principio di diritto affermato, in ragione del quadro normativo costituzionale, nazionale e sovranazionale in materia, da questa Corte con la sentenza n. 11595 del 2016.

Con la citata sentenza questa Corte ha affermato: «La facoltà attribuita dall'art. 72, comma 11, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, alle Pubbliche amministrazioni di poter risolvere il rapporto di lavoro con un preavviso di sei mesi, nel caso di compimento dell'anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, deve essere esercitata, anche in difetto di adozione di un formale atto organizzativo, avendo riguardo alle complessive esigenze dell'Amministrazione, considerandone la struttura e la dimensione, in ragione dei principi di buona fede e correttezza, imparzialità e buon andamento, che caratterizzano anche gli atti di natura negoziale posti in essere nell'ambito del rapporto di pubblico impiego contrattualizzato. L'esercizio della facoltà richiede, quindi, idonea motivazione, poiché in tal modo è salvaguardato il controllo di legalità sulla appropriatezza della facoltà di risoluzione esercitata, rispetto alla finalità di riorganizzazione perseguite nell'ambito di politiche del lavoro».

In mancanza, la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato viola le norme imperative che richiedono la rispondenza al pubblico interesse dell'azione amministrativa (art. 5, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001), l'applicazione dei criteri generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 cc), e i principi di imparzialità e di buon andamento di cut all’art. 97 Cost., nonché l'art. 6, comma 1, della direttiva 78/2000/CE, come interpretato dalla CGUE.

7.1. Al richiamato principio di diritto si intende dare continuità, condividendone le motivazioni.

7.2. Nella fattispecie in esame, la comunicazione del recesso in esame interveniva ex art. 72, comma 11, primo e secondo periodo, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, poi convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nel testo che prevedeva "Nel caso di compimento dell'anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 possono risolvere, fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenze dei trattamenti pensionistici, Il rapporto di lavoro con un preavviso di sei mesi. Con appositi decreti" (...) "sono definiti gli specifici criteri e le modalità applicative dei principi della disposizione di cui al presente comma relativamente al personale dei comparti sicurezza e difesa (n.d.r., a cui, in sede di conversione, si aggiungeva quello "affari esteri"), tenendo conto delle rispettive peculiarietà ordinamentali".

L'art. 72, comma 11, veniva successivamente novellato dall'art. 6, comma 3, della legge 4 marzo 2009, n. 15, che ne modificava il testo, sostituendo il requisito del compimento dell'anzianità massima contributiva di 40 anni, con il requisito del "compimento dell'anzianità massima di servizio di 40 anni".

7.3. Come si può rilevare, pur cambiando significativamente il requisito in presenza del quale le pubbliche amministrazione potevano risolvere il rapporto di lavoro, passandosi dall'anzianità massima contributiva di 40 anni all'anzianità massima di servizio di 40 anni, in entrambi i casi, oltre il preavviso, non venivano stabilite in modo espresso altre condizioni "procedimentali", recte di formazione della volontà negoziale dell'Amministrazione, e motivazionali. Come si è visto, la determinazione di specifiche modalità applicative era espressamente prevista solo per II personale dei comparti sicurezza, difesa ed affari esteri, in ragione delle peculiarietà dei rispettivi ordinamenti.

7.4. Successivamente, I'art. 17, comma 35-novies, del d.l. Io luglio 2009 n. 78 convertito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, sostituiva il comma 11 dell'art. 72. Si faceva riferimento (anni 2009, 2010, 2011) al requisito della massima anzianità contributiva; si confermava il preavviso; si precisava la unilateralità del recesso collegandolo all'esercizio del potere di organizzazione esercitato ai sensi dell'art. 5, comma 2, del T.U., con la capacità e i poteri dei privato datore di lavoro; si prevedeva l'applicabilità della disciplina anche per il personale dirigenziale.

L'adozione di specifici criteri e modalità applicative continuavano ad essere previsti solo per i comparti sicurezza, difesa e affari esteri.

7.5. Tali punti sono rimasti immutati anche nelle successive novelle, fino all’intervento dell'art. 1, comma 5, del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, in ragione del quale il vigente art. 72, comma 11, primo periodo, prevede che "Con decisione motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi, le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, incluse le autorità indipendenti, possono, a decorrere dalla maturazione del requisito di anzianità contributiva per l'accesso al pensionamento" (...) "risolvere il rapporto di lavoro e il contratto individuale anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi e comunque non prima del raggiungimento di un'età anagrafica che possa dare luogo a riduzione percentuale"

La ricostruzione della disciplina va completata con il richiamo dell'art. 16, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, che, ha stabilito: "In tema di risoluzione del rapporto di lavoro l'esercizio della facoltà riconosciuta alle pubbliche amministrazioni prevista dal comma 11 dell'articolo 72 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, non necessita di ulteriore motivazione, qualora l'amministrazione interessata abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri di applicativi con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto dei competenti organi di controllo",

7.6. Proprio in ragione di tale ultima disposizione, questa Corte, con la sentenza n. 21626 del 2015 ha affermato che «è solo a partire da tale ulteriore modifica che l'esercizio della facoltà delle pubbliche amministrazioni di risolvere il rapporto di impiego sul presupposto del compimento dell'anzianità massima contributiva di quaranta anni è condizionato, in generale (ossia in tutti i comparti), alla previa adozione di un atto generale di organizzazione interna che ponga i criteri applicativi per l’esercizio di tale facoltà. In precedenza invece solo per alcuni comparti - come già rilevato - si richiedeva l'integrazione regolamentare per la definizione degli specifici criteri e le modalità applicative della disposizione che tale facoltà prevedeva». E se è chiaro, e dal Collegio condiviso, che il requisito della adozione dell'atto generale organizzativo (sostitutivo dell'ulteriore motivazione) è frutto di scelta innovativa (come detto dalla citata pronunzia del 2015), è altrettanto chiaro e condiviso che l'obbligo motivazionale - solo de futuro sostituito dall'atto generale - sussisteva già a regolare l'originaria risoluzione di cui aII'art. 72 comma 11 del d.l. del 2008.

8. La ricognizione normativa effettuata pone in evidenza come il legislatore ha avvertito l'esigenza di ancorare la facoltà attribuita alla PA, nonostante il ribadito contesto privatistico, all'effettuazione di una valutazione oggetto di ostensione, in sintonia con quanto più volte affermato dalla Corte costituzionale, e cioè che la Pubblica amministrazione «conserva pur sempre - anche in presenza di un rapporto di lavoro ormai contrattualizzato - una connotazione peculiare», essendo tenuta «al rispetto dei principi costituzionali di legalità, imparzialità e buon andamento cui è estranea ogni logica speculativa» (Corte cost., sentenze n. 146 del 2008, n. 82 del 2003).

Il carattere facoltativo della risoluzione in ragione di anzianità necessita, per non tradursi in discriminazione, di un percorso valutativo che garantisca la legittima finalizzazione dell'interesse pubblico dell'Amministrazione ad una più efficace ed efficiente organizzazione, nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza e dei criteri di imparzialità e trasparenza: ciò costituendo garanzia dei diritti dei lavoratori, dei buon andamento dell'amministrazione e del generale interesse al corretto esercizio dell'azione pubblica, in un ragionevole bilanciamento dei diversi interessi costituzionalmente protetti che vengono in rilievo.

9. Le ragioni della risoluzione non possono pertanto rinvenirsi nel solo raggiungimento dell'anzianità contributiva in questione, come affermato dalla Corte d'Appello di Milano, che, quindi, erroneamente ha ritenuto esaustivo il provvedimento dell'Amministrazione comunale.

Quanto affermato nella delibera n. 168 del 27 agosto 2009, riportato nella sentenza di appello, che l'amministrazione comunale "intende riorganizzare la dotazione organica e contemporaneamente perseguire gli obiettivi di finanza pubblica atti al conseguimento della riduzione del costo del personale", "considerato altresì l'esigenza di ridefinizione delle strutture organizzative in relazione anche a progetti di Innovazione tecnologica ed ammodernamento, tenuto conto degli indirizzi del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione", in quanto non sostanzia una specifica considerazione della posizione professionale del Guida, non soddisfa di per sè la suddetta esigenza di motivazione, atteso che il Guida, avendo maturato un'anzianità contributiva di 40 anni e mesi 1, veniva collocato a riposo in quanto "possiede i requisiti soggettivi ed oggettivi".

10. Il ricorso va pertanto accolto. La sentenza deve essere cassata con rinvio, non potendo essere decisa nel merito, alla Corte d'Appello di Milano, la quale, in diversa composizione, procederà al riesame dei motivi rigettati adeguandosi al principio di diritto sopra trascritto, già enunciato, con condivisa motivazione, nella sentenza di questa Corte n. 11595 del 2016, e conclusivamente regolerà le spese anche del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d'Appello di Milano in diversa composizione.