Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 03 aprile 2017, n. 8608

Lavoro - Nuovo rapporto professionale di natura privatistica - Dirigente - Riconoscimento della qualifica

 

Fatti di causa

 

P. O. deduceva di aver svolto mansioni di direttore di mercato del Comune di Roma per oltre un ventennio dal 1982 e di aver optato, nel 1992, per la costituzione di un nuovo rapporto professionale di natura privatistica con la qualifica di Dirigente con incarico di direzione dei mercati ittici comunali. Ricorreva, pertanto, al Tribunale di Roma in funzione di Giudice del Lavoro, per sentir dichiarare il proprio diritto al riconoscimento della qualifica di dirigente - che il Comune aveva arbitrariamente riconosciuto solo dal 1994 - e al corrispondente trattamento economico e chiedendo che lo stesso trattamento fosse equiparato a quello dei direttori delle aziende municipalizzate di servizi del Comune di Roma, così come disposto dalla legge reg. Lazio n. 74/1984 e dalla successiva delibera attuativa della G.r. n. 11806/1991 recante "Approvazione del Regolamento per i mercati all'ingrosso operanti nel Comune di Roma". Chiedeva poi di sentir condannare quest'ultimo all'adempimento in proprio favore degli obblighi, anche di natura previdenziale, previsti dai contratti collettivi e dagli accordi nazionali per i dirigenti delle imprese pubbliche degli enti locali, comprensivi della corresponsione degli elementi aggiuntivi e delle maggiorazioni individuali ivi contemplate. Il Tribunale nel 2006 respingeva il ricorso, pronunciandosi anche sulle spettanze antecedenti al 1998.

L'O. ricorreva avverso la decisione del Tribunale. La Corte d'Appello di Roma, con sentenza in data 21/9/2008 confermava parzialmente la decisione, accogliendo l'eccezione di difetto di giurisdizione sulle domande fino al 30 giugno 1998 e, quanto alle domande posteriori, respingendo il gravame, in ragione del mancato assolvimento, da parte del ricorrente, dell'onere di provare quali fossero esattamente le sue rivendicazioni e le voci economiche invocate e quali, fra queste, quelle per cui egli riteneva di aver maturato il diritto alla liquidazione.

Avverso la sentenza della Corte d'Appello di Roma ricorre in Cassazione P. O. affidando le sue ragioni a quattro motivi.

Resiste con controricorso il Comune di Roma.

P. O. ha depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1) Violazione di norme di legge in materia di giurisdizione, cosa giudicata, e giudicato interno, in ordine alla questione di giurisdizione, sollevata dalla parte resistente in primo grado - preclusione per mancata impugnazione della sentenza di primo grado in punto di giurisdizione da parte dell'appellante.

Nel primo motivo parte ricorrente deduce che, quanto alla giurisdizione sulle domande precedenti al 1998, affrontata e risolta dal Tribunale, si fosse formato il giudicato, essendosi limitata, la parte risultata vittoriosa, a riproporre la questione nella memoria di costituzione e non già, come avrebbe dovuto, con ricorso incidentale avverso la sentenza del giudice di prime cure.

Il Collegio ritiene il motivo fondato. Parte ricorrente prospetta il motivo quale vizio processuale (art. 360, n. 4 cod. proc. civ.) che avrebbe determinato un'anomalia nel modello legale della serie procedimentale. La circostanza secondo cui il Comune di Roma ha proposto il difetto di giurisdizione per le domande ante 1998 nell'atto costitutivo di appello, e non in forma di ricorso incidentale avverso la sentenza del Tribunale, avrebbe dovuto inibire una pronuncia sulla giurisdizione da parte della Corte territoriale, essendosi già formato, sulla medesima domanda, il giudicato interno. Diversamente argomentando, s'introdurrebbe nel processo la possibilità di una declinazione "prò parte" della competenza giurisdizionale, il che appare chiaramente in contrasto con l'ordine processuale (da ultimo cfr. Cass. Sez.U. n. 26266/2016).

2) Mancato apprezzamento e valutazione delle "piste probatorie" indicate da parte ricorrente nell'atto introduttivo del giudizio, in violazione dei nn. 1 e 2 dell'art. 360 cod.proc.civ. e dell'art. 421 cod. proc. civ.

Nel secondo motivo, la ricorrente contesta l'affermazione del giudice di Appello, di non aver soddisfatto l'onere di allegazione ex art. 2697, 1° co. cod. civ., evidenziando sia la difficoltà di ottenere dal Comune la documentazione di sua esclusiva pertinenza, sia di aver svolto un'adeguata attività rivolta a ricostruire la documentazione utile a ricavare l'entità del credito vantato. Rileva, inoltre, come la Corte territoriale non si sia avvalsa degli ampi poteri istruttori che la legge sul processo del lavoro le conferisce.

3) Violazione e falsa applicazione di norme imperative di diritto ex art. 360 cod. proc. civ. e violazione degli artt. 35 e 36 Cost.

Nel terzo motivo la ricorrente assume che la Corte d'Appello non abbia tenuto conto della pluralità di fonti normative che disciplinano il trattamento economico spettante al direttore di mercato comunale (Legge reg. Lazio n. 74/1984, Accordo collettivo nazionale dei Dirigenti delle imprese pubbliche enti locali) tra cui avrebbe dovuto scegliere la più favorevole al dipendente in ossequio al principio del favor laboris di cui all'art. 36 Cost.

4) Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa i fatti controversi e decisivi per il giudizio, nonché erronea valutazione dei principi giuridici.

Nel quarto e ultimo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la disapplicazione, da parte della Corte territoriale, della Legge reg. Lazio n. 74/1984, recante "Norme per la disciplina dei mercati all'ingrosso" e della delibera di attuazione della G.R. n.11806/1991, da cui si ricaverebbe che il direttore di mercato comunale viene equiparato a livello economico ai direttori delle aziende di servizi comunali e assume la qualifica dirigenziale.

Il Collegio, quanto ai motivi nn. 2, 3, 4, ritiene che essi vadano assorbiti e, in ossequio al principio di unitarietà del rapporto di lavoro ai fini della giurisdizione (S.U. n. 14799/2016), esaminati dal giudice del rinvio, al quale spetta verificare le censure ivi formulate dal ricorrente, considerando anche i periodi ante 1998 sui quali - in virtù del formarsi del giudicato interno fin dal primo grado di giudizio - si è radicata la competenza del giudice ordinario.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario; dichiara assorbiti il secondo, il terzo e il quarto motivo; cassa la sentenza, in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.