Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 16 aprile 2019, n. 10649

Indebita percezione di assegno mensile di assistenza - Declaratoria d'irripetibilità delle somme richieste dall'Inps - Indebito assistenziale - Ripetibilità successivamente al momento in cui intervenga il provvedimento che accerta il venir meno delle condizioni di legge, salvo ricorrenza ipotesi che a priori escludano un qualsivoglia affidamento - Buona fede del percettore rilevabile in una condotta che sia connotata dall'assenza di qualsiasi violazione dei doveri di correttezza su di lui gravanti

 

Rilevato in fatto

 

che, con sentenza depositata il 13.2.2017, la Corte d'appello di Caltanissetta, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda di C.B. volta alla declaratoria d'irripetibilità delle somme richiestele dall'INPS e rivenienti da indebita percezione di assegno mensile di assistenza (successivamente trasformato in assegno sociale) nel periodo 1.1.2004-30.9.2011, a seguito del riconoscimento della pensione di reversibilità;

che avverso tale pronuncia C.B. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura;

che l'INPS ha resistito con controricorso;

che è stata depositata proposta ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio;

che C.B. ha tardivamente depositato memoria;

 

Considerato in diritto

 

che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 52, l. n. 88/1989, così come interpretato dall'art. 13, L. n. 412/1991, per avere la Corte di merito qualificato come dolosa la sua condotta nonostante che ella avesse confidato in buona fede nel fatto che il centro di assistenza fiscale al quale si era rivolta comunicasse all'INPS l'avvenuta attribuzione della pensione di reversibilità;

che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 13, comma 2, L. n. 412/1991, e 1227 c.c., per avere la Corte territoriale consentito il recupero dell'indebito oltre il limite dell'anno previsto dalla disposizione cit.;

che l'INPS ha resistito argomentando che la sentenza, pur essendo erronea in diritto per aver ritenuto applicabile alla fattispecie gli artt. 52, L. n. 88/1989, e 13, L. n. 412/1991, riferibili all'indebito previdenziale laddove nel caso di specie si controverte in tema di indebito assistenziale, sarebbe nondimeno corretta quanto al dispositivo, non essendo applicabili a tale ultimo indebito i limiti di ripetibilità propri dell'indebito previdenziale e operando invece al riguardo il diverso principio secondo cui, allorché il diritto ad una prestazione assistenziale sia venuto meno per motivi collegati alla perdita del c.d. requisito reddituale, si fa luogo all'integrale recupero della somma indebitamente percepita successivamente al 30.6.2003, data di entrata in vigore dell'art. 42, comma 5, d.l. n. 269/2003 (conv. con L. n. 326/2003), non ravvisandosi alcuna norma speciale di settore che valga a sottrarre l'indebito assistenziale alla disciplina generale dell'art. 2033 c.c.;

che tale principio, già affermato da Cass. n. 23097 del 2013, è stato recentemente precisato nel senso che l'indebito assistenziale, in mancanza di norme specifiche che dispongano diversamente, è ripetibile solo successivamente al momento in cui intervenga il provvedimento che accerta il venir meno delle condizioni di legge, a meno che non ricorrano ipotesi che a priori escludano un qualsivoglia affidamento, come nel caso di erogazione di prestazione a chi non sia parte di alcun rapporto assistenziale né ne abbia mai fatto richiesta, nel caso di radicale incompatibilità tra beneficio ed esigenze assistenziali o in caso di dolo comprovato dell'accipiens, in quanto coefficiente soggettivo idoneo a far venir meno l'affidamento alla cui tutela sono preposte le norme limitative della ripetibilità dell'indebito (Cass. n. 28771 del 2018);

che, nel caso di specie, la Corte di merito ha accertato che l'odierna ricorrente «ha omesso, fin dal 2002, di comunicare all'INPS di essere diventata percettrice di pensione di reversibilità INPDAP e di non possedere dunque più i requisiti reddituali» per beneficiare della prestazione assistenziale che aveva in godimento (così la sentenza impugnata, pag. 9);

che, rispetto all'operato dell'ente debitore, la buona fede del percettore è rilevabile in una condotta che sia connotata dall'assenza di qualsiasi violazione dei doveri di correttezza su di lui gravanti (cfr., per fattispecie analoghe, Cass. nn. 17576 del 2002, 537 del 2015), coerentemente con il principio generale secondo cui ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio ha il dovere di tutelare l'utilità e gli interessi dell'altra, nei limiti in cui ciò possa avvenire senza un apprezzabile sacrificio (Cass. n. 17642 del 2012);

che, non potendo nel caso di specie ritenersi la correttezza della condotta dell'odierna ricorrente, in ragione dell'accertata (e non rivedibile in questa sede, in mancanza di uno specifico motivo di gravame ex art. 360 n. 5 c.p.c.) violazione degli obblighi di comunicazione all'INPS delle situazioni rilevanti ai fini del diritto alla percezione della prestazione assistenziale di cui aveva il godimento, deve escludersi la sussistenza di un affidamento idoneo a giustificare la irripetibilità dell'indebito;

che, pertanto, corretta negli anzidetti termini la motivazione della sentenza impugnata, il ricorso, assorbito il secondo motivo, va rigettato;

che le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;

che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 2.700,00, di cui € 2.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.