Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 17 gennaio 2018, n. 1010

Condono fiscale - art. 12 della legge 27 dicembre 2002, n. 289

Fatti di causa

Rilevato che il contribuente, la Società S. s.r.l. in liquidazione, come subentrata nei diritti della F.T.B. s.r.l. anch'essa in liquidazione, aderiva al condono fiscale previsto dall'art. 12 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, in relazione a due carichi di ruolo relativi ad imposte dirette afferenti alle annualità d'imposta del 1995 e del 1996, versando, come previsto da tale norma, il quantum richiesto del 25% dell'importo complessivamente a ruolo, mediante il pagamento dell'acconto (l'80% di tale 25%) in data 16 maggio 2003 e del saldo (il residuo 20% di tale 25%) in data 16 aprile 2004;

che l'Agenzia delle Entrate, in data 10 aprile 2010, notificava al contribuente il provvedimento di diniego della definizione dei carichi di ruolo per la mancanza dei relativi presupposti (non attinenti al quantum dovuto);

che avverso tale provvedimento il contribuente ricorreva alla Commissione Tributaria Provinciale di Latina, la quale, con sentenza n. 198/04/2011 depositata il 22 marzo 2011, accoglieva il ricorso annullando il provvedimento di diniego in quanto la notifica del ricorso era stata effettuata oltre il termine di decadenza previsto dall'art. 37, comma 44, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge 4 agosto 2006, n. 248 (norma secondo la quale la notifica delle cartelle di pagamento conseguenti alle iscrizioni a ruolo previste dagli articoli 7, 8, 9, 14, 15, e 16 della legge n. 289 del 2002 è eseguita a pena di decadenza entro il 31 dicembre 2008), potendosi equiparare la notifica del diniego del condono a quella della cartella esattoriale;

che la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sezione distaccata di Latina, con sentenza n. 177/39/13, depositata il 4 aprile 2013, respingeva l'appello dell'Agenzia delle Entrate nei confronti del contribuente, ritenendo che, anche se l'art. 12 della legge n. 289 del 2002 non prevede alcun termine esplicito per la notifica di eventuali dinieghi, pur tuttavia anche nel caso di tale norma poteva applicarsi il termine decadenziale di cui all'art. 37, comma 44, del D.L. n. 223 del 2006, per evidenti ragioni di coerenza sistematica, di certezza dei rapporti giuridici e di sostanziale parità di trattamento rispetto all'ipotesi previste in quest'ultima norma, ma anche e soprattutto perché sarebbe irragionevole applicare un termine diverso e più lungo oppure - come richiesto dall'Agenzia delle Entrate - la prescrizione ordinaria di dieci anni cui all'art. 2946 cod. civ.;

che l'Agenzia delle Entrate proponeva ricorso affidato ad un motivo e il contribuente si costituiva con controricorso;

 

Ragioni della decisione

 

Considerato che con l'unico motivo d'impugnazione, in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, la ricorrente Avvocatura dello Stato deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 12 della legge n. 289 del 2002 e dell'art. 37, comma 44, del D.L. n. 223 del 2006 perché il termine decadenziale previsto in quest'ultima norma non sarebbe applicabile in via analogica all'art. 12 citato, in quanto quest'ultima norma non fa alcun riferimento a termini tassativi di decadenza per l'Amministrazione finanziaria nell'eseguire il controllo sulla regolarità del condono e avrebbe natura eccezionale e peculiarità diverse rispetto alle altre norme della legge n. 289 del 2002 citate dall'art. 37, comma 44 citato;

che il contribuente resistente chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile per difetto di rappresentanza dell'Avvocatura dello Stato, in quanto mancherebbe l'esistenza di una richiesta dell'Agenzia delle Entrate circa l'intervento dell'Avvocatura;

che il contribuente resistente chiede in subordine che il ricorso sia rigettato in quanto l'art. 37, comma 44, citato, secondo cui la notifica delle cartelle di pagamento conseguenti alle iscrizioni a ruolo previste dalla legge n. 289 del 2002 sarebbe applicabile al caso di specie dovendosi comunque individuare un "termine certo" adeguato all'esigenza di non lasciare il contribuente esposto indefinitamente all'azione esecutiva del Fisco;

ritenuto che, l'eccezione di inammissibilità è infondata in quanto in tema di contenzioso tributario l'Avvocatura dello Stato, per proporre ricorso per cassazione in rappresentanza dell'Agenzia delle entrate, deve avere ricevuto da quest'ultima il relativo incarico, del quale, però, non deve farsi specifica menzione nel ricorso atteso che l'art. 366, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., inserendo tra i contenuti necessari del ricorso "l'indicazione della procura, se conferita con atto separato", fa riferimento esclusivamente alla procura intesa come negozio processuale attributivo dello ius postulandí (peraltro non necessario quando il patrocinio dell'Agenzia delle entrate venga assunto dalla Avvocatura dello Stato) e non invece al negozio sostanziale attributivo dell'incarico professionale al difensore (Cass. 4 novembre 2016, n. 22434);

ritenuto che nel merito il ricorso è infondato;

che infatti, se è vero che secondo l'orientamento di questa Corte «i rapporti tributari per i quali sia stato richiesto il condono fiscale non possono intendersi definiti prima del controllo da parte dell'Amministrazione sulla correttezza, completezza e sufficienza dei necessari adempimenti», tuttavia è altrettanto vero che tale controllo deve avvenire in tempi ragionevoli, anche se la legge n. 289 del 2012, art. 12 non prevede uno specifico termine entro il quale tale potere di controllo debba essere esercitato e anche se la domanda di condono del contribuente non può essere assimilata (ai fini della disciplina applicabile) a una sorta di dichiarazione dei redditi (Cass. n. 8772 del 2017 e nn. 636 e 11986 del 2012);

che infatti l'art. 37, comma 44 citato, lungi dall'avere natura eccezionale, come sostenuto dall'Agenzia delle Entrate, è norma di carattere generale, applicabile a tutti i rapporti pendenti (in questo senso Cass., 8 febbraio 2017, n. 3342), in quanto costituisce espressione dei principi di ragionevolezza, tutela dell'affidamento del contribuente, buon andamento dell'azione amministrativa ed è dunque suscettibile di applicazione in via analogica anche all'art. 12 (parimenti citato), in virtù di una interpretazione costituzionalmente orientata del suddetto art. 37, comma 44;

che pertanto, alla luce dei principi espressi dagli artt. 3 (ragionevolezza) 24 e 97 Cost., nonché del principio di collaborazione e buona fede che deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente - sancito dall'art. 10, comma 1, della legge n. 212 del 2000 (cd. "Statuto del contribuente") - non appare ammissibile una indefinitezza dei limiti temporali della procedura di valutazione della domanda di condono, sì da potersi ritenere legittima una pendenza sine die di detta procedura anche dopo il decorso di un congruo lasso di tempo;

che pertanto - anche alla luce del principio di solidarietà economica e sociale di cui all'art. 2 Cost. che deve ispirare anche i rapporti fra pubblica amministrazione e cittadino - non appare tollerabile che il contribuente sia assoggettato all'azione esecutiva del Fisco per un tempo indeterminato, o comunque eccessivo e irragionevole, soprattutto nei casi in cui, e questo sembra davvero uno di quelli, l'Amministrazione è chiamata a compiere una semplice operazione di verifica meramente formale;

che la mancata definizione della procedura di condono con la concreta attuazione del controllo da parte dell'Amministrazione si è infatti protratta per un lasso di tempo irragionevole (nel caso di specie il diniego è stato notificato 6 anni dopo l'ultimo pagamento effettuato dal contribuente), con la conseguente dichiarazione di infondatezza della censura in esame;

che pertanto il ricorso va rigettato;

che il consolidamento dei principi sopraindicati in epoca successiva alla proposizione del ricorso e la complessità della questione giustificano la compensazione delle spese della presente fase di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Compensa integralmente le spese del giudizio.