Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 28 aprile 2017, n. 10582

Esposizione a fibre di amianto - Benefici previdenziali - Riconoscimento - Concentrazione superiore al valore previsto - Accertamento

 

Fatti di causa

 

La Corte d'appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di rigetto della domanda di G.A.V. volta a vedersi riconosciuti i benefici previdenziali di cui all'art. 13, comma 8, L. n. 257/1992, come modificato dal D.L. n. 169/1993 conv. in L. n. 271/1993, per essere stato esposto all'inalazione di fibre d'amianto lavorando alle dipendenze della GEPI spa nell'edificio sito in Roma - (...) - dal 30/1/1980 al 30/7/2000.

La Corte ha rilevato che il CTU, all'esito di un'indagine scrupolosa, aveva ritenuto che il V. non fosse stato esposto per un periodo superiore a 10 anni alle fibre d'amianto in concentrazione superiore al valore previsto dall'art. 24 del d.lgs 271/1991. Ha dedotto, inoltre, che tali conclusioni erano state solo genericamente contestate senza evidenziare errori ed incongruenze dell'analisi del CTU.

Avverso la sentenza ricorre il V. con due motivi. Resiste l'Inps con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione e violazione degli artt. 116 e 132 cpc.

Lamenta che la Corte d'appello aveva recepito acriticamente le conclusioni del CTU; non aveva approfondito le ragioni del rigetto considerate le osservazioni critiche sviluppate dalla parte e la circostanza che il CTU non aveva competenze specifiche trattandosi di materia riservata ad un ingegnere chimico. Osserva che il CTU non aveva accertato le tecniche costruttive dell'edificio verificando l'utilizzo di amianto, né aveva fatto cenno alle analisi eseguite durante la bonifica, all'analisi dei sistemi utilizzati per i rivestimenti antifiamma; non aveva accertato se, al di sotto di solai, vi fossero controsoffitti con bocche di areazione forzata né se il pavimento fosse ignifugo.

Il motivo è infondato. Il ricorrente si duole che la sentenza non sia sufficientemente motivata in quanto si è adeguata acriticamente alle conclusioni del CTU che secondo il ricorrente erano errate. Non evidenzia, tuttavia, vizi di motivazione o lacune della stessa ed il motivo si risolve invece in censure alle conclusioni della CTU che il ricorrente non ritiene convincenti, ma neppure riporta i punti salienti della CTU, né le critiche che assume di aver svolto davanti alla Corte d'appello che quest'ultima non avrebbe esaminato. Dalla sentenza emerge, invece che "le conclusioni del CTU erano state solo genericamente contestate in sede di discussione, attraverso argomenti espressione di un diverso modo di valutare i dati di indagine, non tali peraltro da evidenziare errori od incongruenze nell'analisi e nelle conclusioni stesse del CTU".

Deve, altresì rilevarsi che questa Corte ha più volte affermato che il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1°, n. 5, cod.proc.civ. si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione; tali vizi non possono consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova, mentre alla Corte di Cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l'apprezzamento dei fatti (cfr. ex plurimis, Cass., sez. un., Sez. Un., 25 ottobre 2013, n. 24148; Cass., 18 marzo 2011, n. 6288; Cass., 2 luglio 2008, n. 18119; Cass., 11 luglio 2007, n. 15489).

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del combinato disposto dell'art. 13, comma 8, L. n. 257/1992, del D.lgs n. 277/1991 e della L. n. 326/2003. Osserva che l'edificio di (...), ove aveva lavorato per molti anni, era realizzato con strutture ignifughe con amianto spruzzato e coibentato con pannelli contenenti asbesto, utilizzata anche in ambienti di lavoro; che era stata effettuata la bonifica e che, pertanto, sussisteva la certezza che i valori accertati fossero sicuramente nocivi altrimenti non ne sarebbe stata disposta la bonifica. Rileva che la L. n. 257/1992 era successiva al D.lgs n. 277/1991 e che pertanto se il legislatore avesse voluto condizionare l'attribuzione della maggiorazione al superamento della soglia di cui all'art. 24 del d.lgs n. 277/1991 lo avrebbe espressamente previsto con la conseguenza che la mancanza di qualsiasi riferimento al citato art. 24 stava a significare che il legislatore aveva inteso riconoscere la maggiorazione ai lavoratori esposti a prescindere dalla quantità di fibre.

Il motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte il beneficio in questione presuppone l'assegnazione ultradecennale del lavoratore a mansioni comportanti un effettivo e personale rischio morbigeno a causa della presenza nel luogo di lavoro di una concentrazione di fibre di amianto superiore ai valori limite indicati nel d.lgs. n. 277 del 1991. Al fine di non rendere impossibile il riconoscimento di tale beneficio, questa Corte ha altresì affermato che sotto il profilo probatorio non è però necessario che il lavoratore fornisca la prova atta a quantificare con esattezza la frequenza e la durata dell'esposizione, potendo ritenersi sufficiente, qualora ciò non sia possibile, avuto riguardo al tempo trascorso e al mutamento delle condizioni di lavoro, che si accerti, anche a mezzo di consulenza tecnica, la rilevante probabilità di esposizione del lavoratore al rischio morbigeno, attraverso un giudizio di pericolosità dell'ambiente di lavoro, con un margine di approssimazione di ampiezza tale da indicare la presenza di un rilevante grado di probabilità di superamento della soglia indicata dalla legge (Cass. Sez. L, Sentenza n. 16119 del 01/08/2005, Sez. L, Sentenza n. 19456 del 20/09/2007). La giurisprudenza di questa Corte ha, cioè, chiarito che la prova, la quale grava sul lavoratore, dell'esposizione all'amianto in misura superiore alle soglie previste dalla legge "deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità di una concentrazione di fibre qualificata, questa può essere ravvisata in presenza di un elevato grado di probabilità (in termini, Cass. n. 19456 del 2007; conformi: Cass. n. 10390 del 2009; Cass. n. 4579/2012 cit.; di "rilevante grado di probabilità" parla Cass. n. 16119 del 2005 e Cass. n. 4898 del 2010 aggiunge che tale accertamento deve essere effettuato per "ogni anno utile compreso nel periodo ultradecennale").

Il fatto costitutivo del diritto al conseguimento dei benefici di cui all'art. 13, comma 8, della I. n. 257 del 1992 non si identifica, pertanto, con la mera durata ultradecennale dello svolgimento dell'attività lavorativa in un luogo nel quale è presente amianto, essendo necessaria anche la prova dell'esposizione qualificata, che può ritenersi raggiunta solo in presenza di un elevato grado di probabilità di esposizione in misura superiore alle soglie previste dalla legge (cfr 25050/2015).

Tanto comporta che l'accertamento della semplice durata di quell'attività, senza accertamento del rischio effettivo e, quindi, senza l'apprezzamento di una esposizione "qualificata" non costituisce, di per sè, ragione di riconoscimento del diritto al beneficio contributivo.

Nella specie la Corte territoriale ha manifestato di aderire ai principi di cui sopra ed all'esito di una CTU volta proprio ad accertare la presenza nel luogo di lavoro del ricorrente di un rilevante grado di probabilità circa il superamento della soglia massima di tollerabilità, ha escluso che sussistesse tale superamento aderendo alle conclusioni del CTU che secondo la Corte ha "tenuto conto della storia lavorativa, della descrizione delle condizioni lavorative e dei relativi rischi riportati in atti, di quella acquisita nel corso delle operazioni peritali, dei risultati analitici presenti in atti, coerenti con altri dati rilevabili in letteratura, applicando il criterio del rilevante grado di probabilità" (cfr per una fattispecie relativa al medesimo edificio di (...) Cass. ord. n. 11908/2012).

Le censure del ricorrente, che ripropone innanzitutto la tesi relativa alla non esistenza di una soglia minima di esposizione all'amianto ai fini del riconoscimento del beneficio della maggiorazione contributiva oggetto della domanda, non sono idonee ad inficiare le conclusioni cui è pervenuta la Corte non riportando neppure i punti salienti della CTU al fine di consentire di valutare la violazione da parte del consulente e quindi del giudice dei principi di cui sopra.

Le spese processuali seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese processuali liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 2000,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.