Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 18 maggio 2017, n. 12487

Infortunio sul lavoro - Danno non patrimoniale - Risarcimento - Rischio coperto dalla polizza - Danno previdenziale

 

Fatti di causa

 

La S. s.p.a. - condannata al risarcimento del danno non patrimoniale subito da un proprio dipendente in occasione di un infortunio sui lavoro - richieste ed ottenne l'emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti della M.A. s.p.a., a titolo di manleva, in relazione ad una polizza - stipulata nel 1988 - che assicurava la responsabilità civile della S. verso terzi e prestatori di lavoro.

L'ingiunta propose opposizione deducendo che il rischio era stato assunto in coassicurazione con la S.A. s.p.a. e che la polizza operava esclusivamente per il danno previdenziale (relativo alla rivalsa INAIL) e non anche per il danno non patrimoniale patito dal lavoratore.

Nel giudizio di costituì la I.A. s.p.a. (già S.), chiamata in causa dalla S., e intervenne G.R. di Torrepadula, quale cessionario del credito della S.

Il Tribunale definì il giudizio con l'estromissione della S. e la revoca del decreto ingiuntivo.

La Corte di Appello ha rigettato il gravame proposto dal R. di Torrepadula, il quale ha proposto ricorso per cassazione affidandosi a quattro motivi; hanno resistito, con distinti controricorsi, la U.A. s.p.a. (già M.A.) e l'I.A. s.p.a.. Hanno depositato memoria il ricorrente e la U.

 

Ragioni della decisione

 

1. La Corte di Appello ha richiamato precedenti di legittimità secondo cui l'ambito di copertura di un contratto di assicurazione privata che sia stato stipulato in epoca antecedente all'entrata in vigore del D. Lvo n. 38/2000 (il cui articolo 13 ha introdotto l'indennizzo del danno biologico a carico dell'INAIL) e che faccia riferimento ai casi di responsabilità del datore di lavoro ai sensi degli artt. 10 e 11 D.P.R. n. 1124/1965 riguarda unicamente il danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa e non anche il danno biologico ed il danno morale subiti dal lavoratore, salva diversa manifestazione di volontà delle parti intesa ad estendere il rischio coperto dalla polizza; ciò premesso, ha ritenuto che, nel caso di specie, il tenore letterale della clausola 13 lett. b) della polizza, che richiamava espressamente gli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 1124/1965, fosse «univoco» nel senso della limitazione della copertura al danno patrimoniale, senza che residuasse «alcun margine di dubbio suscettibile di chiarimenti mediante ricerche sulla comune intenzione delle parti, precluso ogni altro criterio preposto, ai sensi degli artt. 1366 e 1370 c.c.».

2. Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 1362, 1366 e 1370 cod. civ.

Il ricorrente assume che la Corte ha omesso di dare rilievo al comportamento complessivo tenuto dalle due compagnie assicuratrici in epoca posteriore alla stipulazione della polizza, segnatamente al fatto che la Milano avesse atteso oltre sette anni dall'infortunio «per disconoscere il proprio obbligo di indennizzo», provvedendo nel frattempo a pagare la provvisionale liquidata all'infortunato in sede penale (nel cui importo la stessa compagnia aveva dichiarato «assorbito il risarcimento del danno morale»); evidenzia altresì che la Milano aveva gestito per oltre un anno la lite promossa dall'infortunato nei confronti della S. avanti al Giudice del Lavoro, mostrando di avere interesse a contrastare le pretese risarcitone dell'infortunato; aggiunge che, rimborsando alla coassicuratrice una somma comprendente la liquidazione del danno morale, anche la ITAS aveva confermato, con la propria condotta, che l'assicurazione copriva la S. ben oltre il limite della rivalsa esercitabile dall'INAIL.

Sotto altro profilo, sostiene che non risulta conforme a buona fede un'interpretazione del contratto volta ad affermare che le parti avevano inteso escludere la copertura per il danno biologico, tenuto conto che, all'epoca della stipula della polizza, il dibattito sulla figura del danno biologico era appena agli albori.

Aggiunge che la Corte aveva del tutto ignorato la previsione dell'art. 1370 cod. civ., che comportava che le clausole - predisposte dalla compagnia - dovevano essere interpretate, nel dubbio, a favore dell'assicurato.

2.1. Il motivo è infondato.

Va innanzitutto considerato che la soluzione accolta dalla sentenza è conforme ai consolidati orientamenti di legittimità secondo cui «in tema di infortuni sul lavoro, l'ambito della copertura di un contratto di assicurazione privata, che faccia riferimento ai casi di responsabilità del datore di lavoro ai sensi della disciplina antinfortunistica di cui all'art. 10 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (applicabile per il periodo antecedente l'entrata in vigore del d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38) riguarda unicamente il danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa e non anche il danno alla salute o biologico ed il danno morale (art. 2059 cod. civ.), entrambi di natura non patrimoniale, subiti dal lavoratore, salva diversa manifestazione di volontà delle parti intesa ad estendere il rischio coperto dalla polizza anche ai predetti danni» (Cass. n. 25860/2010; conformi, Cass. n. 16376/2006, Cass. n. 5507/2004 e Cass. n. 4920/2004; cfr. anche Cass. n. 2512/2013).

Ciò premesso e rilevato che la polizza -stipulata nell'anno 1988 - assicurava espressamente la responsabilità civile gravante sul datore di lavoro ai sensi degli artt. 10 e 11 D.P.R. n. 1124/1965, va escluso che risultino violati i criteri ermeneutici di cui all'art. 1362 cod. civ. in quanto la Corte ha ricostruito la comune volontà delle parti sulla base dello specifico tenore della clausola, ritenendolo a tal punto univoco da non lasciare margini di dubbio e da non comportare la necessità di indagini ulteriori; né, d'altra parte, la circostanza che la Milano abbia versato una provvisionale penale asseritamente comprensiva del danno morale, costituisce indice univoco del fatto che la copertura assicurativa fosse estesa anche al danno biologico; tanto più alla luce della condotta successiva della compagnia che, nell'anno 1996, comunicò di non voler continuare a gestire il processo penale e la lite civile, ponendo in essere una condotta antitetica rispetto alla volontà di riconoscere l'estensione della garanzia ai danni non patrimoniali.

Né - in relazione alla dedotta violazione dell'art. 1366 cod. civ. - la circostanza che l'elaborazione della figura del danno biologico fosse ancora agli albori all'epoca della stipula della polizza è idonea a far ritenere che le parti non intendessero escluderlo dalla garanzia, deponendo semmai nel senso che le parti non lo abbiano proprio voluto considerare.

Neppure risulta ipotizzabile la violazione della disposizione dell'art. 1370 cod. civ. in quanto non ricorre un'ipotesi di dubbio sulla portata oggettiva della clausola che richieda l'interpretazione contro la parte predisponente.

3. Il secondo motivo deduce l'omesso esame di un fatto decisivo, che viene individuato nella clausola di cui alla lett. A delle condizioni particolari: rilevato che tale clausola estendeva la garanzia alla responsabilità civile personale di ogni dipendente dell'assicurato, il ricorrente assume che essa comportava l'obbligo delle due compagnie a tenere indenne la S. dal risarcimento dovuto al lavoratore infortunato, essendosi trattato di danno provocato da altri dipendenti.

3.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.

Inammissibile perché viene postulato su un presupposto (il fatto che l'infortunio fosse da ascrivere a responsabilità di altri dipendenti) che non emerge dalla sentenza e non è neppure adeguatamente illustrato in ricorso, che - sotto tale profilo - difetta di autosufficienza.

Infondato, in quanto la circostanza che la garanzia fosse estesa anche al fatto dei dipendenti non sposta il fatto che la copertura riguardasse esclusivamente il danno patrimoniale.

4. Il terzo motivo deduce anch'esso l'omesso esame di un fatto decisivo, costituito dalla circostanza che la M.A. aveva inizialmente assunto la gestione della lite fra la S. e l'infortunato (fino all'anno 1996, quando la compagnia aveva comunicato di non voler ulteriormente gestire la lite sia in sede penale che in ambito civile) che comportava - secondo l'assunto del ricorrente - il riconoscimento del diritto alla copertura assicurativa, dal momento che la causa proposta avanti al Giudice del Lavoro aveva ad oggetto ogni tipologia di danno.

4.1. Anche tale motivo è infondato atteso che l'assunzione della gestione poteva trovare adeguata giustificazione - nel processo penale - nell'interesse della compagnia a impedire l'accertamento della responsabilità penale (che comportava l'affermazione della responsabilità civile dell'assicurato e l'obbligo di copertura da parte dell'assicurazione) e - nella causa civile - nell'interesse a interloquire sulla quantificazione dei danni, in vista della garanzia assunta per il danno patrimoniale.

5. Col quarto motivo, viene denunciata la violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. per non avere la Corte pronunciato sul motivo di appello con cui era stata censurata la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di primo grado.

5.1. Il motivo è infondato, giacché la conferma della sentenza di primo grado e la condanna disposta in appello comportano l'implicito esame (e il rigetto) della doglianza relativa alle spese del primo giudizio.

6. Le spese di lite seguono la soccombenza.

7. Trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013, sussistono le condizioni per l'applicazione dell'art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite liquidate, per compensi, in euro 5.400,00 in favore della U. e in euro 4.200,00 in favore della ITAS, il tutto oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in euro 200,00 per ciascuna controricorrente) e agli accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.